Mese: agosto 2017

Tom Jones

François-André Danican Philidor, Tom Jones

direzione di Nicholas McGegan

regia di John Cox

scenografia e costumi di Paul Brown

Stoccolma, Drottningholm Slottsteater, 1995

Compositore e scacchista (tra i migliori giocatori del suo tempo), François-André Danican Philidor (1726-1795) apparteneva a una famiglia di musicisti di origini scozzesi che risaliva a Michel Danican, oboista alla corte di Luigi XIII. Fu il re stesso a dargli quel soprannome poiché il suo modo di suonare l’oboe gli ricordava quello del virtuoso italiano Filidori.

Come giocatore di scacchi François-André sfidò più volte Benjamin Franklin al Café de la Régence parigino e scrisse un manuale ancor oggi considerato fondamentale. Come musicista fu allievo di Campra, frequentò l’ammiratissimo Rameau, per i cui funerali scriverà un Te Deum, e sua è una delle prime composizioni massoniche, il Carmen sæculare. Collaborò poi con Jean-Jacques Rousseau alla sua opéra-ballet Les Muses galantes (1745). Numerose sono le opéra-comique portate sulla scena ed Ernelinde fu quella che gli permise di avere una pensione da Luigi XV.

Tom Jones, “comédie mêlée d’ariettes”, è ovviamente ispirata al romanzo di Henry Fielding, ma interpreta la vicenda in maniera molto più sentimentale. Su libretto d’Antoine-Alexandre-Henri Poinsinet e Bertin Davesne, debutta al Théâtre Italien il 27 febbraio 1765 ed è un fiasco. Allora il compositore fa rivedere il libretto da Michel-Jean Sedaine e in questa nuova versione viene presentato un anno dopo con grande successo, diventando una delle opere più popolari dell’epoca.

Atto primo. Sophie, figlia di Mr Western, confessa alla dama di compagnia Honora il suo amore per Tom Jones, orfano accolto e allevato dal ricco e magnanimo gentiluomo di campagna Mr. Allworthy. La zia ascolta parte della confessione e si promette di parlarne al fratello al ritorno dalla caccia, però si confonde e riferisce che Sophie è innamorata di Blifil, il nipote di Allworthy. Western, pur titubante, acconsente alle nozze. Quando la ragazza lo viene a sapere, esterna tutta la sua avversione nei confronti di Blifil. Furiosa per la mancata riconoscenza, madame Western esprime la sua violenta ostilità contro Tom Jones.
Atto secondo. Honora informa Tom Jones che Sophie lo ama. Madame Western, che pensa di aver colto i due in flagrante, comunica le imminenti nozze tra la nipote e Blifil. Quest’ultimo viene però respinto dalla ragazza che dapprima confessa invano al padre i suoi veri sentimenti, poi dato che non potrà sposare Tom lo invita a dimenticarla. Visti tutti i guai provocati, Tom Jones è scacciato di casa e ripudiato dal padre adottivo.
Atto terzo. In una locanda Tom incontra Dowling, l’intendente di Allworthy, cui riferisce le sue sventure. Accompagnata da Honora giunge anche Sophie, fuggita di casa. Dowling allora svela un segreto: Tom in realtà non è un trovatello, ma il figlio della sorella di Allworthy, e quindi come fratello maggiore di Blifil spetta a lui l’eredità. Western, che di Blifil non si era mai fidato, acconsente con gioia alle nozze di Tom con Sophie.

Il testo è inframmezzato di piacevoli numeri musicali, come la vivace descrizione della caccia di Mr Western con corni e altri strumenti che riproducono i latrati dei cani e la corsa nei boschi. Le arie dei personaggi maschili hanno l’andamento di una ballad con gli strumenti che si limitano a raddoppiare o a contrappuntare semplicemente la voce, mentre più rifinite sono quelle di Sophie con un uso elegante dei fiati.

L’edizione è quella messa in scena al teatrino di Drottningholm nel 1995 in lingua inglese. Dieci anni dopo uscirà un DVD con una produzione del teatro di Losanna.

Princess Ida

Arthur Sullivan, Princess Ida

Settima delle Savoy Operas, l’unica in tre atti e con i dialoghi in versi, Princess Ida or Castle Adamant debutta al Savoy Theatre il 5 gennaio 1884 e vi viene rappresentata per 246 recite, sotto la media quindi.

Il soggetto è tratto da The Princess di Alfred Tennyson, un narrative poem semiserio. Gilbert ne aveva già fatto una parodia in decasillabi nel 1870 e molte parti del dialogo furono inserite nell’opera che mette in burla il femminismo, l’educazione delle donne e l’evoluzionismo darwiniano, temi in grande discussione nell’Inghilterra vittoriana, in un’ilare variazione su un soggetto medievale (si pensi alla vicenda del Comte Ory).

La principessa Ida sfugge ai suoi obblighi matrimoniali, stabiliti fin dalla sua nascita col principe di un regno vicino, per fondare e gestire un’università femminile in un castello. Il principe Hilarion ha aspettato il giorno delle sue nozze per vent’anni e non intende rinunciarci, perciò si traveste da fanciulla e si introduce nel castello portandosi dietro gli amici Cyril e Florian, anche loro in abiti muliebri. Diverse ragazze scoprono il segreto delle “fanciulle”, segreto che cercano di mantenere celato anche perché si sono innamorate dei giovani, ma Ida scopre l’inganno e fa arrestare gli intrusi. I rapporti fra i due regni allora diventano tesi e si minaccia la guerra. Alla fine ovviamente Ida ammorbidirà le sue pretese e tutti festeggeranno il suo matrimonio con Hilarion.

Princess Ida aveva di fatto rappacificato Sullivan e Gilbert, che nell’estate 1883 avevano rischiato di sciogliere la loro collaborazione per divergenze sui soggetti – sarà solo il primo di una serie di litigi. Il libretto di Princess Ida dava modo a Gilbert di mostrare le sue qualità letterarie e Sullivan lo servì con musiche particolamente raffinate che avvicinano il lavoro al grand opéra per ricchezza armonica e per complessità e quantità dei numeri musicali.

Tra le meno frequentemente allestite, in rete è disponibile la registrazione della produzione della Ocean State Lyric Opera Company, 1997.

Persée

★★★☆☆

Un Lully canadese

Persée, nona tragédie lyrique in cinque atti di Lully, fu scritta su testo di Philippe Quinault, come la quasi totalità delle opere del compositore italo-francese.  Venne rappresentata il 18 aprile 1682 al Théâtre du Palais-Royal e poi a luglio a Versailles, dove si era trasferita la corte per l’estate.

