Il cappello di paglia di Firenze

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Nino Rota, Il cappello di paglia di Firenze

direzione di Bruno Campanella

regia di Pierluigi Pizzi

gennaio 1998, Teatro alla Scala, Milano

Fin dalle prime note dell’ouverture Nino Rota non fa mistero che si tratti di una farsa: Il cappello di paglia di Firenze è infatti tratto da una pièce del teatro di Labiche, uno dei più fecondi autori francesi di vaudeville della seconda metà dell’Ottocento. Un chapeau de paille d’Italie (1851) è uno dei più celebri dei suoi oltre 170 lavori scritti con vari pseudonimi.

Atto I. Casa di Fadinard. Il giorno delle nozze tra Fadinard, un giovane benestante, ed Elena, la figlia di Nonancourt, un ricco campagnolo. Lo zio sordo di Elena, Vézinet, si presenta a casa di Fadinard portando un regalo di nozze in una grande scatola di cartone. Fadinard entra, ancora sconvolto dall’avventura che ha appena vissuto: tornando a casa in calesse, il suo cavallo ha rosicchiato e ingoiato un cappello di paglia fiorentino che era appeso a un albero nel bosco di Vincennes. La proprietaria del cappello, Anaide, si presentò stizzita, accompagnata dal suo husky di scorta, l’ufficiale Emilio. Ma il cavallo, spaventato, partì al galoppo e riportò a casa il suo padrone. Mentre Fadinard aspetta la sua sposa, Anaide ed Emilio appaiono inaspettatamente e chiedono un cappello identico a quello che il cavallo ha appena mangiato. Al rumore delle carrozze che annunciano l’arrivo degli invitati al matrimonio, Anaide e il suo aspirante accompagnatore scappano e si nascondono nella stanza accanto. Entra lo zotico Nonancourt con la figlia Elena, la dolce e innocente sposa, che inveisce contro il genero con il costante ritornello “Tutto a monte”. L’interminabile sfogo si conclude con urla di dolore per la stretta angosciante del suo nuovo paio di scarpe. Mentre il vecchio si sforza di togliersele almeno temporaneamente, Fadinard ed Elena, soli per la prima volta, si abbandonano alla loro beata felicità. Nel frattempo, si sente cantare la comitiva nuziale che attende impaziente nelle carrozze lungo la strada: “Tutta Parigi noi giriam, lieti e felici siam”. Nonancourt scende con la figlia, mentre Fadinard rimane indietro per cercare di liberarsi dei due intrusi. Il maggiordomo Felice, che nel frattempo è andato da una modista con un pezzo di paglia come campione per cercare un cappello dello stesso tipo, torna a mani vuote. Anaide, scoppiando in lacrime, confessa che non può tornare a casa senza il cappello, perché le è stato regalato da un marito “geloso e molto brutale”. Fadinard, che è atteso per il suo matrimonio, protesta invano: Anaide sviene, Emilio minaccia un duello. I due si rifiutano di allontanarsi dalla casa finché Fadinard, pur dovendo andare a sposarsi, non torna con un cappello identico a quello di Anaide.
Atto II. Intermezzo: Un negozio di modisteria. Fadinard, dopo aver visitato innumerevoli negozi senza successo, entra con il campione di paglia. Anche qui non c’è niente da fare: l’unico cappello di paglia simile è stato venduto pochi giorni prima alla baronessa di Champigny, molto alla moda. Fadinard si avvia verso la villa della baronessa a Passy con tutto il corteo nuziale alle spalle. La villa della Baronessa di Champigny. Un’occasione di gala nella lussuosa casa della baronessa: fiori, tavole imbandite per un banchetto, eleganza, per un ricevimento in onore dell’illustre violinista italiano Minardi, che suonerà. Fadinard, che entra timidamente per chiedere il cappello, viene scambiato dalla baronessa per il famoso violinista. Superato l’imbarazzo iniziale, Fadinard riesce a fingere di essere Minardi e chiede il suo cappello come ricordo. Nel frattempo, il suocero Nonancourt e gli invitati al matrimonio hanno seguito Fadinard di nascosto ed entrano nella sala da pranzo adiacente, convinti di essere al banchetto nuziale. La baronessa torna con un cappello nero. Fadinard si infuria e chiede minacciosamente il cappello di paglia fiorentino. Spaventata, la baronessa dice di averlo regalato alla sua figlioccia, Madame Beaupertuis. A questo punto gli invitati al matrimonio, che si sono rimpinzati e hanno fatto baldoria, irrompono allegramente nella sala tra lo stupore di tutti, mentre Elena, leggermente brilla, alza il bicchiere per brindare allo sposo. Stupore, panico, confusione. Arriva Minardi, il vero violinista. Fadinard, avendo ottenuto l’indirizzo dove si trova l’irraggiungibile cappello, approfitta della confusione per portare via con sé tutta la festa di nozze, mentre la baronessa sviene e gli invitati gridano “la polizia!”.
