Contemporanea

The Snow Queen

Hans Abrahamsen, The Snow Queen

Monaco di Baviera, Nationaltheater, 21 dicembre 2019

★★★★☆

(video streaming)

La favola di Andersen diventa un onirico e inquietante spettacolo

Snedronningen (La regina delle nevi) è stata presentata in anteprima nell’ottobre 2018 al Kongelige Teater di Copenaghen nella lingua del suo compositore, il danese Hans Abrahamsen. A 66 anni, è la sua prima opera lirica. Tratto ovviamente dal racconto omonimo di Hans Christian Andersen del 1844, il libretto non si scosta molto dalla fiaba che è strutturata in sette storie. (1)

Atto I. I bambini Gerda e Kay ascoltano la nonna che racconta loro della Regina delle Nevi e Kay immagina di portare la Regina delle Nevi nella stanza calda e di vederla sciogliere. Gerda racconta che il diavolo ha creato uno specchio magico che fa sembrare brutto tutto ciò che è bello e che si è rotto in un milione di piccoli pezzi. Spiega che chi si fosse procurato una di queste schegge nell’occhio o nel cuore avrebbe visto solo le imperfezioni delle cose; la freddezza avrebbe intorpidito il cuore. Quella notte, Kay è così spaventato che non riesce ad addormentarsi. Quando vede la Regina delle Nevi alla finestra è terrorizzato. Mentre Gerda e Kay guardano le rose in fiore, Kay viene improvvisamente trafitto da qualcosa nel cuore e poi nell’occhio. Da questo momento in poi, anche lui vede solo l’imperfezione dei fiori e allora si prende gioco di Gerda e fa a pezzi le rose. L’amicizia tra Kay e Gerda si indebolisce. Invece di giocare con lei, Kay preferisce giocare con gli altri ragazzi che non lo lasciano partecipare al loro gioco. Allo stesso tempo, Kay ammira la simmetria e la perfezione dei cristalli di ghiaccio. La Regina delle Nevi appare sulla sua slitta e porta con sé il ragazzo. La Regina delle Nevi vola con Kay nel suo palazzo di ghiaccio. Lo bacia sulla fronte, facendogli perdere la sensazione di freddo e dimenticando il mondo che conosceva.
Atto II. Gerda ha iniziato la ricerca di Kay e si ritrova nel giardino della Vecchia dove i fiori le cantano la canzone delle tre sorelle morte. Ma Kay, annunciano, non è morto. Gerda lascia il giardino e continua la sua ricerca. Incontrando il Corvo della Foresta, Gerda scopre che la principessa è alla ricerca di un uomo che sia alla sua altezza in saggezza. Poiché Gerda sospetta che Kay possa essere il prescelto, il Corvo della Foresta la porta al castello del Principe e della Principessa. Arrivata al castello, il Corvo del Castello permette a Gerda di entrare, ma è subito perseguitata da apparizioni sinistre e inquietanti. Quando finalmente trova la principessa e il suo principe, si rende conto del suo errore. Il Principe e la Principessa premiano i Corvi per la loro buona azione e promettono di aiutare Gerda alla quale viene concesso di dormire nel letto del Principe. In sogno vede Kay sulla sua slitta.
Atto III. Il Principe e la Principessa hanno consegnato a Gerda la loro carrozza d’oro perché possa continuare la sua ricerca di Kay. Nella foresta la carrozza cade in un’imboscata dei briganti, che uccidono tutti i viaggiatori tranne Gerda. Con l’aiuto della renna, che la porta più a nord, Gerda incontra la Donna Iinnica. La renna racconta alla Donna Finnica di come Gerda sia stata tenuta prigioniera dai briganti e dell’ipotesi che Kay sia con la Regina delle Nevi. Alla fine la Donna Finn spiega i retroscena della scomparsa di Kay. Incoraggia Gerda nella sua ricerca, ma rifiuta di dotarla di poteri speciali, poiché Gerda è già in possesso di tutte le capacità necessarie per trovare Kay. Ordina alle renne di portare Gerda nel regno della Regina delle Nevi e di tornare indietro. Arrivata nel regno della Regina delle Nevi, la renna si congeda da Gerda baciandola sulla bocca e piangendo. Il freddo la colpisce e gli avamposti della Regina delle Nevi la invitano a tornare indietro. Ma gli angeli che nascono dal suo respiro la proteggono dalla minaccia. Nel frattempo, nel palazzo di ghiaccio della Regina delle Nevi, Kay deve affrontare il compito di trovare la parola perfetta, ma è quasi pietrificato dal freddo e dalla disperazione. La Regina delle Nevi ha lasciato il palazzo. Quando Gerda finalmente lo trova, entrambi iniziano a piangere. Attraverso le lacrime, Kay viene liberato dalle schegge negli occhi e nel cuore. Insieme Gerda e Kay scoprono la parola “eternità”. Quando Gerda e Kay tornano a casa, la nonna sta ancora leggendo un libro illustrato. Ma Kay e Gerda sono cresciuti anche se sono rimasti bambini nel cuore. È di nuovo estate.

Abrahamsen negli anni Settanta aveva già concepito un brano “invernale”, Winternacht, basato sull’omonimo poema di Georg Trakl, come un pezzo per soprano ed ensemble strumentale, ma desiderava comporre un’opera teatrale. Questo progetto fu sostenuto, tra gli altri, da Hans Werner Henze, che suggerì al compositore di comporre un’opera già negli anni Ottanta, in vista della prima Biennale di Monaco. Solo nel 2008, quando sta lavorando alla composizione di  Schnee, dieci canoni per nove strumenti, Abrahamsen riprende in mano l’idea di un’opera di teatro musicale. In quel periodo era profondamente coinvolto dal tema della neve e in questo contesto legge la fiaba di Hans Christian Andersen. Abrahamsen ne associa la forma episodica al suo Drei Märchenbilder aus der Schneekönigin, basato sul brano di Robert Schumann, in cui tratta l’idea di assemblare storie da immagini. Sulla base della fiaba, il compositore ha sviluppato un libretto d’opera, in collaborazione con il drammaturgo Henrik Engelbrecht, che prende scene selezionate della fiaba pur conservandone in gran parte il linguaggio originale. Ispirato dalla collaborazione con il soprano Barbara Hannigan per la composizione Let me tell you, ciclo per voce e orchestra, è poi cresciuto il desiderio di scrivere una parte per la sua voce.

Fredda e fragile come un fiocco di neve, la partitura di Abrahamsen è adatta ad accompagnare la inquietante e un po’ sinistra vicenda ambientata tra ghiaccio e neve. La musica è molto originale, con un tocco di minimalismo. Il suo lavoro di orchestrazione di lavori del passato – Bach, Schumann, Debussy, Schönberg, Ligeti – si ritrova nella ricchissima strumentazione di quest’opera. Il paesaggio sonoro di The Snow Queen è monocromo e fermo come un passaggio innevato, ma un intreccio di linee tematiche finisce per fornire strati di schemi ritmici delicati, costantemente ripetuti e mutevoli, transizioni appena percettibili esaltate dalla varietà timbrica di un organico sterminato – 4 flauti, due oboi, corno inglese, 4 clarinetti, tre fagotti; sei corni compresa una tuba wagneriana, due trombe, due trombe basse, tre tromboni, basso tuba; timpani, xilofono, marimba, glockenspiel, vibrafono, campane tubolari, piccoli tamburi tubolari, tamburi bassi, rullante, congas, tamburelli, cimbali, tam-tam, macchina del vento, campanelli, carta vetrata, maracas, legnetti, güiro, triangolo, fruste; 2 arpe; fisarmonica; sintetizzatore, celesta e archi. Tutto questo però non serve a fornire volume, bensì una continua varietà di colori, o meglio, di sfumature del bianco. Le linee vocali sono lasciate emergere sopra la trama orchestrale e sono anche generalmente abbastanza cantabili essendo all’interno di una gamma relativamente stretta, ad eccezione di quelle di Gerda e della Principessa, entrambe scritte con alcuni salti nella stratosfera acustica. L’uso di armonici estremamente alti negli archi, di fiati gargarizzanti o di minacciose interiezioni degli ottoni nella parte inferiore della loro gamma, crea un’atmosfera di pericolo sotto la superficie fiabesca.