«È ancora una volta dalle Metamorfosi di Ovidio che Quinault trae lo spunto mitologico e letterario sul quale lavora per amalgamare il mito di Perseo con quello del Re Sole. La sua capacità di traslare la concezione tardocavalleresca dell’amore stemperandone i toni eroici alla Corneille per rapportarli a un più corrente sentimentalismo, fu il fulcro del progressivo passaggio dal codice linguistico della tragedia a quello dell’opera. Operazione compiuta con linguaggio aulico di somma eleganza, ideale per i gusti di un pubblico d’estetizzante raffinatezza benché di cultura non certo eccelsa; e con taglio teatrale oltremodo logico e scorrevole». (Elvio Giudici)

Prologo. In un boschetto Virtù, Innocenza, Fortuna, Magnificenza, Abbondanza e i loro seguiti elogiano «le héros glorieux qui calme l’Univers» in cui si riflette il monarca Luigi XIV.
Atto I. Il palazzo del re Cefeo e della regina Cassiopea di Etiopia. Il re esprime il terrore che il suo popolo prova per Medusa con i suoi capelli di serpente: chi la guarda viene tramutato in pietra. Medusa era stata mandata da Giunone per punire la regina Cassiopea per l’insolenza di paragonare la sua bellezza a quella della dea. Per placarne l’ira Cassiopea fa allestire dei giochi in suo onore. La sorella Merope è segretamente innamorata di Perseo che però ama, ricambiato, Andromeda, figlia del re e promessa a Fineo, suo zio. Per gelosia Fineo la accusa di amare un altro, ma Andromeda lo assicura che adempirà al suo dovere di amarlo. Al termine dell’atto apprendiamo che Giunone ha rifiutato i sacrifici fatti in suo onore e che Medusa sta mietendo altre vittime.
Atto II. I Giardini del Palazzo. Cefeo annuncia che Perseo combatterà Medusa per liberare l’Etiopia dal suo terrore e se ci riuscirà potrà avere Andromeda, suscitando così l’indignazione di Fineo. Andromeda e Merope confessano il loro reciproco amore per Perseo e pregano per il suo ritorno sicuro. Mercurio garantisce a Perseo il sostegno di tutti gli dèi, eccetto Giunone. I ciclopi portano a Perseo una spada forgiata da Vulcano, le ninfe guerriere lo scudo  di Pallade e gli spiriti fieri escono dal sottosuolo con il casco di Plutone.
Atto III. L’antro delle Gorgoni. Un tempo bella donna rinomata per i suoi splendidi capelli, Medusa racconta come è stata trasformata in un mostro dai capelli di serpenti per mano della dea Pallade Atena, che era gelosa di lei. Mercurio lancia un incantesimo del sonno su Medusa e le Gorgoni che cercano ma non riescono a resistere e si addormentano. Utilizzando lo scudo di Atena come uno specchio per evitare di guardare direttamente Medusa, Perseo le taglia la testa. Utilizzando il casco di Plutone per rendersi invisibile, Perseo fugge all’ira delle Gorgoni portando seco la testa di Medusa.
Atto IV. Un litorale roccioso in Etiopia. Gli Etiopi aspettano gioiosi Perseo vittorioso. Sorge una tempesta e un marinaio annuncia che la furiosa Giunone, insieme a Nettuno, è determinata a sacrificare Andromeda a un mostro marino. Davanti allo sguardo disperato del re, i tritoni incatenano Andromeda ad uno scoglio. All’ultimo momento Perseo corre verso il mostro marino e lo uccide. La tempesta finisce e gli etiopi festeggiano la vittoria.
Atto V. Sala di ricevimento preparata per il matrimonio di Perseo e Andromeda. Merope e Fineo tramano assieme per vendicarsi di Perseo con l’aiuto di Giunone. Mentre il Sommo Sacerdote inizia la cerimonia nuziale, tuttavia, Merope si pente e avverte Perseo che si stanno avvicinando gli assassini di Fineo. Gli ospiti di nozze fuggono. Nella battaglia che segue, Merope è colpita a morte. Con l’aiuto di Giunone, la battaglia va a favore di Fineo, ma Perseo usa la testa di Gorgone per trasformare il suo nemico in pietra. La scena cambia nel palazzo di Venere, la quale discende dal cielo per annunciare che Giunone è placata e gli etiopi possono ora vivere in pace. Mentre Cefeo, Cassiopea, Perseo e Andromeda volano sulle ali di Mercurio, gli Etiopi celebrano il felice esito con balli e canti.

L’opera contiene pagine bellissime, come il toccanto duetto delle due donne che amano Perseo, Merope e Andromeda, ma che abbandonano la loro rivalità davanti ai pericoli cui corre l’amato. Il loro è un amore generoso, ben diverso da quello egoistico di Fineo che, piuttosto di vedere Andromeda nella braccia del rivale, la preferirebbe morta («Et, si je ne puis voir son coeur en ma puissance, | Je jouirai de ses tourments»). Generoso è anche l’amore che professa Perseo: «Je serai malheureux, désespéré, jaloux; | Mais je mourrai content si vous vivez heureuse».

Prodotto dalla Opera Atelier di Toronto e presentato all’Elgin Theatre nel 2004, l’allestimento di Marshall Pynkoski si muove tra la ricostruzione filologica e lo spettacolo camp: scene dipinte con dèi che scendono su nuvole dorate (di Gerard Gauci), costumi ricchi ed eclettici per le donne (dal Rinascimento all’Impero la costumista Dora Rust-D’Eye non si fa mancare nulla), brache attillatissime di velluto per i maschi, recitazione e gesti manierati per tutti con profluvio di riverenze e infine gli immancabili passi di danza saltellanti “d’epoca” (coreografie di Jeannette Zingg); poi però Medusa e le Gorgoni sono un esilarante terzetto di drag queen e il mostro marino che deve divorare Andromeda un draghetto da cartone animato. Il piccolo palcoscenico a fatica riesce a contenere cantanti e ballerini e il coro è posizionato nei palchi laterali da cui spesso si esibiscono gli interpreti.

Con il taglio del prologo e di alcune pagine, sotto l’attenta e brillante direzione di Hervé Niquet della Tafelmusik Baroque Orchestra, avvezza quindi a questo repertorio, c’è un cast di specialisti, anche se non tutti di madre lingua francese e dalla dizione non esente da difetti. Nel ruolo titolare la voce sbiancata e la presenza un po’ scialba di Cyril Auvity che non solo ha ben poco da cantare ma che qui è spesso sostituito da una controfigura per le scene di duello, di danza o acrobatiche. Chi più si fa notare è la Merope di Monica Whicher dalla voce sontuosa e dalla intelligente articolazione della parola cantata. Olivier Laquerre rende meglio come Medusa in drags che come Re Cefeo; Alain Coulomb è l’efficace vilain Fineo, Marie Lenormand e Sthephanie Novacek accettabili Andromeda e Cassiopea.

Immagine in 16:9 e sottotitoli in francese, tedesco e inglese. Tre tracce audio e poco più di due ore di musica.