Atto III. Casa di Beaupertuis. La sera presto, Beaupertuis è infastidito dal fatto che la moglie non sia tornata da un lungo viaggio per negozi e sospetta che abbia una relazione. Fadinard arriva in cerca del cappello di paglia, ma non lo trova. Beaupertuis cerca di convincere Fadinard a lasciare la casa, ma non ci riesce. Nel frattempo arrivano Nonancourt, Vezinet e le damigelle, pensando di essere in casa di Fandinard. Elena viene convinta a entrare in quella che credono essere la suite nuziale. Fadinard capisce subito che Beaupertuis è il marito di Anaide, dopo averle inconsapevolmente rivelato il suo piano per ingannarla. Beaupertuis affronta gli intrusi che finalmente si rendono conto di aver sbagliato casa. Si scatena il caos.
Atto IV. Intermezzo: Una strada di Parigi. Il corteo nuziale, stremato ed esausto, con Nonancourt e sua figlia, canta il solito ritornello: “Tutta Parigi noi giriamo”, e si avvia verso la casa di Fadinard. Inizia a piovere. Piazzale con un posto di guardia davanti alla casa di Fadinard. Il corteo nuziale arriva con gli ombrelli aperti, bagnato fradicio e sfinito. Nonancourt ordina a Felice, il maggiordomo, di restituire tutti i regali di nozze e la dote: tornerà subito a Charantonneau con la figlia. Ma Elena, ormai completamente innamorata del nuovo marito, si rifiuta di partire. Nel frattempo, Fadinard arriva di corsa con il fiatone: Beaupertuis sta per arrivare con l’intenzione di sparare alla moglie che si trova in casa sua. Quando Nonancourt viene a sapere che c’è un’altra donna in casa del genero, la sua furia non conosce limiti e insiste per andarsene subito con tutte le sue cose. Ne nasce una zuffa, alla quale partecipa anche lo zio sordo, Vézinet, per recuperare la scatola contenente il suo regalo di nozze: un cappello di paglia fiorentino! Alla vista del cappello, Fadinard esulta e corre in casa a prendere Anaide per darle il cappello finalmente ritrovato. Le guardie di ronda tornano dal loro giro solo per trovare Nonancourt e i suoi parenti in procinto di uscire con i fagotti e i pacchi e, sospettando che si tratti di ladri, li fanno rinchiudere nel corpo di guardia. Quando Fadinard esce con Anaide ed Emilio, il cappello non è più nella scatola: Nonancourt l’ha portato via. Che fare? Emilio, ufficiale intraprendente, si precipita nel posto di guardia per recuperare il cappello. Nel frattempo, Beaupertuis arriva in carrozza. Segue una scena animata: Fadinard cerca di nascondere Anaide al marito, travestendola da sentinella. Emilio getta il cappello dalla finestra del posto di guardia e il cappello rimane appeso al filo che sostiene il lampione. Mentre Fadinard fa di tutto per distrarre l’attenzione del marito furioso, Emilio riesce a tagliare il filo con la sua spada: il lampione cade a terra insieme al cappello, facendo precipitare la piazza nel buio più assoluto. Sentendo il frastuono, le guardie accorrono, gli abitanti della piazza accendono le lampade e si affacciano alle finestre in camicia da notte. Ma nel frattempo Anaide ha indossato trionfalmente il cappello di paglia fiorentino e si fa avanti, rimproverando il marito sbalordito per la sua negligenza. Nonancourt, che ha saputo della buona azione del genero, si affaccia alla finestra del posto di guardia, gridando finalmente: “Tutto è… sistemato!”. Grazie alle grazie del caporale, tutti gli invitati alle nozze vengono fatti uscire dal posto di guardia e riabbracciano l’amato sposo. Beaupertuis, abbattuto e pentito, si inchina alla moglie e chiede perdono, mentre tutti gridano: “Ha il cappello, ha il cappello!”. La giornata di avventure è finita. Tutti possono andare a letto e la coppia di sposi può finalmente entrare in casa… per riposare.

