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Pippo Delbono, Amore
Moncalieri, Fonderie Limone, 1 marzo 2023
«Amar, malamar, desamar»
Dopo La rabbia (1995), La gioia (2018), ecco L’amore: sono le passioni primarie l’essenza del teatro di Pippo Delbono. Nel 2011 c’era anche stato Amore e carne.
Debuttato allo Storchi di Modena nell’ottobre 2021, l’ultimo spettacolo di Pippo Delbono ora alle Fonderie Limone per la stagione del Teatro Stabile di Torino è stato concepito in Portogallo, il punto di partenza. Portoghese è il fado le cui nostalgiche note ne formano l’ossatura, portoghesi sono le parole («amar, malamar, desamar») del poeta Carlos Drummond De Andrade che Delbono sussurra nell’intimità di un microfono, invisibile fuori scena, assieme a quelle di Eugénio De Andrade, Daniel Damásio Ascensão Felipe, Jacques Prévert e altri.
Amore nasce da una necessità, da un grande dolore ancora non superato dell’autore, esule della vita. Lo spettacolo alterna pieni e vuoti: una vivace parata, un tableau vivant, una lenta processione, un fado. Le immagini affidano alla musica quello che le parole non possono dire. Amore si avvale della presenza di vecchi amici (Gianluca Ballarè, Dolly Albertin, Nelson Lariccia…), della musica di bravissimi interpreti (il fadista Miguel Ramos, i chitarristi Pedro Jóia e Pepe Robledo negli struggenti Fado menor e Morrer de amor, la cantautrice angolana Aline Frazão) e di altri nuovi compagni di scena.
La scena nuda di Joana Villaverde comprende un solo albero sbilenco e stecchito. Il resto lo fanno le luci di Orlando Bolognesi e i costumi di Elena Giampaoli. Potrebbe essere quella di En attendant Godot, e infatti a un certo punto vediamo due figure che si legano e si tirano come i personaggi di Pozzo e Lucky nella pièce di Beckett. Alla fine l’albero si riempie miracolosamente di fiori e sotto di lui viene a sdraiarsi, per morire, l’autore vestito di bianco, come bianchi erano stati i morti del ballo della scena precedente. Amore e morte sono indissolubili e la vita ci scorre via come la sabbia nel sacco che una figura stringe al petto.
Amore è un viaggio musicale e lirico attraverso una geografia esterna – oltre al Portogallo, l’Angola, il Capo Verde – e una interna, quella delle corde dell’anima. È il tentativo di portare la vita dentro al teatro: quello che ha sempre fatto con disarmante sincerità e onestà Pippo in questi oltre vent’anni di attività.
ma sarebbe la scenografia, anni 50, di ASPETTANDO GODOT???