ELGIN & WINTER GARDEN THEATRES

Elgin & Winter Garden Theatres

Toronto (1913)

2149 & 1410 posti

Ha festeggiato da poco i cento anni di vita il “double decker theatre” (teatro a due piani) di Toronto: commissionato dall’impresario Marcus Loew quale gioiello per coronare il suo impero teatrale, i disegni furono preparati dall’architetto Thomas W. Lamb che progettò una sala principale al piano terra, l’Elgin (tutto decorata in foglia oro), e una leggermente più piccola al settimo piano dello stesso edificio, il Winter Garden (questa incrostata di foglie a simulare un esterno arboreo). Il primo era un tripudio di cristalli, drappi e cherubini sul soffitto, com’era di moda all’epoca, l’altro, con i suoi rami scolpiti, le tappezzerie in verde e il soffitto a trompe-l’oeil simulava un fantastico sottobosco.

Per i primi quindici anni entrambe le sale ospitarono spettacoli di varietà di grande livello, ma nel ’28 il Winter Garden chiuse e l’Elgin divenne una sala cinematografica fino all’abbandono negli anni ’70. L’essere scampato alla demolizione lo deve all’Ontario Heritage Trust che ha comprato l’edificio nel 1981 e ne ha avviato il restauro e il teatro ha riaperto nel 1987 con una trionfante produzione di Cats, il musical di Andrew Lloyd Webber. Due anni dopo riapriva anche il Winter Garden con Side by Side by Sondheim di Stephen Sondheim. Dal 1999 ne ha fatto la sua sede la Opera Atelier, specializzata in opere barocche ambientate nell’opulento neo-rococo della sala principale.

Il foyer dell’Elgin e i sontuosi ascensori, manovrati ovviamente manualmente, che portano ai piani superiori.

The Sorcerer

Arthur Sullivan, The Sorcerer

Gran parte dell’immutabile fascino delle operette di Gilbert e Sullivan è dovuta al fatto che sono datate e che sembrano portare con sé l’innocenza, la freschezza e il divertimento di un’era passata. Ora che è trascorso ben oltre un secolo dalla loro creazione, i manierati dialoghi, con riferimenti a temi e persone che da tempo sono usciti dalla storia, danno loro un valore aggiunto di oggetto d’epoca.

Non sfugge a questa considerazione questo terzo frutto della collaborazione di William Shenk Gilbert e Arthur Sullivan, secondo delle Savoy Operas. The Sorcerer (Lo stregone) debutta sullo Strand di Londra al teatro Opera Comique il 17 novembre 1877, cui seguono 178 repliche, poche se confrontate a quelle dei lavori più fortunati. Per la ripresa del 1884 è approntata una nuova versione, che è quella comunemente messa in scena, come nell’allestimento della University of Michigan G&S Society del 2016 disponibile in rete.

Ampliamento di un suo precedente testo, The Elixir of Love, il libretto mette in scena una pozione magica che però fa innamorare la persona sbagliata, come succede nel Midsummer Night’s Dream scespiriano, per non parlare del Tristan und Isolde. È poi sempre presente la satira sulle classi sociali dell’epoca vittoriana.

Gli abitanti di Ploverleigh festeggiano la festa di fidanzamento di Alexis, figlio ed erede di Sir Marmaduke Pointdextre, con Aline, l’unica ragazza di lignaggio del paese in quanto figlia di Lady Sangazure. Alexis e Aline firmano il contratto di matrimonio, ma Alexis, che comunque ama la sua promessa sposa, non condivide gli antiquati principi di suo padre che solo uomini e donne di rango equivalente dovrebbero sposarsi, senza riguardo a sciocchezze quali i sentimenti. Alexis assume un mago, John Wellington Wells, per provare la sua teoria. Wells crea una magica pozione d’amore che viene somministrata a tutti gli abitanti del villaggio attraverso il tè versato da una grande teiera durante il banchetto. Tutti quelli che lo bevono si addormentano subito, proprio come ha previsto Wells. Quando si svegliano, prevede che ognuno si innamorerà della prima persona che vede. Coloro che sono già sposati ne sono convenientemente immuni. Quando gli abitanti a mezzanotte si risvegliano, si verifica il caos. Il signor Marmaduke si innamora dell’anziana e modesta signora Partlett, sagrestana della chiesa locale; Lady Sangazure si innamora del mago stregone, che spende la maggior parte del secondo atto cercando di eluderne la cattura; anche la fidanzata di Alexis, la bella Aline, beve la pozione e si innamora del vicario del villaggio. L’ordine può essere ripristinato solo dal sacrificio di Alexis o di Mr Wells. Quest’ultimo, scelto per voto popolare, scompare nella terra al suono di un gong e tutto ritorna alla normalità. La gioia generale è accresciuta dal fidanzamento di Sir Marmaduke con Lady Sangazure.

The Sorcerer contiene due tra i migliori personaggi di Gilbert: il sentimentale Dr Daly, che tra l’altro è l’unico religioso presente nelle Savoy Operas, e la stravagante ma alla fine tragica figura di John Wellington Wells.

Con questo lavoro Gilbert e Sullivan smisero di lavorare con grandi attori su cui costruire le parti: da allora preferirono selezionare attori meno conosciuti, ma più malleabili. Gilbert supervisionava l’allestimento delle scene e dei costumi e si occupava anche della regia; Sullivan si occupava direttamente della orchestrazione dei lavori e il risultato finì col portare una ventata di novità nel teatro inglese dell’epoca vittoriana.

Thespis

Arthur Sullivan, Thespis

Primo frutto della collaborazione di William Shenk Gilbert e Arthur Sullivan, Thespis or The Gods Grown Old ebbe il debutto come “operatic extravaganza” al Gaiety Theatre il 26 dicembre 1871, prima di 64 repliche. Quattro anni dopo si consoliderà il loro sodalizio che alla fine conterà altri tredici titoli comunemente ricordati come Savoy Operas: Trial by Jury (1875), The Sorcerer (1876), H.M.S. Pinafore (1878), The Pirates of Penzance (1879), Patience (1881), Iolanthe (1882), Princess Ida (1884), The Mikado (1885), Ruddigore (1887), The Yeomen of the Guard (1888), The Gondoliers (1889), Utopia Limited (1893) e The Grand Duke (1896).

