Gioachino Rossini

La scala di seta

Gioachino Rossini, La scala di seta

★★★★☆

Pesaro, Teatro Rossini, 10 agosto 2009

(registrazione video)

Rendere attuale una farsa rossiniana? Fatto.

La farsa La scala di seta di Rossini, un Matrimonio segreto in sedicesimo, aveva bisogno di un allestimento che proponesse l’esilissima e datata vicenda in termini godibili oggi. Eccolo: niente salottino tardosettecento, dunque, ma una lucida modernità, con una regia attentissima che si sposa a meraviglia con l’astratta geometria della musica rossiniana, un meccanismo che ha il ritmo di un oliato ingranaggio a orologeria. Parliamo ovviamente di Damiano Michieletto, il regista italiano dotato dell’intelligenza necessaria a trasmettere il messaggio della comicità rossiniana alle platee moderne.

Il fedele scenografo Paolo Fantin disegna la planimetria in scala 1:1 di un alloggio (come nel film Dogville di von Trier) riflessa in uno specchio a 45° che ci mostra i personaggi dall’alto, anche quando si nascondono alla vista frontale. A sipario aperto facchini portano in scena mobili, suppellettili e su carrelli perfino i personaggi, che prendono vita con l’ultima nota dell’ouverture. I personaggi de La scala di seta non hanno spessore psicologico, ma sono perfettamente caratterizzati e qui incontrano interpreti d’eccezione. Ol’ga Peretjat’ko è una Giulia vocalmente strepitosa e di presenza scenica abbagliante; come Germano, domestico filippino con caschetto alla Mireille Mathieu che parla col pesce rosso, abbiamo Paolo Bordogna, cantante attore che conosce perfettamente i ritmi del teatro e della musica; Carlo Lepore è un gustosissimo Blansac a cui viene aggiunta «Alle voci della gloria» perché il suo personaggio non ha un pezzo solistico: un’aria e cabaletta scritta da Rossini probabilmente durante gli anni veneziani. Questo stesso numero musicale era stato inserito da Alberto Zedda nell’ Adelaide d Borgogna del 2006 e affidato al Berengario di Lorenzo Regazzo, anche lui privo di una parte solistica. José Manuel Zapata è un Dorvil un po’ sovrappeso ma vocalmente pregevole mentre Anna Malavasi è la zitella Lucilla che, meglio tardi che mai, scopre i piaceri dei sensi. Daniele Zanfardino infine l’inetto Dormont.

La lettura di Claudio Scimone è basata sull’edizione critica di Anders Wiklund sulla fonte autografa trovata a Stoccolma (!). La sua direzione alla guida dell’Orchestra Haydn di Bolzano non è propriamente trascinante, tanto che i cantanti con i loro sguardi sembrano talvolta voler incalzare l’orchestra!

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