Questa nuova produzione della Bayerische Staatsoper segna la prima in lingua inglese dell’opera nella traduzione di Amanda Holden. La neve è protagonista nella fiaba di Andersen e lo è anche nella messa in scena di Andreas Kriegenburg, una versione per adulti della favola. Che la Regina delle Nevi sia interpretata da un basso, che chieda a Kay di venire a baciarla e di essere protetta nel suo cappotto, che Gerda si conceda uno spazio per dormire nel letto del Principe, o ancora che Gerda baci appassionatamente la renna, sono tutti elementi che indicano qualcosa di molto oscuro, una corrente di abusi che si nasconde sotto il candore immacolato delle immagini. Nella sua lettura Kriegenburg prende il rapporto personale tra Gerda e Kay e lo sviluppa in una storia di ricerca disperata di Gerda per riconquistare il suo unico vero amore, che apparentemente soffre di apatia e mutismo dopo aver subito chissà quale  trauma. Quale sia stato questo trauma infatti non è chiaro. La sua è una messa in scena che è una meditazione sulla memoria, che trascende il tempo con molteplici versioni di Gerda e Kay, da bambini, adolescenti o adulti, in ogni momento o contemporaneamente, con il Kay adulto interpretato da un attore, l’intenso Thomas Gräßle. L’ambiente ricostruito nella scenografia di Harald B. Thor è quello di un ospedale: lettini, pigiami, suore infermiere. La presenza di altri pazienti suggerisce che il trauma di Kay non è unico. I vari piani di profondità della scena sono separati da teli traslucidi e cade in continuazione neve, tanta neve. Ricchi e suggestivi i costumi di Andrea Schraad e particolarmente riusciti quelli dei corvi.

L’eccellenza della direzione musicale di Cornelius Meister era da aspettarsela e qui se ne ha la dimostrazione: le gelide ma delicate armonie di Abrahamsen sono rese con competenza e precisione e la concertazione di cantanti e coro è impeccabile. Barbara Hannigan, per la cui voce è stata scritta la parte di Gerda, si conferma la grande artista che sappiamo: presenza scenica e vocale sono oltre ogni confronto. Nella parte del Kay che si esprime Rachael Wilson offre la sua sicura tecnica, mentre Katarina Dalayman affronta con consumata abilità i tre personaggi di Nonna, Vecchia e Donna Finnica. Come s’è detto la Regina delle Nevi ha qui la voce di un basso, l’autorevole Peter Rose, anche Renna e Orologio. Nella parti esangui del Principe e della Principessa si fanno notare per la bella prova il tenore Dean Power e il soprano norvegese Caroline Wettergreen dagli acuti svettanti. Il tenore Kevin Konners e il controtenore Owen Willetts sono i due idiomatici corvi. Sugli scudi anche il coro della Bayerische Staatsoper. 

(1) Prima storia. Lo specchio e le schegge. In questa prima sezione viene narrato l’antefatto: si racconta come un troll malvagio (in alcune traduzioni il diavolo) abbia creato uno specchio capace di fare sparire tutto ciò che di bello si specchia in esso, e di accentuare e di deformare tutto il cattivo. In seguito, lo specchio si rompe in milioni di frammenti che vengono dispersi per il mondo, entrando negli occhi e nei cuori degli uomini corrompendo le loro anime.
Seconda storia. Un bambino e una bambina. Si presentano i protagonisti, il bambino Kay e la bambina Gerda. Kay e Gerda sono vicini di casa e le loro finestre, all’ultimo piano di alti palazzi, sono unite da un piccolo giardino pensile, ricolmo di rose. Un giorno, mentre i bambini sono nel giardinetto, un frammento dello specchio malvagio entra nell’occhio di Kay. Da quel momento Kay diviene cattivo e acido con tutti, persino con Gerda. Un giorno, mentre Kay gioca con lo slittino nella piazza del paese, si attacca alla slitta della regina delle nevi e viene trascinato via, senza riuscire a staccarsi. La regina delle nevi lo incanta con un bacio, facendogli perdere la memoria e impedendogli di avvertire il freddo.
Terza storia. Il giardino fiorito della donna che sapeva compiere magie. Nella terza parte Gerda, disperata per la scomparsa di Kay, decide di andare a cercarlo. Sale su una barchetta e chiede al fiume, in cambio delle sue scarpette rosse, di portarla da Kay. La barca si arena nei pressi di una casetta in mezzo a un giardino di fiori, dove vive una vecchia maga. La maga incanta Gerda facendole dimenticare Kay e fa scomparire tutte le rose del giardino sottoterra, affinché queste non le ricordino il suo amico perduto. Ciononostante, dopo qualche tempo Gerda vede una rosa dipinta, si ricorda di Kay e, dopo avere interrogato invano tutti i fiori del giardino, riparte alla sua ricerca. Nel frattempo è arrivato l’autunno.
Quarta storia. Il principe e la principessa. Nella quarta storia Gerda incontra una cornacchia, che le racconta di come un ragazzo sconosciuto abbia da poco sposato la principessa del paese. Nella sua descrizione Gerda crede di riconoscere Kay e, con l’aiuto della cornacchia, entra nella reggia e nella stanza della principessa e del suo sposo. Però questi non è Kay, sebbene gli somigli. Commossi dalla sua storia, i principi regalano a Gerda una carrozza con la quale proseguire la ricerca.
Quinta storia. La figlia del brigante. In questa sezione Gerda viene assalita dai briganti, a causa della carrozza e dei ricchi vestiti che le sono stati donati. I briganti vogliono ucciderla, ma vengono fermati dalla figlia del capo, che desidera che Gerda diventi la sua compagna di giochi. La figlia del brigante tiene prigionieri due colombi selvatici e una renna, i quali, dopo avere ascoltato la storia di Gerda, le dicono di avere visto Kay in Lapponia, nel palazzo della regina delle nevi. La figlia del brigante lascia liberi Gerda e gli animali, che partono per la Lapponia.
Sesta storia. La donna di Lapponia e la donna di Finlandia. Gerda trova ospitalità in Lapponia presso una povera donna. La donna di Lapponia le affida un messaggio – scritto su un pesce – per la donna di Finlandia, che potrà aiutarla. La donna di Finlandia, una maga, spiega a Gerda dove sia il palazzo della regina delle nevi e le spiega che non avrà bisogno di altri poteri per sconfiggere la regina oltre quelli che ha già.
Settima storia. Che cosa era successo nel castello della regina delle nevi e che cosa accadde in seguito. Qui viene raccontato come Kay sia stato soggiogato dalla regina delle nevi e costretto a comporre all’infinito parole con alcuni frammenti di ghiaccio. Solo se riuscirà a comporre la parola “eternità” potrà arrivare a essere padrone della propria vita. Mentre Gerda sta arrivando al palazzo, la regina lo lascia solo. Gerda trova Kay, lo abbraccia e con le lacrime scioglie il ghiaccio nel cuore di Kay. Kay la riconosce e si mette a piangere, facendo così uscire dall’occhio il frammento di specchio. Mentre Kay e Gerda festeggiano e danzano, le vibrazioni dei loro passi fanno muovere i frammenti di ghiaccio sul pavimento, che compongono spontaneamente la parola “eternità”, liberando Kay. I due intraprendono il lungo viaggio verso casa, durante il quale incontrano molti dei personaggi conosciuti da Gerda nel suo viaggio, tra cui la renna, la donna di Finlandia, la donna di Lapponia e la figlia del brigante, che li informa della morte della cornacchia. Giunti a casa, i due si rendono finalmente conto di essere cresciuti, mentre la nonna si crogiola al sole e legge un passo della Bibbia: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli».

 

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Nixon in China

John Adams, Nixon in China

Parigi, Opéra Bastille, 7 aprile 2023

★★★★☆

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Il drago e l’aquila

Uno dei più terrificanti periodi del secolo passato è stato quello della Rivoluzione Culturale cinese. Nei soli ultimi cinque mesi del 1966, il cosiddetto periodo del Terrore Rosso, sono state contate cento mila vittime per mano delle Guardie Rosse, ma alla fine  dei dieci anni in cui durò la politica di Mao Zedong si stima che i civili uccisi siano stati almeno un milione e mezzo, forse molti di più.

Nel 1972 Richard Nixon aveva fatto  un importante passo verso la normalizzazione delle relazioni fra gli Stati Uniti e il paese asiatico facendo visita al capo del governo cinese Zhou Enlai. Era la prima volta che un presidente americano sbarcava sul suolo cinese. Nella settimana dal 21 al 28 febbraio i Nixon visitarono Pechino, Hangzhou e Shanghai. 