Le vicende del duo Gilbert & Sullivan sono così ben raccontate da Carlo Majer che lasciamo a lui la parola: «Gilbert sta per William – dal 1907 Sir William – Schwenck Gilbert (1836-1911), autore teatrale e librettista londinese. La notorietà di Gilbert ebbe inizio nel 1861, quando incominciò a collaborare con la rivista “Fun” come critico di teatro, poeta e disegnatore satirico, firmandosi con lo pseudonimo BAB. Le poesie che scriveva, poi confluite nelle raccolte Bab Ballads e More Bab Ballads, rivelano un verseggiatore brillante a suo agio in qualsiasi metro, con un gusto spiccato e tutto inglese per la rima insolita. Hanno titoli come Captain Reece, A una Fanciulla da parte di un Poliziotto, I Pericoli dell’Invisibilità, Il Vescovo di Rum-Ti-Foo. Accompagnate spesso da un ritratto a china dei loro protagonisti, diventarono immediatamente popolari, poiché stilizzavano con ironia ed esattezza la grande varietà di tipi sociali e psicologici presenti nell’Impero Britannico, che proprio allora stava arrivando al suo apogeo. Nel 1863 Gilbert fu chiamato a collaborare con i teatri londinesi di varietà. All’inizio si adattò a scrivere o riscrivere all’ultimo momento il testo di qualche canzone per spettacoli che erano già in prova, ma la sua disponibilità e la sua maniera facile e frizzante presto si imposero. Già nel 1866 andava in scena il suo primo spettacolo professionale completo, una burlesque tratta da L’Elisir d’amore e intitolata Dulcamara! Seguirono altre burlesque, fra l’altro ispirate a La fille du régiment di Donizetti, a Robert le Diable di Meyerbeer e alla Norma di Bellini. Il suo ritmo di lavoro diventò frenetico. […] L’influsso del teatro parigino su quello londinese all’epoca era piuttosto forte e nella produzione di Gilbert si notano anche adattamenti di testi di Meilhac e Halévy, i geniali librettisti di tante operette di Offenbach nonché della Carmen di Bizet. Non stupiscono perciò i molti punti di contatto con Orphée aux Enfers di Offenbach del libretto di Thespis, con cui nel 1871 per la prima volta Gilbert lavorò con Sullivan».

E questo per quanto riguarda il librettista, il primo nome della ditta G&S. «E adesso presentiamo l’altro termine del binomio. Sullivan sta per Arthur – dal 1883 Sir Arthur – Seymour Sullivan (1842-1900), compositore molto serio, formatosi all’ombra di Mendelssohn a Lipsia con Ignaz Moscheles e altri insegnanti di quella famosa scuola. Al rientro in patria nel 1862 si fece conoscere con una suite di musiche per The Tempest di Shakespeare eseguita con grande successo al Crystal Palace. Charles Dickens, che era fra il pubblico, alla fine del concerto [gli] fece visita […] diventarono amici e qualche mese dopo visitarono insieme Rossini a Parigi: […] “In Inghilterra c’era così poco per me da imparare. Oramai avevo ascoltato e conoscevo praticamente tutta la musica che si esegue a Londra (e che è tanto poca rispetto a quella che si ascolta qui!)”. In questa frase si riassume il problema della vita musicale inglese dell’epoca. Per chi volesse accedere al mondo della musica colta c’erano due modelli, quello tedesco e quello italiano. Quello italiano voleva dire soprattutto Opera, che al Covent Garden veniva eseguita tutta in italiano, perfino Wagner (fino al recente restauro, quasi tutti i cartelli su quel palcoscenico erano ancora in italiano e inglese); oppure le romanze di Tosti, predilette dalla regina Vittoria. Quello tedesco era oratorio – soprattutto Mendelssohn, più qualche Händel sfigurato per elefantiasi – musica sinfonica e Lied. Il resto era puro entertainment. […] Gli anni Sessanta videro Sullivan consolidare la sua fama di compositore classico. Il suo catalogo registra una sinfonia, le ouverture In Memoriam e Marmion, un concerto per violoncello, l’oratorio The Prodigal Son, e soprattutto una vasta produzione di inni sacri come Onward, Christian Soldiers e romanze come The Lost Chord che gli valsero popolarità e rispetto nei college e nei salotti britannici. A questa produzione seria, quasi impettita, che lo accompagnerà tutta la vita, dal 1866 Sullivan incominciò ad accostare una produzione meno seria di teatro musicale, dapprima rappresentando in privato l’operetta Cox and Box, poi l’anno dopo rappresentando The Contrabandista, or The Law of the Ladrones, un’operetta che per le musiche spagnoleggianti ricorda vagamente La Périchole di Offenbach, che è del 1868». E si arriva così all’incontro con Gilbert e alla creazione di Thespis.

Atto I. Sul monte Olimpo gli dèi si lamentano di sentirsi vecchi e di aver perso la loro influenza sulla Terra. Mercurio li accusa di esser pigri e di lasciargli tutte le incombenze, mentre a lui non va alcun merito per la fatica. Giove ammette che si è raggiunto un livello di crisi, ma non sa come rimediare. Proprio allora gli dèi vedono un nugolo di mortali che salgono sulla montagna e si ritirano per osservarli da lontano. La filodrammatica di Tespi entra per un pic-nic per festeggiare il matrimonio di due suoi membri, Sparkeion e Nicemis. Gli attori, essendo senza un quattrino, non sono riusciti a contribuire sostanzialmente al pic-nic. Sparkeion flirta con la sua ex-fidanzata, Dafne, il che infastidisce Nicemis che per dispetto flirta con Tespi, che però si rifiuta di stare al gioco. Entrano Giove, Marte e Apollo e tutti gli attori fuggono terrorizzati, salvo Tespi. Giove chiede a Tespi se è impressionato dal padre degli dèi e Tespi replica che gli dèi sono ormai insignificanti e suggerisce loro di scendere in Terra in incognito per scoprire ciò che la gente pensa di loro. Gli dèi acconsentono a passare agli attori i loro poteri mentre essi si prendono una vacanza giù sulla Terra. Tespi assicura che lui e la sua compagnia si prenderanno cura dell’Olimpo durante la loro assenza e ogni attore prende il posto di uno degli dèi, con Tespi stesso che sostituisce Giove. Mercurio rimane per offrire eventuali consigli.
Atto II. Un anno dopo. Sotto il comando di Tespi, l’Olimpo è ritornato al suo antico splendore e tutti gli attori si godono la loro ambrosia e il loro nettare. La regola di Tespi è molto liberale, e ha consigliato alla sua troupe di non essere ostacolata da routine, burocrazia e simili. Le assegnazioni celesti, tuttavia, hanno causato alcune difficoltà, in quanto gli intrighi amorosi degli attori nella vita reale sono in conflitto con quelli degli dèi che rappresentano:  Venere, ad esempio, interpretata da Pretteia, dovrebbe essere sposata con Marte, ma l’attore che interpreta Marte è suo padre. Una soluzione già sperimentata sarebbe quella di Venere che ha sposato Vulcano, ma Vulcano è suo nonno. Sparkeion, che ha assunto il ruolo di Apollo, accompagna sua moglie, che interpreta Diana, per i suoi viaggi notturni, ma così il sole splende anche di notte. Mercurio informa Tespi che gli dèi sostituti hanno ricevuto molti reclami da parte dei mortali perché alcuni non svolgono le loro funzioni e certi azzardati esperimenti hanno provocato lo scompiglio nel mondo sottostante. Per esempio Timidon, il sostituto di Marte, è un pacifista e un codardo; il sostituto di Imene si rifiuta di sposare chicchessia e lo pseudo-Plutone è troppo tenero dicuore per far morire qualcuno. Dafne, che interpreta la musa Calliope, sostiene poi, in base a un’edizione espurgata dei miti greci, di essere sposata ad Apollo mentre Apollo, interpretato da Sparkeion, è il fratello di Diana, rappresentata dalla moglie di Sparkeion, Nicemis. Tespi decide allora che Sparkeion è sposato con Dafne mentre sono dèi e il suo matrimonio con Nicemis riprenderà quando saranno di nuovo mortali. Quando gli dèi ritornano sono furiosi: Tespi ha sconvolto l’intero schema della società. Gli attori chiedono di rimanere sull’Olimpo, ma Giove li punisce crudelmente: «Away to Earth, contemptible comedians, | and hear our curse before we set you free; | you shall all be eminent tragedians, | whom no one ever, ever goes to see!» (Tornate alla Terra, spregevoli commedianti e ascoltate la maledizione prima di essere liberati: sarete tutti eminenti attori tragici che nessuno andrà mai a vedere).