«Abile fin da bambino nello scrivere ‘alla maniera di’ altri compositori e quindi [fare la] parodia di disparati linguaggi del passato (caratteristica in parte condivisa dal suo maestro Alfredo Casella), Rota presenta in questa frenetica giornata di inseguimenti una caleidoscopica successione di travestimenti musicali: Mozart, con Rossini, è presente non solo nell’ouverture, ma anche nella ricorrente esclamazione del suocero, “Tutto a monte!”, che ha la solennità del Commendatore. Il calesse di Fadinard ha invece i ritmi di quello del carrettiere mascagnano (poi il coro canterà: “Schiocchi la frusta!”), mentre Elena si esprime con colorature e cantabili proto-ottocenteschi accompagnati da arpeggi del clarinetto. Onnipresenti sono le tecniche rossiniane nelle velocissime sillabazioni, nei brani d’insieme in crescendo di concitazione (“Io casco dalle nuvole”) nonché nel temporale del quarto atto (che occhieggia forse anche alla ‘Cavalcata delle Valchirie’), mentre il ‘sospetto’ di Beaupertuis serpeggia e poi divampa con i modi dell’aria ‘della calunnia’ del Barbiere. In certi effetti dei fiati si sente anche qualche influsso di Stravinsky (maestro che il compositore frequentò a Roma) e di cui sin da ragazzo conosceva le più importanti partiture e non mancano risonanze dell’autentico Rota cinematografico (Il birichino di papà, Le miserie del signor Travet, Lo sceicco bianco). Sono comunque la notevole abilità strumentale e il sicuro senso drammaturgico del compositore (e coautore del libretto) a dare dinamismo e unitarietà a un insieme variegato, che si appoggia sia alle strutture del vaudeville francese sia a quelle dell’opera buffa e dell’operetta, senza dimenticare neppure l’interpretazione cinematografica dello stesso soggetto, realizzata da René Clair in un film muto del 1927». (Maria Grazia Sità)

Scritto per divertimento nel 1945 su testo proprio e della madre Ernestra Rinaldi, il lavoro andò in scena solo 10 anni dopo con grande successo – inusitato per un’opera moderna. Tre anni dopo venne ripreso alla Piccola Scala con la regia di Strehler e nel 1987 a Reggio Emilia con la regia di Pierluigi Pizzi, lo stesso cui si deve questo fortunato spettacolo del 1998 con una compagnia di canto di tutto rispetto: dal giovane baffuto e talentuoso Juan Diego Flórez a Elisabeth Norberg-Schulz, da Giovanni Furlanetto ad Alfonso Antoniozzi. L’orchestra è vivacemente sostenuta da un pimpante Bruno Campanella, ma in scena un pianoforte, affidato a Richard Barker, sottolinea l’atmosfera cinematografica della lettura del regista che affida a un video in bianco e nero la conclusione della folle giornata. Come sempre apprezzabile l’eleganza del regista e i suoi tocchi ironici, come la sposa rigorosamente in bianco ma vistosamente incinta, particolare giustificato dall’effettiva gravidanza della Norberg-Schulz in quel periodo. La cosa funzionò talmente bene che nella ripresa torinese del maggio 2004 le misero una pancia finta!