Quello che nell’opera Nixon in China di John Adams si trova sotto traccia, ossia il clima di paura instaurato dalle Guardie Rosse, nell’allestimento di Valentina Carrasco è invece chiaramente rappresentato: la scenografia di Carles Berga e Peter van Praet per la scena dell’incontro tra Nixon, Henry Kissinger, Zhou e Mao è divisa in due: sopra la libreria (con libri finti) di Mao, sotto  l’ambiente in cui vengono torturati i dissidenti – qui giornalisti e artisti – e bruciati i libri non graditi. Spezzoni di video in seguito mostreranno gli atti di violenza commessi dalle Guardie Rosse così come i bombardamenti americani sul Viet Nam. Altri momenti di tensione e violenza sono quelli vissuti da Pat, la moglie del presidente, alla rappresentazione inscenata per gli ospiti americani. Unico momento di serenità e poesia quello dell’onirico incontro con il dragone rosso dell’Opera di Pechino, una delle scene più toccanti di questa produzione della prima opera di Adams il cui libretto della poetessa Alice Goodman non può certo essere definito un esempio di efficacia drammaturgica.

Valentina Carrasco si inventa una narrazione che parte prima del viaggio: l’invito, nel 1971, della squadra americana di tennis da tavolo in Cina. Si parlò a quel tempo di “diplomazia del ping-pong” per designare il cauto avvicinamento tra le due potenze mondiali. Durante l’ouverture vediamo infatti due giocatori, uno blu e l’altro rosso, con le maschere dell’aquila e del dragone, simboli  rispettivamente degli USA e della Cina, sfidarsi a un tavolo di tennis da tavolo che si moltiplica in numerosi altri mentre una maestosa aquila scende dal cielo – l’aereo Air Force One – per scaricare la coppia presidenziale. Un’altra partita grottesca sarà poi giocata da Kissinger e Mao con le palline ferme in volo in una “tempesta di neve”. Rispetto al realismo dello storico allestimento di Peter Sellars, questo della Carrasco è più allegorico, più astratto e pieno di momenti ironici o poetici, come quando Jiang Qing, la signora Mao, viene drappeggiata nella bandiera come la Statua della Libertà ma al posto della fiaccola brandisce il Libretto Rosso o quando il violinista torturato dalle Guardie Rosse lo ritroviamo all’inizio del terzo atto in alcune scene del film di Isaac Stern Da Mao a Mozart (1979) dove il direttore del Conservatorio di Shanghai racconta le violenze e le umiliazioni subite durante la sua detenzione per aver insegnato musica occidentale

Thomas Hampson e Renée Fleming si mimetizzano in modo credibile ma non caricaturale nella coppia presidenziale con l’intelligenza e l’eleganza che conosciamo, anche se le doti vocali non sono più quelle di un tempo. Il primo ha una importante aria con cui si presenta nel primo atto, la Fleming un momento da grand opéra nel secondo con «This is prophetic», risolto  con tecnica sontuosa. Eccellente si dimostra la prova del baritono Xiaomeng Zhang come Zhou Enlai mentre John Matthew Myers è un imperscrutabile Mao Zedong e Joshua Bloom divertente Henry Kissinger. Kathleen Kim esibisce le sue stratosferiche colorature come Jiang Qing, spietata Regina della Notte cinese.

Gustavo Dudamel fornisce tensione drammatica alla ossessiva pulsazione ritmica della partitura resa con precisione dall’Orchestra dell’Opéra arricchita di quattro sassofoni, un pianoforte e un sintetizzatore.

Adam’s Passion

foto © Kristian Kruuser & Kaupo Kikkas

Arvo Pärt, Adam’s Passion

Roma, La Nuvola, 31 marzo 2023

bandiera francese.jpg  ici la version française sur premiereloge-opera.com

La tragedia del genere umano nella “cerimonia” di Pärt e Wilson

Due maestri del ralenti si incontrano, due economie simili, una sonora e l’altra visiva. Le musiche del compositore estone Arvo Pärt, che unisce tre suoi lavori Il lamento di Adamo, Tabula rasa e Miserere e ve ne aggiunge un quarto,  Sequentia, scritto appositamente per l’occasione, diventano una performance in cui gli ottantacinque minuti di musica si armonizzano perfettamente al teatro ipnotico di Robert Wilson.

Nelle parole del compositore la base di Sequentia «è la sottile linea discendente del violino, composta come una catena di tre note. Gli altri gruppi orchestrali la seguono in successione come un canone. È come un filo particolare in un tappeto. Il disegno emerge se tutti gli strati lavorano insieme». Il brano deve essere eseguito in modo dolce, portando gli ascoltatori in un mondo sonoro particolarmente fragile, in cui si incontrano movimento e quiete, tempo e atemporalità e l’esecuzione richiede archi senza vibrato. La pagina è stata creata nel 2014 appositamente per la produzione Adam’s Passion, dedicata a Robert Wilson è una specie di ouverture agli altri tre pezzi.

Il lamento di Adamo (2009) è una composizione per coro e orchestra sul testo russo del monaco ortodosso Silvano del Monte Athos (1866-1938) le cui parole recitano: «Adamo, padre di tutta l’umanità, nel paradiso conobbe la dolcezza dell’amore di Dio; così, quando per il suo peccato fu cacciato dal giardino dell’Eden e rimase vedovo dell’amore di Dio, soffrì molto ed emise un forte gemito. E tutto il deserto risuonò dei suoi lamenti». Il monologo è cantato dalle voci maschili del coro e la struttura del testo detta l’andamento della composizione dove non solo il numero di sillabe e gli accenti delle parole ma anche i segni di interpunzione vengono tradotti in suoni e pause.

Tabula rasa è formata da due movimenti “Ludus” e “Silentium”. Qui Pärt sviluppa il suo stile tintinnabuli per due voci: la prima suona le note di una scala diatonica (voce della melodia), la seconda arpeggia sulla triade tonica (voce dei tintinnabuli). Praticamente un doppio concerto per due violini, orchestra d’archi e pianoforte preparato, è stato composto su richiesta del violinista Gidon Kremer nel 1977. I due movimenti sono in contrasto tra loro sia in termini di atmosfera che di velocità. Mentre “Ludus” consiste in otto variazioni e in una vigorosa cadenza, in “Silentium” Pärt utilizza di nuovo il canone della imitazione, con le diverse voci che si muovono a velocità ritmiche diverse. Pärt ha riservato la velocità ritmica più rapida alla voce del basso e quella più lenta al primo violino solo.

I due movimenti liturgici Miserere e Dies Irae, composti negli anni 1989-1992 per coro e orchestra, formano la terza parte. La differenza dei testi si riflette anche nel trattamento musicale: la preghiera di Davide è eseguita da solisti vocali accompagnati da strumenti selezionati in varie combinazioni, mentre nelle scene che formano il giorno del giudizio dell’umanità, il coro canta insieme al tutti strumentale. Nell’attesa della redenzione, queste due prospettive sembrano fondersi in un’unica preghiera silenziosa. Oltre all’organo, agli strumenti a fiato (oboe, clarinetto, clarinetto basso, fagotto, tromba e trombone) e alle percussioni, l’orchestrazione comprende anche una chitarra elettrica e un basso.

Adam’s Passion è nato dopo un incontro in Vaticano del compositore e del regista ed è stato presentato la prima volta a Tallinn, la capitale dell’Estonia, nel 2015 in una vecchia fabbrica di sottomarini. Libero da ogni vincolo narrativo, Wilson qui crea il suo spettacolo più essenziale, più depurato. La rarefatta musica di Pärt ha un corrispettivo visivo nel palcoscenico vuoto e nel raffinatissimo disegno luci di A.J. Weissbard dove una pedana che si protende verso il pubblico è incorniciata da luci al neon mentre il fondo della scena è occupato da una batteria fari che nel finale si uniranno con la loro luce al crescendo della musica.

Nel buio più totale le note dei due violini solisti fluttuano nella sala. Un improvviso battito di xilofono fa trasalire e un fascio di luce scorre attraverso lo schermo blu del fondale: lo spazio e il tempo sono creati dal caos primordiale. Una figura maschile emerge dal blu (il colore preferito di Wilson): è Adamo, irrigidito, solo le dita della mano hanno qualche movimento. Poi avanza molto lentamente – per dare una misura dei tempi impiega quasi venti minuti per fare i 12 metri della pedana – sul tappeto vibrante di un mare di nuvole. Lo sguardo è perso all’orizzonte, le labbra sono socchiuse come nell’espressione di una scultura antica. E della statuaria greca ha la nudità. I gesti sono lenti, misurati, solo a tratti il corpo è percorso da un improvviso tremito, come una scarica elettrica. Giunto alla fine della pedana raccoglie un ramo – l’ultimo rimasto dell’albero della conoscenza del bene e del male? – e se lo pone sul capo mentre in scena è apparsa una figura femminile in un lungo abito grigio (i costumi sono disegnati da Carlos Soto). È Eva, la Donna, una ieratica Lucinda Childs, coprotagonista da lungo tempo degli spettacoli di Wilson. Intanto sono comparse altre due figure (Caino e Abele), heavy men saltellanti nei lori costumi imbottiti – il lato brutale dell’umanità? – seguiti da un bambino vestito come quello di Einstein on the Beach che in equilibrio sulla testa si pone invece un parallelepipedo bianco, un manufatto, un mattone: l’uomo ha imparato a costruire, e infatti dall’alto scende la silhouette di una casa. Adamo, questa volta vestito, entra con una scala che rimane magicamente in piedi da sola su una gamba. Purtroppo l’uomo ha imparato anche a uccidere: altri due figli di Eva entrano in scena con delle mitragliatrici di legno. Il finale è più ottimistico: il palcoscenico si riempie di figure, prima un vecchio dall’andatura stanca (e si completa così la presentazione delle diverse età dell’uomo), poi il “coro degli alberi” (gli allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma), ognuno con un ramo sulla testa – l’equilibrio raggiunto tra l’umanità e la natura? – formando una specie di foresta in movimento.