Una particolarità di Thespis è lo stile burlesque, molto diverso da quello delle opere successive. A parte la ballad «Little Maid of Arcadee» (pubblicata al tempo delle rappresentazioni) e il coro «Climbing over Rocky Mountains» (poi incorporato in The Pirates of Penzance), di Thespis è andata persa la partitura manoscritta e lo spartito vocale non è mai stato stampato, il che rende problematico l’allestimento di questo lavoro. Cionondimeno, ultimamente è stato fatto un lavoro  di raccolta dei frammenti che ha portato ad alcune rappresentazioni. In rete si possono trovare spezzoni di alcune produzioni.

Dopo Thespis il librettista e il compositore presero inizialmente strade diverse: Gilbert a scrivere commedie, Sullivan a comporre musica sacra, canzoni e ballads. Solo il caso e il fiuto impresariale di Richard D’Oyly Carte li avrebbe fatti riunire nuovamente.

 

Weiße Rose

 

Udo Zimmermann, Weiße Rose

★★★★☆

Vienna, MuTh, 30 giugno 2017

(video streaming)

Il coraggio della gioventù

Ci voleva un grande coraggio per resistere al Nazismo nella Germania del 1942. Questo coraggio l’ebbe un gruppo di studenti poco più che ventenni dell’Università di Monaco: i fratelli Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf. Assieme formarono la “Weiße Rose” (Rosa bianca) per opporsi in modo non violento al Nazismo. Ad essi si unì in seguito il professore Kurt Heber per la stesura di sei opuscoli in cui si incitavano i tedeschi alla resistenza passiva contro il regime nazista. Il settimo non fu distribuito perché i volantini caddero nelle mani della Gestapo e tutti quanti furono arrestati e giustiziati nel 1943. (1)

Venticinque anni dopo, i fatti vengono adattati dal compositore Udo Zimmermann, che era nato a Dresda proprio in quell’anno, per un’opera da camera in un atto con due voci soliste che raccontano gli ultimi istanti di vita dei due fratelli. E col fratello del compositore, Ingo Zimmermann, avviene la stesura del libretto.

Presentata nel 1967, Weiße Rose ha subito una revisione nel 1986 con l’ampiamento dell’organico ed è in questa versione con dodici strumentisti che viene presentata all’Armel Opera Festival in un allestimento di Anna Drescher, regista insignita nel 2015 dello EOP (European Opera-directing Prize).

La musica dura e atonale di Udo Zimmermann dipinge bene la solitudine dei due giovani in attesa della morte, ma non mancano sprazzi di struggente liricità che esprimono la nostalgia per la breve vita, mentre certi passaggi marziali la loro indomita determinazione. Parlato, canto a bocca chiusa, una vocalità cangiante e la gestualità danno teatralità a una vicenda altrimenti statica, appena interrotta da momenti che qui assumono un loro forte significato: lo scambio quasi ossessivo delle giacche, una mela sbucciata e mangiata, i giochi fra fratelli. La scena vuota e buia si riempie solo di lunghe strisce di carta che scendono dall’alto e poi di fogli sparsi a richiamare i volantini gettati all’università per l’ultima volta. Proiettate sulle strisce immagini che si deformano accentuano l’angoscia di due giovani vite che stanno per essere stroncate, angoscia in parte alleviata dalla fede cristiana che professano. Momenti di rassegnazione – «Ich bin zu schwach» (sono troppo debole) intonano a un certo punto in un lugubre duetto scandito dalle percussioni – si alternano fino all’ultimo a momenti di resistenza, anche  contro le pareti che si chiudono inesorabili su loro. Ma hanno ancora la forza di leggere un’ultima volta i loro scritti mentre avanza il terribile ritmo di marcia degli scarponi delle SS. Le ultime note che udiamo sono però quelle del quintetto di Schubert Die Forelle (La trota) che escono da un gracchiante 78 giri.

Musicalmente sono gli insoliti impasti di voci e strumenti a caratterizzare questo intenso lavoro di Zimmermann. Assieme all’orchestra sinfonica di Biel Solothurn (Svizzera) diretta da Kaspar Zehnder, due validi solisti: Wolfgang Resch e Marion Grange.

(1) In Italia nel 1971 la vicenda è stata oggetto di uno sceneggiato televisivo in due puntate di Alberto Negrin e poi di un libro di Paolo Ghezzi del 1993.

 ⸪

Operetka

Michał Dobrzyński, Operetka

★★★☆☆

Vienna, MuTh, 2 luglio 2017

(video streaming)

Nudità contro vestiti: il grottesco di Gombrowicz in musica

Fedele al suo intento di scoprire nuove opere, l’Armel Opera Festival presenta l’inedito lavoro di un giovane compositore polacco, Michał Dobrzyński, classe 1980. Si tratta di Operetka, che mette in musica l’omonimo lavoro teatrale di Witold Gombrowicz, scrittore e drammaturgo nato in Polonia nel 1904 e morto nel 1969. Uno dei temi che ha affrontato nei suoi lavori è quello del contrasto fra le classi sociali nel suo paese, tema che ritroviamo in questa pièce del 1967 la cui gestazione è durata quindici anni. Come racconta Gombrowicz stesso nella prefazione: «Mi ha sempre affascinato la forma dell’operetta, a mio modo di vedere una delle più felici che il teatro abbia prodotte. Se l’opera ha qualcosa di goffo, d’irrimediabilmente pretenzioso, l’operetta, nella sua sublime idiozia, nella sua celeste sclerosi, vola sulle ali del canto, della danza, del gesto, della maschera ed è, secondo me, teatro perfetto, perfettamente teatrale. Nessuna meraviglia dunque che io mi sia lasciato tentare».

