Vanessa

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Samuel Barber, Vanessa

direzione di Lawrence Foster

regia di John Cox

febbraio 2001 Opéra de Monte-Carlo

La prima di Vanessa, op. 32 in quattro atti di Samuel Barber scritta su libretto di Gian Carlo Menotti (suo compagno sia nella professione che nella vita privata), avvenne il 15 gennaio 1958 al Metropolitan di New York sotto la bacchetta di Dimitri Mitropoulos, la regia di Menotti stesso e le scene di Cecil Beaton. Fu un successo sia di critica sia di pubblico e valse a Barber la vittoria di un premio Pulitzer. Per la ripresa nel 1964 Barber ridusse gli atti a tre e così venne presentata sulle scene europee dove venne accolta in maniera più fredda e ancora oggi è eseguita di rado, sebbene rimanga molto popolare in America. Viene erroneamente ritenuto che il libretto derivi da Seven Gothic Tales di Karen Blixen, ma in realtà è soltanto l’atmosfera di questi racconti a essere ricreata nel testo di Menotti. La scrittrice danese fu presente alla prima della ripresa dell’opera nel 1959 ma lasciò il teatro prima della fine motivando il gesto con un malessere, cosa che turbò parecchio l’autore.

Atto primo. Agli inizi del Novecento, in un non meglio precisato paese dell’Europa settentrionale. Vanessa, una bella donna di mezza età, ha speso la sua vita nell’attesa del ritorno di Anatol, l’unico uomo da lei amato. Nella grande villa di campagna, trasformata in uno scrigno di opaca rinuncia, vivono con lei la vecchia baronessa madre, chiusa in un ostile silenzio, e la giovane nipote Erika. Mentre fuori infuria una tempesta di neve, la casa è in agitazione: l’uomo atteso da venti anni ha annunciato il suo arrivo, e Erika cerca di placare la febbrile ansia della zia. Giunto l’ospite, Vanessa, seduta davanti al camino senza mostrarsi, pone come premessa al loro incontro di dirle se la ama ancora prima di guardarla, altrimenti lo prega di andarsene immediatamente senza vederla. L’uomo dichiara di amarla, ma quando Vanessa si volta getta un grido fuggendo: non è lui la persona che ha atteso per tutti questi anni. Richiesto di spiegazioni da Erika, Anatol racconta di essere il figlio dell’Anatol amato da Vanessa e di aver voluto conoscere la donna che fu così importante nella vita del padre ora morto. Lasciato dai genitori privo di sostanze, ma assai charmant di modi, il giovane invita Erika a prendere il posto della zia, nella cena preparata per la coppia che ormai non esisterà più.
Atto secondo. Un mese dopo. Erika racconta alla nonna come quella cena sia andata a finire e come Anatol le abbia poi proposto di sposarla. Ma benché quell’unica notte di passione abbia segnato per sempre il suo cuore, Erika non si nasconde che Anatol, con il suo cinico disincanto, è incapace dell’amore totale in cui ella crede. Chi invece si è ciecamente innamorata di Anatol è Vanessa, che confessa candidamente alla nipote come il giovane le abbia chiesto la mano mentre pattinavano sul laghetto. Messo alle strette da Erika, Anatol le ribadisce la sua filosofia di vita e le rinnova, alla presenza della vecchia baronessa, la proposta fattale dopo la notte d’amore. Scossa da sentimenti contrastanti, alla fine Erika decide di rinunciare ad Anatol e di lasciarlo a Vanessa, rinata a nuova vita.
Atto terzo. Il fidanzamento viene annunciato durante la festa di capodanno. Vanessa è amareggiata per l’assenza della madre e di Erika al ricevimento e comincia a sospettare qualcosa, ma le rassicuranti parole di Anatol e l’obnubilante felicità in cui vive la convincono in breve tempo che tutto sia a posto. Erika scende nel suo leggero abito da sera bianco, ma con l’intenzione di andare nel bosco gelato per disfarsi del frutto della colpa che porta in grembo, inutilmente richiamata dalla vecchia baronessa.
Atto quarto. Vanessa attende angosciata notizie della nipote, a cui è sinceramente affezionata. Anatol la riporta a casa in fin di vita e quando Erika confessa alla nonna di essere riuscita a perdere il bambino, questa cessa di parlare anche a lei. Vanessa, sempre più turbata da ciò che sta accadendo attorno alla sua felicità, implora Anatol di portarla via al più presto da quella casa. Nell’ultima scena, dopo un intermezzo musicale, la coppia di sposi novelli si congeda dalla casa. Erika rimane nella vecchia villa con la nonna e, interrogata da Vanessa in un estremo tentativo di sapere la verità, le nasconde i propri sentimenti. Partiti gli sposi, la nuova padrona dà ordine alla servitù di velare gli specchi e di chiudere il cancello, come aveva comandato a suo tempo Vanessa. Ora tocca a lei aspettare.

«Prima opera di Barber, Vanessa è impregnata della luce crepuscolare del tardo teatro borghese di Ibsen e di Strindberg. I caratteri tuttavia si fermano alla soglia di un patetismo amaro, senza arrivare a una vera e profonda tragicità. Vanessa è in sostanza una prima donna più vocale che teatrale, Anatol un fatuo amoroso piuttosto che un mascalzone e Erika, che in un certo senso è la vera protagonista, un personaggio più ammirevole che memorabile. Un pessimismo esistenziale nato dal fallimento dei sentimenti emerge con più sostanza nell’unico momento in cui al tono realista si sostituisce un siparietto astratto, un quintetto in cui i personaggi fondamentali sospendono il tempo narrativo per svelare il loro destino di perdenti. Anche un personaggio collaterale come il vecchio dottore di famiglia, che dovrebbe assicurare varietà e leggerezza al dramma, rivela nei suoi interventi una rassegnazione appena mascherata da un vitalismo velleitario. Così come il linguaggio del libretto di Menotti, neppure la sintassi musicale di Barber si azzarda a tentare rotture al passo coi tempi, anche se non manca un orecchio a gesti musicali più arditi, ad esempio in tutta la complessa scena del ballo nel terzo atto. Un respiro più moderno si nota anche nel ritmo di montaggio delle scene, in cui anche i momenti musicali stilizzati (arie, duetti, concertati) fluiscono nel tempo variando nell’intensità dell’espressione, come sequenze cinematografiche che alternino primi piani e campi lunghi. Lo stile di Barber è comunque ammirevole sia nella condotta delle voci sia nell’orchestrazione e si distingue sopra ogni altra qualità per quel lirismo introspettivo dell’invenzione melodica che è il tratto forse più caratteristico del compositore americano». (Oreste Bossini)

Nella produzione diretta da Lawrence Foster nel 2001 all’Opéra di Montecarlo Vanessa, Anatol ed Erika sono interpretati rispettivamente da Kiri Te Kanawa, David Maxwell Anderson e Lucy Schaufer. Rosalind Elias, che fu Erika nella produzione originale, ora qui è la baronessa.

  • Vanessa, Glyndebourne, 14 agosto 2018

2 comments

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