Molti sono gli interrogativi posti dallo spettacolo di Wilson, di alcuni non c’è una risposta logica che si possa trarre dalla drammaturgia di Konrad Kuhn. Ma forse non è questo l’importante: come sempre negli spettacoli dell’artista americano l’elemento essenziale è la seduzione ipnotica delle immagini e dei suoni che incantano lo spettatore. E allora è perdonabile che invece di pensare alle complesse implicazioni filosofiche che hanno ispirato il compositore, lo spettatore si distragga a contemplare le michelangiolesche nudità di Michalis Theophanous, il performer già avvistato in alcuni recenti spettacoli di Dimitris Papaioannou.

L’orchestra dell’Opera è alle spalle degli spettatori – nulla deve distrarre dalla visione – ed è diretta dal direttore estone Tõnu Kaljuste, profondo conoscitore del suo conterraneo, che dipana con sapienza i rarefatti suoni della partitura mentre il coro del teatro, più avvezzo a pagine verdiane, affronta con impegno le elusive armonie della scrittura vocale di Pärt. Più a loro agio si rivelano i solisti dell’Estonian Philharmonic Chamber Choir, cinque voci che coprono tutti i registri, soprano, contralto, tenore, baritono e basso: Yena Choi, Marianne Pärna, Raul Mikson, Rainer Vilu e Henry Tiisma.

Un pubblico attento che ha riempito tutti i posti disponibili dell’auditorium de La Nuvola del Centro Congressi ha risposto con copiosi applausi, con particolare calore per la gloriosa Lucinda Childs, l’enigmatico Michalis Theophanous e la bella figura ancora diritta, non piegata dagli anni, di Robert Wilson.

Una registrazione dello spettacolo di Tallinn è disponibile su youtube.

Powder Her Face

foto © Andrea Macchia

Thomas Adès, Powder Her Face

Torino, Piccolo Regio, 10 marzo 2023

La recensione di Orlando Perera dello spettacolo al Piccolo Regio

La vita è ades

Tutto ruota attorno alla scena quarta, nella quale la focosa Duchessa di Argyll in un grande albergo londinese intrattiene l’elettricista/cameriere nella postura erotica che, per capirci, fece irruzione sulla scena mondiale nel 1998 con il caso Clinton-Lewinski alla Casa Bianca. Il bello è che questa attività oralmente impegnativa deve essere cantata, «Be good, be discret, be brutal», geme la duchessa mentre «goes off into humming» che si può tradurre come “mormorare” o anche “cantare a bocca chiusa”: appunto. Come non ricordare l’epica scena della tabaccaia nel felliniano Amarcord: «Ma cosa fai soffi? Succhia!». Ma tant’è, la fama si costruisce sull’anomalo, se no sai che noia.

Grasse risate hanno accompagnato fin dagli esordi Powder her Face (Incipriale il viso) titolo di scostumato doppio senso (1), la deliziosa operina di Thomas Adès, tecnicamente una conversation piece, che giunge al Piccolo Regio come la luce di una stella morta, nel senso che era presente nel primo cartellone concepito nel 2019 dall’allora sovrintendente del Regio Sebastian Schwarz e annullato poi causa Covid. Ritorna quindi in quest’ultima stagione firmata dallo stesso Schwarz, stavolta come direttore artistico, nel frattempo dimissionato. Insomma il dono di qualcuno che non c’è più, o meglio, che ha solo – grazie al cielo – imboccato altre strade.

Powder Her Face (1995) è la prima opera del londinese Adès, classe 1971, nome di origine siro-ebraica, astro ben vivo nel firmamento dei compositori contemporanei. Nel 2004 è seguita una shakespeariana The Tempest in scena nel novembre scorso alla Scala di Milano con notevole successo. Infine The Exterminating Angel, ovvero L’Angelo Sterminatore dall’omonimo film di Luis Buñuel, opera che ha esordito nel 2016 al Festival di Salisburgo, ma che da noi non si è ancora vista. Affascinante anche la sua produzione strumentale. 

Qui Adès e il librettista Philip Hensher (un capolavoro di humor il suo articolo pubblicato dal Guardian nel 2008, e riportato nel programma di sala, dove spiega perché non abbia mai scritto altri libretti) non hanno scomodato nessun grande autore, solo i titoli di uno scandalo sessuale che alla metà degli anni Cinquanta scosse l’establishment aristocratico della capitale inglese e aumentò a dismisura le tirature dei tabloid. E’ la storia vera di una signora assatanata, Ethel Margaret Whigham, divenuta in secondo matrimonio duchessa d’Argyll perché moglie del nobile scozzese Ian Douglas Campbell, undicesimo duca omonimo. Una delle donne più belle ed eleganti di Londra, si diceva, e altrettanto sessualmente sfrenata, il suo bagno rivestito di specchi era una sorta di set erotico-pornografico. Ma tanto lei era libera e vitale, quanto lui brutto, squattrinato e mascalzone, ancorché charmant. E qui irrompe il tema iniziale della fellatio sotto forma di quattro scatti polaroid (tecnica oggi dimenticata, ma allora d’avanguardia) databili alla metà degli anni ‘50. Vestita con tre giri di perle e nient’altro, la bella signora vi appare inginocchiata ad appagare oralmente un uomo, di cui non si vede il volto. Poi verrà fuori che si trattava probabilmente di Edwin Duncan Sandys, uomo politico, ex-genero di Winston Churchill, nientemeno. Le quattro immagini saranno allegate all’elenco di ottantotto amanti, tra cui due ministri e tre membri della casa reale, tratto dall’agenda della Duchessa, e formeranno la prova regina per la causa di divorzio con addebito, che lo squallido Duca intenta alla ex-moglie per spremerle un bel po’ di soldi. Qualcuno dice che tra i moventi di tanto astio ci fosse anche la gelosia per un amante (Campbell era in odore di gaytudine) che la moglie gli avrebbe soffiato.

L’inevitabile sentenza di condanna porterà Margaret alla rovina economica, ma anche alla gogna sociale. Mai e poi mai la società ipocrita e maschilista del tempo avrebbe permesso a una donna di rivendicare pubblicamente la propria libertà di azione e di pensiero. Le foto oscene e l’elenco di amanti degno del catalogo di Leporello sulle conquiste di Don Giovanni sono la melma in cui gli spietati tabloid inglesi inzupperanno il pane per mesi facendo a pezzi la povera duchessa. Che tuttavia mai rinnegò le proprie scelte, mai cessò di rivendicare il suo stile di vita mondano e gaudente. Finiti i denari, fu cacciata dall’hotel dove viveva, e morì pochi anni dopo in una miserabile casa di cura. Dunque sotto la chiave lieve della farsa e dell’humor, Powder Her Face va letto anche come un atto di accusa contro la cosiddetta alta società inglese. Oggi che tutto sembra lecito pur di apparire, si fa persino fatica a comprendere il senso del moralismo di allora. Non dimentichiamo però che negli stessi anni, l’Inghilterra era scossa dallo scandalo Profumo, il ministro della difesa che frequentava la modella Christine Keeler, già amante di un diplomatico sovietico. Insomma un vero calderone, e infatti la partitura adesiana ribolle di vita, come scrisse il Sunday Times. Del resto quando andò in scena Adès aveva solo 24 anni, il librettista Hensher 30. 