«Operetta è, come molte altre grandi opere, e anche a differenza di altrettante, continuamente contraddittoria: questa sorta di Valhalla, abitato dai numerosi personaggi che danno vita ad una sfrenata danza di morte, è un “gran teatro del mondo”, solo che del Siglo de oro non c’è più nulla, neanche metaforicamente. Come nel racconto di Poe in cui la Casa Usher lascia intravedere una fessurazione poco prima di precipitare rovinosamente, nell’opera di Gombrowicz scorgiamo sin dall’inizio una stortura, una sotterranea sovversione, una tragedia che si approssima. E che si sostanzia nelle ultime scene, di orgia funesta, di suprema bestialità, di canto paradossale». (Alessandro Puglisi)

Il lavoro mette in scena il contrasto tra il fatuo mondo dei ricchi e la sua vuotezza spirituale, con il pathos della storia vera, gli orrori e le sofferenze reali. «In questi tempi socialisto-democratici ed ateisto-socialistici, l’abito è diventato il baluardo più potente delle classi superiori. Le sfumature, le sottigliezze, i mezzi-toni, gli arabeschi enigmatici in cui si smarriscono i non iniziati, son il nostro modo, il modo delle classi superiori, di isolarci dalle classi inferiori» dice un personaggio.

Ma lasciamo allo stesso Gombrowicz di “raccontarci” la vicenda.

«L’azione. Atto primo. Epoca anteriore alla prima guerra mondiale, diciamo intorno al 1910. Dandy e gaudente navigato, il conte Agenore, figlio del principe Himalay, progetta la conquista di Albertina la carina. Ma come fare la conoscenza di Albertina senza esserle stato presentato? Agenore architetta il seguente intrigo: assoldato allo scopo, una giovane canaglia, un mariuolo, si avvicinerà ad Albertina addormentata su una panca e le sgraffignerà qualcosa… portamonete, medaglione… Agenore coglierà il mariuolo sul fatto, cosicché, senza infrangere le regole del saper vivere, potrà presentarsi alla fanciulla. Ma che succede? Albertina avverte nel sonno la mano del mariuolo e sogna una carezza non dovuta al furto, ma all’amore… e non destinata al medaglione ma al suo corpo. D’ora innanzi, la fanciulla, eccitata e rapita, vagheggerà la nudità… e non perderà occasione di addormentarsi per sentire ancora quel contatto denudante. Maledizione! Agenore, il conte Agenore, vestito da capo a piedi, detesta la nudità, va pazzo per i vestiti! Per sedurre la ragazza non fa affidamento sulla nudità, ma sull’eleganza dei suoi modi, del suo abbigliamento! Non desidera spogliarla, bensì al contrario vestirla dai sarti, dalle modiste piú costosi… Ma chi arriva dritto dritto da Parigi in visita al castello Himalay? Il celebre Flor in persona, maestro universale e dittatore della moda maschile e femminile. Si organizza un gran ballo al castello, con una presentazione di modelli durante la quale il maestro lancerà le sue nuove creazioni. Sicché, mentre Albertina sogna la nudità, la Moda, lo Chic, le Toilettes regnano sovrane sotto la direzione di Flor! Il maestro però è incerto e timoroso: quale moda decretare, quale silhouette lanciare coi tempi che corrono, inafferrabili, decadenti, sinistri, e se non si capisce in quale direzione si eserciti la pressione della Storia? Hufnagel, conte e scudiero, gli prodiga i suoi consigli. Pro-poniamo agli invitati — egli dice — di collaborare. Facciamo una mascherata: coloro che desiderano partecipare al grande torneo della nuova moda metteranno un sacco sopra gli abiti che avranno escogitato. Al segnale convenuto, i sacchi cadranno. La giuria premierà le migliori creazioni e Flor, arricchito dai suggerimenti dei concorrenti, proclamerà la moda per gli anni a venire. Maledizione! Hufnagel non è né Hufnagel, né conte, né scudiero! No, è Giuseppe, ex maggiordomo del principe Himalay, un tempo licenziato, divenuto agitatore e militante rivoluzionario! Ah! Ah! Ah! Introdotto al castello sotto falso nome dal professore (marxista), questo terrorista mascherato, col pre-testo del ballo in maschera, desidera introdurre al castello una Moda piú sanguinosa, un Costume piú terrificante… Vuole seminare la rivolta tra il servidorame che, finora, ha lucidato e spazzolato gli stivali… Vuole la Rivoluzione!

«Atto secondo. Ballo al castello Himalay. Arrivano, nei sacchi, gli invitati che partecipano al concorso della nuova moda. Agenore accompagna Albertina. Sovraccarica di abiti (infatti Agenore, invece di spogliarla, la veste) e sempre soggiogata dal contatto del mariuolo, si addormenta continuamente… e sogna la nudità… invoca la nudità nel sonno. Tutto ciò fa andare fuori dei gangheri Agenore e il suo rivale, Firulet. Agenore è venuto al ballo con il suo mariuolo al guinzaglio. Per tenerlo sott’occhio, affinché non debba combinarne una delle sue? O è geloso di quel libero contatto di ladro, oppure è tentato, forse eccitato all’idea che il mariuolo possa rovistare dappertutto con le sue dita di ladro? Anche Firulet, il rivale, tiene un mariuolo al guinzaglio. Incapaci di rispondere all’appello onirico di Albertina, Agenore e Firulet si scherniscono l’un l’altro, e un tragico desiderio di autodistruzione lí spinge al duello. Infine, quando il ballo risplende con tutto il fulgore delle toilettes e delle maschere, i rivali disperati liberano i mariuoli e li lanciano tra la folla: che se la spassino, rubino, frughino! Caos. Panico. I mariuoli rubano per diritto e per traverso, mentre gli invitati, che non sanno chi li tocchi, chi li solletichi, si mettono a pigolare, a farneticare! Finite le buone maniere e la sfilata dei modelli, siamo in piena rovina! Hufnagel, lo scudiero-terrorista, parte al galoppo alla testa del servidorame… È la rivoluzione.

«Atto terzo. Rovine del castello Himalay. La rivoluzione. Il vento della Storia… È passato un certo tempo. Siamo dopo la seconda guerra mondiale, dopo la rivoluzione. I vestiti degli uomini sono a brandelli… Fra i sibili del vento, alla luce dei lampi, appaiono i piú bizzarri travestimenti: il principe-lampada, il curato-donna, un’uniforme nazista, una maschera antigas… Tutti si nascondono, non si sa piú chi uno sia… Hufnagel, lo scudiero, alla testa dello squadrone del servidorame, galoppa inseguendo i fascisti e i borghesi. Maestro Flor, disorientato, sbalordito, si sforza di raccapezzarsi in questa nuova Rivista delle Mode. Comincia il processo dei fascisti arrestati. Invano Flor esige una procedura legale, normale. Tempesta! Tempesta! Il vento soffoca tutto, trascina tutto! Ma che succede? Compaiono Agenore e Firulet, cacciando le farfalle. Dietro di loro, una bara portata da due becchini. Raccontano la loro triste storia: al famoso ballo, Albertina è scomparsa, si sono ritrovati soltanto i numerosi resti del suo guardaroba! Anche i mariuoli sono spariti. Convinti che Albertina sia stata denudata, violentata e assassinata, Agenore e Firulet sono allora andati pel vasto mondo con quella bara, alla ricerca del corpo nudo di Albertina, per seppellirlo. A questo punto, tutti depongono nella bara i propri fallimenti e le proprie sofferenze. Ma che succede? Quando, finalmente, maestro Flor, al colmo della disperazione, maledicendo l’Abbigliamento degli uomini, e la Moda, e le Maschere, depone nella bara la santa, l’ordinaria, l’eternamente sfuggente Nudità umana, ecco che dalla bara si alza, nuda, Albertina! Come ha fatto a trovarsi nella bara? Chi ve l’ha nascosta? I due becchini lasciano cadere la maschera: sono i mariuoli! Loro hanno rapito Albertina al ballo, l’hanno spogliata, nascosta nella bara… Nudità eternamente giovane, giovinezza eternamente nuda, nudità eternamente giovane, giovinezza eternamente nuda… ».

