Gianni Schicchi

Giacomo Puccini, Gianni Schicchi

★★★★☆

Piacenza, Teatro Municipale, 22 gennaio 2021

(diretta streaming)

Piacenza omaggia Dante

Tre anni fa il Municipale di Piacenza aveva presentato il Trittico di Puccini nella produzione di Cristina Pezzoli in occasione del centenario della prima rappresentazione avvenuta al Metropolitan di New York il 14 dicembre 1918 – e allora imperversava l’influenza spagnola come adesso un’altra pandemia. La celebrazione ora è ancora più solenne: i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri dal cui canto XXX dell’Inferno è tratto l’episodio di Gianni Schicchi.

Unico titolo della serata, l’esecuzione è preceduta dalla lettura dei versi danteschi da parte dell’attore piacentino Mino Manni sulle immagini del prezioso Codice Landiano custodito nella Biblioteca Comunale. Lo spettacolo avviene a teatro chiuso e senza pubblico e viene trasmesso sulla piattaforma operastreaming. Il regista Renato Bonajuto fa iniziare il suo allestimento con la morte in diretta di Buoso Donati davanti agli ipocriti parenti, una scelta molto discutibile, mentre è ormai accettato che l’ambientazione sia novecentesca, grosso modo il secondo dopoguerra, in un ambiente solenne e austero (scenografie di Danilo Coppola) e della Firenze cantata si veda solo una proiezione in stile pittorico in alto sopra la pesante boiserie. Gustoso il finale, quando oltre la porta si vedono i rossi fumi infernali a cui è destinato da Dante il simpatico «falsatore di persona».

Massimiliano Stefanelli dirige l’orchestra Filarmonica Italiana – non sempre inappuntabile – in una versione ridotta negli strumenti che mette in evidenza ancora di più la modernità della partitura, evidenziando gli interventi dei fiati e i lampi sonori che appartengono alla musica dei russi di primo Novecento. Talora i tempi sembrano un po’ centellinati, ma i concertati sono impeccabili e gli slanci lirici pieni di nostalgia.

Roberto De Candia è uno Schicchi misurato negli effetti comici, ma vocalmente autorevole: la proiezione della voce, la dizione (senza affettare quella toscana che non gli appartiene), l’espressione naturale, il fraseggio e i piani sonori sono tutti elementi atti a costruire il personaggio che si presenta all’inizio come un cafone della campagna per poi diventare l’archetipo dell’italiano furbo e maneggione, sempre attuale. Nella compagnia di canto, non tutta allo stesso livello di qualità, spiccano i due giovani: Matteo Desole ha una voce luminosa e acuti non gridati con cui dipinge perfettamente la vena lirica e spavalda di Rinuccio; Giuliana Gianfaldoni è una sensibile Lauretta che quando nel silenzio dell’orchestra attacca «O mio babbino caro» riesce ancora una volta a far luccicare gli occhi dall’emozione.