La vicenda si articola in otto scene, cinque nel primo atto, tre nel secondo, ognuna delle quali si svolge in un anno diverso tra il 1934 e il 1990, ma la drammaturgia non osserva l’ordine cronologico, gli eventi si sviluppano per giustapposizione, non in sequenza, e la partitura spazia, anch’essa con morbida disinvoltura, tra i generi e le epoche, dal fox-trot al tango, alla canzone You’re the Top che Cole Porter dedicò alla signora. Evidenti ispiratori del duo Adès/Hensher la viziosa Lulu di Alban Berg e The Rake’s Progress di Igor Stravinskij. Ma le ridotte dimensioni di organico rimandano a tutto un ricco ma poco rappresentato repertorio cameristico dell’opera, dal Giro di Vite di Britten, a Hin Und Zurück di Hindemith, alla stessa Scuola dei Gelosi di Salieri vista al Regio nel maggio 2022. Tutto sprigiona energia, a partire dall’indiavolata ouverture, dove il tempo indicato è un programmatico “Avanti!”. Quindici soli esecutori, ma una strumentazione lussureggiante: un quintetto d’archi, tre clarinetti, che alternano anche i sassofoni, corno, tromba e trombone, modulati da varie sordine, arpa, pianoforte (anche preparato), fisarmonica, e un vasto set di percussioni. Non bastasse, si aggiungono strumenti imprevedibili, come mulinelli da pesca e campanelli elettrici. Alla guida degli strumentisti del Regio in questo percorso impervio l’appena 23enne novarese Riccardo Bisatti, che ne esce benissimo, con un gesto tanto intenso, quanto preciso, e un fine ammiccamento qua e là allo stile del cinema muto, sempre ispirato a una sorvegliata ironia. Grandioso il tango finale alla Piazzolla, in cui la farsa stinge mirabilmente in tragedia senza quasi che ce ne accorgiamo, salvo riconoscere con una vaga inquietudine due fugaci citazioni dal quartetto schubertiano “La Morte e la Fanciulla”, e capire che siamo di fronte alla Nera Signora. Il bello di Bisatti è che non perde mai, in nessun passaggio, un profondo senso del teatro, che ci aspettiamo di apprezzare anche in prossime prove del giovanissimo direttore.

Il cast, sempre all’insegna della massima economia di mezzi, prevede quattro cantanti per diciassette personaggi. Un soprano drammatico (la Duchessa), un soprano leggero con registro molto acuto, quasi di coloratura, che interpreta la cameriera più altri cinque personaggi femminili, un tenore (il fatidico elettricista, più altri quattro), un basso (direttore dell’Hotel più altri quattro). Tutti apprezzabili i cantanti, soprattutto considerando la particolarità dei registri e dei colori richiesti. Il soprano Irina Bogdanova, appena apprezzata come Sacerdotessa nell’Aida, dal bel timbro caldo, conferisce piena dignità, e dunque un’inattesa moralità, al personaggio sfrenato della Duchessa, e per sua fortuna non deve occuparsi di altro. Amélie Hois soprano lirico leggero deve invece affrontare ben sei personaggi, La cameriera, L’amica, La cameriera che prepara il ricevimento, L’amante del Duca, La ficcanaso, La giornalista di cronaca rosa), ma soprattutto un’insidiosa tessitura sovracuta, in cui si disimpegna onorevolmente. Il tenore Thomas Cilluffo (L’elettricista, Il gigolò, Il cameriere, Il ficcanaso, Il fattorino) si destreggia a sua volta fra psicologie molto diverse, anche lui con frequenti escursioni nella voce di testa. Tutti e tre fanno parte degli Artisti del Regio Ensemble. Infine il basso Lorenzo Mazzucchelli (Il direttore dell’hotel, Il Duca, L’addetto alla lavanderia, Un ospite dell’hotel, Il giudice), emerge in particolare, grazie anche a una vigorosa presenza scenica, nel secondo atto, come Giudice che detta alla Duchessa la sentenza di condanna senza appello, e come Direttore dell’Albergo che la sfratta in maniera altrettanto ineluttabile, con un timbro profondo da divinità infernale: «It is time to vacate… Everything is spent, madam… and now you must go» (È tempo di liberare la stanza. Avete speso tutto, signora. Ora dovete andarvene).

All’altezza della complessa macchina narrativa e musicale è la regia di Paolo Vettori, che governa con lucidità i continui slittamenti dei piani narrativi e temporali per ricondurre tutto a una superiore dimensione simbolica e allontanare così ogni sospetto di feuilleton. Molto efficace l’apparizione finale del Direttore in minacciosa silhouette, citando il Commendatore del Don Giovanni. Gli danno una bella mano (ma si vede che hanno lavorato di concerto) le scene di Claudia Boasso, un grande letto matrimoniale luogo di piaceri sfrenati, che si disgrega pian piano e si muta alla fine in banco del tribunale, in desolato sfondo della disperazione. Infine vanno segnalate le pareti grigie che aprendosi svelano immagini di nudi, scatti fotografici di Carlo Mollino, l’Architetto del Teatro Regio cui si rende così omaggio a cinquant’anni dall’inaugurazione del nuovo teatro. 

Uno spettacolo vitalissimo, di impressionante attualità, minuziosamente eseguito e curato, di grande musica.

(1) Sul programma di sala il librettista Philip Hensher, intervistato da Benedetta Saglietti, afferma che l’ispirazione per il titolo era venuta dal quadro di Georges Seurat Jeune femme se poudrant (1890) ora alla Courtauld Gallery di Londra, ma ciò non toglie che il titolo abbia volutamente un doppio (se non triplo) significato nel contesto della vicenda. [N.d.R.]

Animal Farm

Aleksandr Raskatov, Animal Farm

Amsterdam, Muziektheater, 3 marzo 2023

★★★★★

bandiera francese.jpg  ici la version française sur premiereloge-opera.com

«Tutti gli animali sono simili. Alcuni di più»

In Cina è stato recentemente costruito un grattacielo di 26 piani che ospita il più grande allevamento intensivo al mondo di suini. A temperatura e atmosfera controllata, costantemente monitorati da telecamere e alimentati automaticamente, il loro ciclo va dall’ingravidamento delle scrofe alla nascita dei cuccioli, dall’ingrasso all’insaccamento…

Chissà cosa succederebbe lì in quella “fattoria” di un milione di capi se avvenisse la rivolta immaginata da George Orwell nel suo Animal Farm! Il testo uscito nel 1945 è una spietata satira della Rivoluzione Russa terminata nelle purghe staliniane: ecco infatti il vecchio maiale sognatore Old Major come Carl Marx; il secondo maiale Snowball è Trockij; l’altro maiale Napoleon è Stalin; il maialino Squealer è Berija, il capo della polizia segreta; l’instancabile cavallo Boxer è Stakhanov; l’altro maiale Minimus, il poeta, è Gor’kij. E poi ancora: la giumenta Mollie, che pensa solo ai nastri colorati, è l’aristocrazia; il corvo Blacky che promette il paradiso parlando della Montagna dello zucchero filato è ovviamente la chiesa russa e non manca neppure Orwell medesimo, l’intellettuale scettico, nella parte dell’asino Benjamin.

Nell’adattamento di Aleksandr Raskatov la storia diventa ancor più metafora di tutte le rivoluzioni umane e della loro involuzione, anche se il libretto, scritto assieme a Ian Burton, resta comunque fedele alla vicenda originale. Curiosamente, un altro elemento rende ancora più attuale l’operazione: George Orwell aveva scritto un’introduzione a Animal Farm, riportata sul programma di sala, in cui alla fine sottolineava l’amarezza del finale, per l’edizione ucraina!

Atto I. Scena 1. Il sogno di Old Major. L’incuria del contadino Jones nella sua fattoria porta a una ribellione degli animali. Essi traggono ispirazione dal sogno dell’anziano maiale, Old Major, di una vita migliore e libera dall’oppressione degli umani. Scena 2. Improvvisa rivoluzione. Gli umani vengono allora cacciati dalla fattoria e gli animali liberati ribattezzano il luogo Fattoria degli animali. Scena 3. I Sette Comandamenti. Sono guidati da sette comandamenti, concepiti per garantire che gli animali vivano alla pari e rifiutino le abitudini degli umani: I Chi cammina con due gambe è il nemico; II Chi cammina con quattro gambe è amico; III nessun animale userà i vestiti; IV nessun animale dormirà in un letto; V nessun animale berrà alcolici; VI nessun animale ucciderà un altro animale; VII nessun animale farà commerci. Scena 4. La contro-invasione. Un tentativo degli umani di riprendere la situazione è respinto con molte perdite. Scena 5. La diserzione di Mollie. Il sogno di Snowball. Fuga.Tuttavia, quando i compiti vengono divisi, diventa presto chiaro che i maiali si sono auto-nominati leader tra i quali le tensioni presto si fanno evidenti. In particolare, il piano di Palla di Neve di costruire un mulino a vento scatena un conflitto tra lui e l’altro maiale, Napoleone, che convince i maiali a schierarsi con lui e a cacciare Palla di Neve dalla fattoria, dopodiché Napoleone fa costruire il mulino a vento come se fosse sempre stata una sua idea. Il regime dei maiali guidati da Napoleone diventa sempre più oppressivo, continuando a modificare i Sette Comandamenti per mascherare i loro abusi del sistema. Scena 6. Mulino a vento. Tempesta. Rovine. Quando il mulino a vento viene colpito da un fulmine, i maiali affermano che Palla di Neve ne è responsabile e deve essere punito.
Atto II. Scena 7. Tre esecuzioni. Anche i “traditori” devono subire un processo: molti animali confessano crimini bizzarri e vengono giustiziati. Scena 8. La ricostruzione del mulino a vento. Seconda invasione. Risveglio. Dopo la ricostruzione del mulino a vento, Napoleone si lascia venerare come un grande leader. La vita nella Fattoria degli Animali è ora dura e spaventosa come prima della ribellione, ma i maiali fanno del loro meglio per comunicare agli altri animali che la loro situazione è migliorata. Un attacco da parte di Pilkington, un contadino vicino, viene fermato con successo, ma molte vite vengono perse. Scena 9. Il collasso di Boxer. Una festa si trasforma in dissolutezze tra i maiali e quando il vecchio ed esausto cavallo da tiro Boxer crolla, i maiali promettono di portarlo dal veterinario, ma gli altri animali sanno che mentono e lo stanno portando al macello, ma si sentono impotenti ad agire. Epilogo. I Sette Comandamenti sono diventati inutili e l’uguaglianza è un sogno lontano nella Fattoria degli Animali.