Il lavoro di Dobrzyński è un’opera buffa e come l’originale da cui deriva è in tre atti in cui si alternano brani parlati a numeri cantati. Lo stile atonale lucidamente ricreato da Przemysław Fiugajskie a capo dell’Opera Sinfonietta ha come modello il Naso di Šostakovič di cui riprende lo stile grottesco, già comunque presente nella pièce teatrale, ma la prosa allucinata e visionaria di Gombrowicz qui trova solo un pallido corrispettivo in questo allestimento dell’Opera da Camera di Varsavia al MuTh (Musik&Theater) di Vienna. Il regista Jerzy Lach porta al parossismo la differenza fra le due classi sociali preminenti, con l’aristocrazia costretta nei corsetti delle regole e delle norme, stretti come la loro apertura mentale. Lo stile dei loro abiti è pomposo come il loro parlare e stravagante come il ripetuto gestire. La recitazione, i ricchissimi costumi (il costumista non è citato nella locandina dello spettacolo) e la scenografia tutta specchi di Jerzy Rudzky compongono uno spettacolo comunque visivamente attraente. Omogenea la compagnia polacca formata da efficaci cantanti-attori.

Prima Donna

Rufus Wainwright, Prima Donna

★★☆☆☆

Budapest, Thália Színház, 28 giugno 2017

(video streaming)

Dal pop all’opera nel nome della Callas

Il cantante Rufus Wainwright, autore dell’indimenticabile Going To A Town, tenta nuove strade con il Metropolitan di New York che gli commissiona un’opera. La sua scelta di utilizzare il francese per il testo incontra però l’opposizione del sovrintendente Peter Gelb ed è quindi il Manchester International Festival che si incarica di presentare la sua prima opera lirica, un omaggio all’ultima primadonna, Maria Callas. Su libretto del cantante stesso e di Bernadette Colomine, sua amica da sempre, il 10 luglio 2009 il Palace Theatre di Manchester vede dunque il debutto del suo lavoro. L’autore si presenta alla prima travestito da Giuseppe Verdi (barba, sciarpa bianca e cilindro) e il marito Jörn Eisbrodt da Giacomo Puccini (completo color crema e paglietta), come si può vedere in questo documentario di quasi un’ora e mezza che svela i segreti della composizione e molto altro.

Ulteriori repliche si hanno al Sadler’s Wells Theatre di Londra, a Toronto (2010) e a New York (2012). Una nuova versione, che include un video di Francesco Vezzoli con l’artista Cindy Sherman, è stata poi presentata a Parigi nel 2015 e un doppio album della Deutsche Grammophon ne riporta la registrazione audio, Prima Donna: A Symphonic Visual Concert

Atto I. Mattina presto nell’appartamento parigino di Régine Saint Laurent. È il 14 luglio, festa nazionale della Francia. Régine (La Prima Donna) si sveglia dopo una notte di sonno agitato. La sua nuova cameriera, Marie, le parla del marito ubriaco e violento mentre Régine si tormenta per il ritorno sul palco dopo una pausa di sei anni. Parla del ruolo della sua vita, come Aliénor, la forte e potente regina di Francia e Inghilterra, in un’opera scritta per lei quando era all’apice della sua carriera. Il maggiordomo di Régine, Philippe, entra con il suo assistente François. Régine dovrebbe prepararsi per un’intervista con un giornalista, cosa che le è sfuggita di mente. Dopo che Philippe ha mandato Régine a cambiarsi, François lo aiuta a prepararsi per l’incontro. Philippe diventa nostalgico per i vecchi tempi di splendore e fama, ormai solo un lontano ricordo. Il suono del campanello annuncia l’arrivo del giornalista André Letourneur. Régine fa un ingresso sgargiante. Régine si commuove quando André le chiede di Aliénor d’Aquitaine, la sua ultima esibizione. André vede la leggenda che ammira da quando ha studiato per diventare tenore al conservatorio. La esorta a riprendere la sua carriera di cantante. Si siede al pianoforte e insieme cantano l’iconico duetto di innamorati di Aliénor d’Aquitaine. Quando raggiungono il climax appassionato, la voce di Régine si spezza. Philippe interviene e tutti concordano sul fatto che Régine ha bisogno di riposo. André dice che tornerà più tardi quella sera. Con inquietudine, nota come Régine sia piena di nuove speranze per il futuro.
Atto II. Sera. Sono in corso i preparativi per le celebrazioni della festa nazionale. Marie canta della vita semplice nella casa in Piccardia paragonando l’ingenuità della giovinezza alla vita frenetica e materialista di Parigi. Mentre Régine si riscalda, cerca di capire cosa è andato storto durante l’intervista. Quando è da sola, può raggiungere quell’ambita nota alta, ma ogni volta che cerca di trovare un significato più profondo e tenta di esprimerlo fallisce. Per poter cantare Aliénor, o qualsiasi altro ruolo, avrà bisogno di ascoltare una registrazione che non ha mai osato ascoltare. Pensa a quello che è stato mentre è alle prese con la sua scarsa sicurezza e i suoi nervi. Infine, mentre ascolta la leggendaria registrazione, viene trasportata indietro nel tempo a quando ha eseguito per la prima volta il duetto degli amanti. Il re Enrico II d’Inghilterra dell’Aliénor d’Aquitaine entra nel giardino in forma di André e dichiara il suo amore per la regina. Régine diventa Aliénor e interpreta la scena magica alla perfezione. Quindi Régine si sveglia dalle sue fantasticherie, rendendosi conto che non può ripetere il suo precedente successo e che non tornerà mai più sul palco. Il mondo di Philippe va in pezzi e decide di scomparire dalla vita di Régine proprio mentre il campanello annuncia il ritorno del giornalista. André offre una sorpresa sgradita: è fidanzato e ha portato con sé la sua fidanzata. André chiede a Régine un ultimo favore: potrebbe per favore firmare la sua copia di Aliénor d’Aquitaine? La Prima Donna firma il suo ultimo autografo, poi esce sul balcone da sola mentre i fuochi d’artificio del 14 luglio illuminano il cielo.

Prima Donna viene ora ripresa nel corso dell’Armel Opera Festival 2017 al teatro Thália della capitale ungherese. Vajda Gergely direttore e Alföldi Róbert regista mettono in scena la giornata di una matura cantante lirica, Régine Saint-Laurent (nome che omaggia il soprano Régine Crespin e ricorda il Saint-Laurent Boulevard, locale di travestiti di Montréal assiduamente frequentato dall’autore), che si confronta con i fantasmi del suo passato, soprattutto la solitudine, mentre si prepara con ansia al suo ritorno in scena dopo sei anni di silenzio dall’ultima sua performance nell’Aliénor d’Aquitaine. Siamo al 14 luglio 1970 a Parigi e non è difficile scorgere nella vicenda un’eco della vita dell’ultima divina del palcoscenico, anche se si spera che i suoi ultimi tempi non siano stati squallidi come quelli che vediamo in scena qui – almeno non il maglione liso e sformato che indossa Régine.

Diviso in due atti di 23 e 12 scene rispettivamente, il lavoro ha la forma di una serie di arie solistiche o meglio songs, quasi senza dialoghi, che passano dal lirico al drammatico – notevole «À ton âge, François» che precede l’arrivo del giornalista che deve intervistare Madame o l’aria dei vocalizzi della cantante o l’ultima «Les feux d’artifice». Ma non mancano i duetti, come il lungo «Dans ce jardin», e momenti puramente orchestrali, come le ouverture ai due atti, la “meditation”, l’interludio finale e la “brief percussion firework music”. I personaggi sono, oltre a Régine, la cameriera Marie, il maggiordomo Philippe e il giornalista André di cui Madame si innamora e che per un momento sogna di avere accanto a sé nel nuovo debutto, prima di rinunciare definitivamente al progetto: Règine ha una mezza intenzione di gettarsi dalla finestra, ma finisce invece per ammirare i fuochi d’artificio.

Come ha detto l’autore le sue canzoni sono sempre state solo una preparazione alla scrittura di un’opera, o meglio diremmo che le sue canzoni sono tutte piccole opere. Lo stile del lavoro ha Puccini, Massenet, Richard Strauss, Poulenc come numi tutelari. La figura di Régine può sì richiamare alla lontana la Marschallin del Rosenkavalier, ma la musica è molto più semplice e senza sviluppo, il che rende il lavoro poco profondo nonostante la piacevolezza delle melodie e la ricca strumentazione che però spesso sopraffà le voci in scena. D’altronde l’autore non ha avuto una formazione accademica e il lavoro di scrittura della partitura è stato fatto interamente al computer. Né è di aiuto il libretto, piatto e senza una vera tensione drammatica.

Bruttino l’impianto scenico dell’allestimento ungherese, che ha elementi principali in un tappeto tondo con le lucine e una tenda che, come un sipario, viene aperta e chiusa incessantemente, ma senza motivo. Dei quattro interpreti si fa notare solo il bravo soprano coreano Je Ni Kim nella parte della cameriera Marie che si esprime con agio in un registro perigliosamente acuto.

Dopo aver visto una produzione così modesta, viene il sospetto che l’appassionato lavoro di Wainwrigt sia più adatto a una versione concertistica.

  • Prima Donna, Ogren/Forslund, Stoccolma, 10 ottobre 2020

Patience

Arthur Sullivan, Patience

La sesta delle Savoy Operas di Gilbert & Sullivan debuttò all’Opera Comique Theatre di Londra il 23 aprile 1881 prima di trasferirsi nel più capace e moderno (il primo al mondo a essere fornito di illuminazione elettrica) Savoy Theatre il 10 ottobre, dove raggiunse le 578 repliche consecutive, sette in più della precedente H.M.S. Pinafore.

Tutte le fanciulle del villaggio sono invaghite di Reginald Bunthorne, «fleshly poet», un poeta mesto e fascinoso, che però ha occhi solo per Patience, la modesta lattaia. Le pretese artistiche di Bunthorne sono solo un espediente per attirare le donne – lui nenche ama la poesia! Patience è invece innamorata del suo amico d’infanzia, Archibald Grosvenor, lui sì un vero poeta, «lyric poet», ma sente di non poterlo sposare perché è troppo perfetto. Nel frattempo, il prosaico plotone delle Heavy Dragoon Guards che avrebbe voluto sposare le fanciulle del villaggio si trova sgomento dalla improvvisa perdita di prospettive. Solo quando Patience scoprirà le imperfezioni di Grosvenor si deciderà a sposarlo lasciando Bunthorne al «vegetable love» che tanto ha declamato.

Patience or Burnthorne’s Bride poneva in satira il movimento estetico che negli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento trasformava ogni borghese in un esteta per il quale il bello era al di sopra di ogni considerazione pratica. Messo alla berlina sulla rivista “Punch” il tema era stato oggetto anche della pièce The Colonel di F.C.Burnand che fece concorrenza all’opera di G&S.

Gibert si è divertito nel far declamare a Bunthorne versi enfatici e oscuri (1) che echeggiano la poesia decadente di Algernon Swinburne, mentre quelli di Grosvernor, semplici e pastorali (2), si rifanno alle poetiche di Coventry Patmore e William Morris. Il primo Bunthorne aveva il monocolo e la pettinatura del pittore McNeill Whistler, indossava una giacca di velluto come Swinburne e i pantaloni al ginocchio come Oscar Wilde.

In alcuni allestimenti moderni l’epoca è stata aggiornata a quella hippy degli anni ’60 del secolo scorso, facendo di un poeta beat il rivale di un poeta figlio dei fiori, ma l’argomento e l’ambiente rendono questa operetta una delle più difficili da esportare al di fuori del mondo anglosassone. Gli allestimenti filmati disponibili in rete sono tutti di istituzioni universitarie americane e inglesi: Wheaton College Opera Music Theater (2009), Hull University Gilbert & Sullivan Society (2012), Colorado State University (2013), Medway Community Centre (2013), John Brown University (2015), quest’ultima con solo accompagnamento di pianoforte.

(1) «What time the poet hath hymned | The writhing maid, lithe-limbed, | Quivering on amaranthine asphodel, |  How can he paint her woes, | Knowing, as well he knows,  | That all can be set right with calomel?  | When from the poet’s plinth | The amorous colocynth | Yearns for the aloe, faint with rapturous thrills, |  How can he hymn their throes  | Knowing, as well he knows, | That they are only uncompounded pills?  | Is it, and can it be, Nature hath this decree, | Nothing poetic in the world shall dwell? | Or that in all her works | Something poetic lurks, | Even in colocynth and calomel? | I cannot tell».

(2) «Conceive me, if you can, An every-day young man: A commonplace type, | With a stick and a pipe, And a half-bred black-and-tan; | Who thinks suburban “hops” | More fun than “Monday Pops”, Who’s fond of his dinner, And doesn’t get thinner | On bottled beer and chops».