Russo di origini ebraiche, Aleksandr Raskatov è nato il 9 marzo 1953, il giorno dei funerali di Stalin. Nel ’94 si è trasferito in Germania e in seguito in Francia, ma gran parte della sua vita fino a quel momento era stata influenzata dallo stalinismo: il nonno aveva vissuto in un Gulag e il padre aveva dovuto lasciare la professione di medico in quanto ebreo. La precedente opera di Raskatov, Cuore di cane, anche quella una grottesca satira della società sovietica per la penna di Mikhail Bulgakov, ha avuto la prima qui all’Opera Nazionale Olandese nel 2010 ed è stata quella l’occasione per la commissione di un nuovo lavoro da parte del regista Damiano Michieletto. Dopo Il pozzo e il pendolo (1991) da Edgar Allan Poe, Animal Farm è dunque la sua terza opera in un catalogo piuttosto ricco che comprende musica da camera, vocale e sinfonica.

Nella stesura del libretto con Ian Burton, il compositore ha messo in bocca agli animali molte citazioni letterali che Orwell non poteva conoscere in quel tempo: «Finché respirerò lotterò per il nostro futuro» di Trockij; «Perché hai bisogno della mia morte?», le ultime parole di Bukharin a Stalin; lo spietato «Grida oppure no. Tanto non conta nulla» di Berija; il cinico «Se c’è una persona, c’è un problema. Se non c’è nessuna persona, non c’è nessun problema» di Stalin. Il testo è pieno di arguzie e la lingua inglese gioca a fare i versi degli animali. Meno oratoriale dell’originale, il libretto di Burton e Raskatov affida alla vivacità dei dialoghi i pensieri di Orwell, formando uno strumento perfettamente modellato sulla musica del compositore russo che è energica e stravagante: ci si ritrovano i ritmi sghembi di Prokof’ev o quelli ostinati di Šostakovič ma anche certo minimalismo americano, è presente il folclore russo e il jazz, il belcanto e il musical, tutto ricreato con un’orchestrazione sapientissima che incorpora con felice necessità tecniche dell’avanguardia nell’uso degli strumenti – glissandi, colpi sulla cassa o inediti usi degli archetti e della percussione.

Oltre agli archi, ai legni (due flauti, due oboi, tre clarinetti, due fagotti) e agli ottoni (quattro corni, tre trombe, quattro tromboni e basso tuba) l’orchestra di Animal Farm prevede timpani, sei percussionisti, due arpe, celesta, pianoforte, due sassofoni, chitarra elettrica e basso, cimbalom. Purtuttavia mantiene sempre una certa trasparenza: raramente gli strumenti suonano tutti assieme e la loro varietà serve a passare da uno stile all’altro con sorprendente fluidità fino ad arrivare a momenti di impagabile straniamento quale il numero di Pigetta, la giovane attrice irretita da Squealer, abbigliata come l’“atomica”, Rita Hayworth: «You are so beautiful, Pigetta! Your tail is so curly! Your snout so pink! Your udder is so sexy!» (Sei così bella, Pigetta! La tua coda è così arricciata! Il tuo muso è così rosa! Le tue mammelle sono così sexy!) e poi da lui ammazzata, «It is not a bouquet! It’s a wreath! May it rot on your grave!» (Non è un bouquet! E’ una corona di fiori! Che possa marcire sulla tua tomba!) e sono ancora parole dette da Berija. Sempre molto originale e pieno di risonanze particolari il trattamento degli archi, che sono il vero centro sonoro della sua composizione.

Le tecniche vocali poi sono di una ricchezza inusuale e con una gamma che va dal registro basso e solenne di Old Maijor, da pope ortodosso, ai suoni perforanti di Squealer, alle colorature stratosferiche di Mollie. Il risultato è un’opera musicalmente godibilissima che sorprende per la varietà dei colori e degli stili. Il tutto riceve un impulso fondamentale dalla messa in scena di Michieletto, che si adatta perfettamente al tono della vicenda: l’ambientazione atemporale è quella di un asettico mattatoio dalle pareti di marmo bianco e dalle fredde luci al neon – Paolo Fantin dice di essersi ispirato a quello di Roma – con gabbie di ferro che racchiudono il “nostro cibo”. Michieletto qui forse si ricorda del suo allestimento de Il dissoluto punito, il Don Giovanni Tenorio di Ramón Carnicer i Batlle ambientato in una macelleria, presentato a La Coruña nel 2006. Qui i personaggi vestono maschere di animali che poi a poco a poco abbandonano per diventare sempre più simili agli uomini, con tutti i loro vizi. Anche i comandamenti scritti a vernice rossa sui muri vengono a mano a mano  modificati con vernice nera. Le gabbie spariscono e lasciano posto nel finale a divani di velluto e a lampadari di cristallo quando la trasformazione degli animali negli umani tanto odiati è definitivamente completa.

L’evoluzione della psicologia dei personaggi è particolarmente curata nella regia di Michieletto e ci scopriamo partecipare per questo o quello: molto sofferta è la parabola di Boxer, il cavallo da tiro che dopo essere stato sfruttato prima dal padrone e poi dalla rivoluzione alla fine è buono soltanto come carne da macello. Particolarmente pungente è il personaggio di Squealer, manutengolo del tiranno, e sordido erotomane e candidamente disarmante quella di Mollie, la giumenta che si liscia in continuazione i capelli, pardon la criniera, adorna di nastri colorati. Perfetti sono i costumi di Klaus Bruns e sempre efficaci le luci di Alessandro Carletti.

Oltre alla superba performance dell’Orchestra da camera olandese diretta con competenza ed entusiasmo dal giovane Bassem Akiki e del coro del teatro affiancato dal coro di voci bianche, tutti i solisti formano un insieme omogeneo e di grande efficacia. Ecco, doverosamente, tutti i loro nomi: lo strepitoso soprano coloratura Holly Flack (la giumenta Mollie); il tenore e all’occorrenza sopranista Karl Laquit (la maialina Pigetta e l’asino Benjamin); il soprano Elena Vassilieva (il corvo Blacky); l’intenso mezzosoprano Maya Gour (la capra Muriel); il soprano Francis van Broekhuizen (Ms Jones); il contralto Helena Rasker (la giumenta Clover); il controtenore Artem Krutko (il maiale Minimus); il bravissimo tenore James Kryshack (il maialino Squealer); il tenore Michael Gniffe (il maiale Snowball); il tenore Marcel Beekman (il trucido Mr Jones); Germán Olvera (il cavallo Boxer); il baritono Misha Kiria (il maiale Napoleon); il basso Gennadij Bezzubenkov (il maiale Old Major); il basso-baritono Frederik Bergman (il viscido Mr Pikington); i bassi-baritono Alexander de Jong e Joris van Baar (uomini di Jones); il basso Mark Kurmanbayev e il baritono Michiel Nonhebel (uomini di Pilkington).

Successo pieno e tutto il pubblico in piedi per i saluti finali con punte di entusiasmo per l’autore. Questo succede in Olanda: un’opera contemporanea che fa il tutto esaurito, per sei recite. Lo spettacolo si potrà vedere in Italia l’anno prossimo a Palermo in quanto prodotto assieme al Teatro Massimo, alla Wiener Staatsoper e all’Opera Nazionale Finlandese.

Donnerstag aus Licht

Karlheinz Stockhausen, Donnerstag aus Licht

Paris, Philharmonie, 15 novembre 2021

★★★

(video streaming)

La quarta giornata di Licht è autobiografica

Opera per 14 interpreti (3 voci soliste, 8 strumentisti, 3 ballerini), coro, orchestra e nastro magnetico, Donnerstag, la prima in ordine di composizione delle sette opere che formano Licht, è stata scritta tra il 1977 e il 1980. Giovedì è il giorno di Michael, il colore è il blu brillante, i suoi colori secondari sono il viola e il violetto, l’elemento è l’etere, il pianeta è Giove e il senso è l’udito.

L’opera può essere considerata un’autobiografia dell’autore: utilizzando il nome di Michael, Stockhausen racconta la propria storia, iniziando nel primo atto con la sua infanzia infelice in Germania, prima sotto i nazisti e poi dopo la guerra. Suo padre, un insegnante di scuola elementare, prestò servizio nell’esercito e scomparve sul fronte in Ungheria e lui perse sua madre a causa dell’eutanasia, la condizione di molti malati di mente sotto il Terzo Reich. Nell’opera, Michael, l’orfano, deve sostenere un esame di ammissione per iscriversi alla scuola di musica. Il secondo atto racconta il viaggio di Michael intorno alla terra, il cui ruolo è interpretato dalla tromba solista, mentre l’orchestra è un mondo a sé stante, in movimento e con il comico andirivieni delle rondini ritratte da due clarinetti. Alla fine della settima e ultima tappa delle sue peregrinazioni, Michael è tornato, e la sua ricomparsa si esprime nel terzo atto quando cori invisibili cantano testi scritti tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. Michael è venuto per esaltare le virtù della pace. Un anno prima della prima mondiale a Milano, fu chiesto a Stockhausen cosa pensasse potesse essere la felicità sulla terra e la sua risposta fu: «Un’opera musicale perfetta».

L’ora e il luogo sono universali. Saluto del giovedì. Il saluto del giovedì viene eseguito nel foyer all’arrivo del pubblico.
Atto primo: La giovinezza di Michael. Scena 1: Infanzia. Michael, figlio di genitori poveri, dimostra doti eccezionali. Il padre, maestro di scuola, gli insegna a pregare, a cacciare, a sparare e a recitare in teatro. Dalla madre impara a cantare e a fare baldoria, a ballare e a sedurre. I genitori litigano e un fratello minore, Hermannchen, muore in tenera età. La madre impazzisce, tenta il suicidio e viene ricoverata in ospedale. Il padre si dà all’alcol e parte per la guerra. Scena 2: Mondeva. Nella foresta, Michael incontra Mondeva (Moon-Eve), metà donna e metà uccello, e se ne innamora. Mentre scopre come controllare la sua musica attraverso il gioco erotico, in una scena parallela la madre di Michael viene uccisa da un medico in un manicomio. Scena 3: Esame. Michael si sottopone a un triplice esame di ammissione al conservatorio. Prima come cantante, poi come trombettista e infine come ballerino, stupisce la giuria che lo ammette con entusiasmo.
Atto secondo: I viaggio di Michael intorno al mondo. Nel secondo atto, Michael intraprende un viaggio intorno al mondo in quello che è essenzialmente un concerto per tromba con orchestra, eseguito in un enorme globo rotante sullo sfondo di un firmamento stellato. Ci sono sette “stazioni” lungo il percorso, in ognuna delle quali la musica assume i colori del luogo: Germania, New York, Giappone, Bali, India, Africa centrale e Gerusalemme. La formula di Michael si evolve gradualmente da una forma iniziale semplice a una stravaganza sempre più florida, fino a frantumarsi in frammenti incoerenti nelle stazioni 5 e 6. Quando raggiunge l’Africa centrale, Michael sente un lontano corno di bassetto e ordina al globo di smettere di girare. Quando raggiunge la settima stazione, Gerusalemme, Michael ordina alla Terra di ruotare al contrario e inizia un nuovo processo di riabilitazione in una conversazione terapeutica con un contrabbassista. Appare Mondeva e i due si esibiscono in un duetto in cui le loro formule melodiche si fondono e si intrecciano fino a quando ognuno suona la formula dell’altro. Due clarinettisti clowneschi, vestiti come una coppia di rondini, lo deridono e – insieme agli ottoni bassi orchestrali, emblema di Lucifero – lo “crocifiggono”, dopodiché l’atto si conclude con una “ascensione” musicale in cui i suoni della tromba e del corno di bassetto girano intorno fino a unirsi in un trillo.
Atto terzo: Michael torna a casa. Michael – nella sua triplice manifestazione di tenore, trombettista e ballerino – torna alla sua dimora celeste. Scena 1: Festa. Michael combatte il drago. Mentre i cori invisibili cantano tutt’intorno, viene accolto da Eva – anch’essa nella triplice forma di soprano, corno di bassetto e danzatrice – da cinque cori, cinque gruppi orchestrali e un’orchestra d’archi di sottofondo. “Meditazione”. Eva presenta a Michael un dono di tre piante e un altro di tre composizioni di luce: “Prima composizione di luce: Caos dai colori”. “Seconda composizione di luce: Soli dal Caos”. “Terza composizione di luce: Caos dai colori”. Parte 1: “Le lune”. Parte 2: “Lune e immagini vitree”. Parte 3: “Cielo stellato”. I segni zodiacali appaiono uno dopo l’altro, dall’Acquario al Capricorno. All’improvviso, un’anziana signora si fa avanti e chiede: «Perché non tornate tutti a casa?». I cori le rispondono: «Non c’è nessuna ‘casa’. Anche gli angeli sono sempre in movimento». Eva consegna a Michael un ultimo dono, un globo terrestre come ricordo del suo viaggio intorno alla terra. Lucifero appare, prima come un gremlin che esce dal globo e presenta a Michael il suo globo blu, più piccolo. Michael lo passa al coro, facendo infuriare il gremlin, che fa gesti minacciosi e chiama i soccorsi. “La battaglia di Michael con il drago”. Lucifero riappare in una seconda forma, come trombonista ballerino vestito da torero con mantello e cappello nero, mentre il gremlin si trasforma in drago. Michael dà battaglia e il drago, ferito più volte, sprofonda a terra. Michael prende in prestito la lunga bacchetta del direttore d’orchestra per dare il colpo di grazia. Il drago tenta un’ultima volta di rialzarsi, ma cade sulla pancia. Anche il trombonista barcolla e cade sulla schiena, a gambe all’aria. “Boys’ Duet”, suonato da due angelici sassofonisti soprano. “Discussione”. Arriva un messaggero per annunciare che Lucifero sta di nuovo causando problemi. Lucifero riappare, ora in triplice forma come cantante-basso, trombonista e ballerino-mimo, e schernisce Michael, che lo respinge: «Hai perso. Hai corrotto la tua saggezza con la tua amara ironia, il sarcasmo velenoso ora riempie il tuo cuore. … Non sei più immortale, Lucifero! … Non puoi permetterci per una volta di celebrare una festa in pace?». Lucifero può solo andarsene mormorando disgustato: «Stupido! Stupido!», mentre la scena finisce. Scena 2: Visione. In un processo di 15 trasposizioni cicliche, Michael spiega (in una triplice veste di cantante, trombettista e ballerino) la sua esperienza e la sua opposizione a Lucifero.
L’addio del giovedì. L’arcangelo Michael come trombettista. L’Addio del Giovedì (chiamato anche “Addio di Michael”) viene eseguito fuori dal teatro da cinque trombettisti che iniziano mentre l’ultima scena, la Visione, si sta concludendo. Sono vestiti come Michael e si posizionano sui tetti o sui balconi che circondano la piazza, illuminati come statue su una torre. Ciascuno di loro ripete un segmento della formula di Michael, con lunghe pause tra una ripetizione e l’altra, per circa 30 minuti, ritirandosi alla fine nell’ordine in cui i rispettivi segmenti sono presenti nella formula. I Cori invisibili sono riprodotti in teatro su otto canali per la maggior parte del primo atto e di nuovo nel terzo atto, scena 1, e sono composti in modo tale che non potrebbero mai essere cantati da un coro dal vivo, in parte perché ci sono ben 180 voci separate e in parte per le esigenze di sincronia polifonica, esattezza dell’intonazione ed equilibrio dinamico. Ci sono tre testi cantati in ebraico (“Il giorno del giudizio” da L’ascesa di Mosè, “La fine del tempo” dall’Apocalisse di Baruch e un inno di lode, “I cieli si rallegrano”, dal Libro del Levitico), oltre a un altro brano da La fine del tempo, cantato in tedesco.

Donnerstag fu messo in scena la prima volta il 15 marzo 1981 dal Teatro alla Scala di Milano, ma senza il terzo atto, omesso a causa di uno sciopero del coro. Seguirono altre quattro rappresentazioni senza il terzo atto e alla fine si raggiunse un accordo e l’opera completa fu rappresentata il 3 aprile, con due ulteriori repliche. La regia era di Luca Ronconi, i costumi e le scenografie di Gae Aulenti, la direzione di Péter Eötvös e con Karlheinz Stockhausen come tecnico del suono. Quell’anno lo spettacolo ricevette il premio della critica musicale Franco Abbiati per la migliore nuova opera di musica contemporanea. Il secondo atto, “Michaels Reise um die Erde” (Il viaggio di Michael intorno alla Terra), del tutto strumentale, è talora eseguito come pezzo a sé stante ed è stato messo in scena separatamente nel 2008, da Carlus Padrissa de La Fura dels Bau. Una produzione dei primi due atti ha avuto luogo nel novembre 2018 all’Opéra-Comique di Parigi. La stessa produzione viene ora messa in scena nella sala della Philharmonie alla Cité de la Musique da Camera Lucida Productions, Le Balcon e lo Stockhausen-Stiftung für Musik, con la partecipazione di Medici.tv che l’ha messa a disposizione sul suo canale. Maxime Pascal è alla direzione musicale, Benjamin Lazar alla regia, di Adeline Caron sono scenografia e costumi, le luci di Christophe Naillet, Florent Derxa è alla produzione sonora, Augustin Muller all’elettronica e Yann Chapotel ai video. Anche questa volta manca il terzo atto e la ragione è la sua complessità, difficile da realizzare in periodo di emergenza sanitaria da Covid-19.

Nel primo atto il tenore Damien Bigourdan (Michael) è accompagnato dal ballerino Emmanuelle Grach e dalla tromba sbalorditiva di Henri Deléger che ha il ruolo principale nell’atto successivo, che descrive il giro del mondo durante il quale Michael deve lottare con diversi altri strumenti e dopo aver abbattuto il trombone, deve sbarazzarsi della tuba nella quale affonda quasi per metà per poi eseguire i suoi lunghi assoli con numerose sordine poste alla cintura come caricatori di mitragliatrice. Durante la sua visita in India, esegue il suo numero di “danza degli occhi” arricchito da un video su grande schermo. Il corno di bassetto di Iris Zerdoud è il doppione di Eva in questo secondo atto e alla ricerca di suoni inconsueti sul suo strumento, mentre Pia Davila le aveva dato la voce nel primo atto e Suzanne Meyer i passi di danza. Il basso Damien Pass non dispone questa volta della grande requisitoria del terzo atto per Luzifer e può quindi dare il meglio solo nel primo atto, mentre il suo doppio al trombone beneficia della precisione di Mathieu Adam e il suo doppio ballerino della performance di Jamil Attar. L’Addio del Giovedì è eseguito all’esterno, dalle terrazze dell’auditorium, mentre gli spettatori lasciano l’edificio di Jean Nouvel nella notte lucida di pioggia di Parigi per prendere la metropolitana e ritornare in centro.

Monco del terzo atto, lo spettacolo è sì godibile ma non dà l’idea dell’ambiziosa fantasia creatrice dell’autore in un lavoro che pone grandi difficoltà di realizzazione, ma è proprio in questa sua utopica visione che sta l’interesse per la smisurata eptalogia del compositore tedesco.

Freitag aus Licht

     

Karlheinz Stockhausen, Freitag aus Licht

Paris, Philharmonie, 14 novembre 2022

★★★☆☆

  Qui la versione italiana

Freitag, la cinquième journée du cycle Licht de Stockhausen, est donné à la Philharmonie… et c’est la fête des enfants !

Depuis les années 1960, Karlheinz Stockhausen a développé son propre théâtre liturgique de sons et de concepts avec une approche méta-religieuse, dans laquelle son catholicisme assimile d’autres religions (judaïsme, hindouisme, bouddhisme,  shintoïsme)  dans une forme de syncrétisme qu’on pourrait qualifier de désinvolte ! Le compositeur a voulu représenter une « totalité », une métaphore de Dieu, vécue comme une expérience mystique, et Licht (Lumière) est le fruit le plus ambitieux de cette quête, un immense cycle de sept œuvres proposant plus de vingt heures de musique, réparties selon les jours de la semaine…

  la suite sur premiereloge-opera.com

Freitag aus Licht

     

Karlheinz Stockhausen, Freitag aus Licht

Parigi, Philharmonie, 14 novembre 2022

★★★☆☆

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Freitag, il giorno della libertà dedicato ai bambini

Fin dagli anni ’60 Karlheinz Stockhausen aveva sviluppato un suo teatro liturgico di suoni e concetti con un approccio meta-religioso in cui la sua cattolicità assimilava con disinvolto sincretismo le religioni giudaiche, induiste, buddiste e shintoiste. Il compositore intendeva rappresentare una totalità, metafora del Dio, vissuta come un’esperienza mistica e Licht (Luce) è il frutto più ambizioso di quella ricerca, un immane ciclo di sette opere, oltre venti ore di musica, suddivise secondo i giorni della settimana. Freitag (Venerdì) è la quinta ad essere composta ed è stata l’ultima a essere messa in scena con la partecipazione del compositore: commissionata da Udo Zimmermann dell’Opera di Lipsia, fu presentata il 12 settembre 1996 con la regia di Uwe Wand e la direzione musicale e la proiezione del suono curate appunto da Stockhausen stesso.

In questa “teologia negativa” dominata dai tre personaggi di Michael, Eva e Luzifer, Freitag è opera di passaggio tra le più possentemente drammatiche Donnerstag (Giovedì) e Samstag (Sabato). Qui manca Michael – arcangelo, ma anche figura che unisce i caratteri di Cristo e di Mitra – assente in persona ma presente nel tema musicale che lo contraddistingue. La vicenda della tentazione di Eva, indotta da Ludon/Lucifero a unirsi al suo figlio Caino, è immersa in un mondo sovraccaricato di simboli eterogenei e formule esoteriche che si ripetono instancabilmente («il buio diventa luce», «il bambino senza tempo», «fiamma di candela»…) e dove il testo, per esigenze di precisione, è scritto con i caratteri dell’alfabeto fonetico internazionale – efa, lutsifɛr, dʊŋkl…

Tre sono i livelli di musica: il primo è costituito da musica elettronica d’ambiente completamente astratta; il secondo è costituito da musica concreta (Tonszenen, scene sonore) che viene mimata da 12 coppie di ballerini; il terzo consiste in un’azione scenica tradizionale (Realszenen, scene reali) rappresentata e cantata. Gli eventi del terzo livello si verificano contemporaneamente agli eventi del secondo livello. La storia è una rivisitazione del mito della creazione tratto dal Libro della Genesi: Eva è tentata di avere un’unione illecita con Caino per accelerare lo sviluppo dell’umanità. ma poiché questo non fa parte del piano di Dio, la relazione di Eva e Caino ha gravi conseguenze, ossia una guerra brutale tra figli di razze diverse. Lo schema di base del peccato e del pentimento di Eva è ripreso nell’azione delle coppie di ballerini: esse iniziano come coppie naturali, ma come risultato dello scambio di partner generano ibridi innaturali. Nel finale dell’opera, questi ibridi si uniscono in un’imponente fiamma e salgono a spirale verso l’alto.

Saluto del venerdì. Il pubblico viene accolto da una musica elettronica a 8 tracce nell’atrio, illuminato esclusivamente da candele.
Atto primo. Proposta. Eva entra da sinistra seguita da due compagni, Elu e Lufa. Ludon entra da destra e i due si salutano. Egli propone a Eva di accoppiarsi con suo figlio Caino. Eva è scettica, ma i due accettano di incontrarsi di nuovo per far conoscere i loro figli. Orchestra di bambini. Eva scende da una montagna con i suoi figli bianchi al seguito. I bambini portano con loro degli strumenti (violini, flauti, ecc.). Elu e Lufa seguono i bambini. I bambini suonano note individuali e si chiamano l’un l’altro mentre marciano. Ludon entra con i suoi figli neri, che portano tutti strumenti a percussione africani. I bambini suonano i loro strumenti e ridono mentre marciano. Ludon ed Eva si salutano nuovamente mentre i due gruppi di bambini si fronteggiano. Appare Synthibird con una tastiera nelle vicinanze. L’orchestra bianca suona per il coro nero, che si gode la musica. Eve canta con il coro e lo dirige. Elu e Lufa suonano in sottofondo, così come Synthibird. Coro dei bambini. Dopo una breve pausa, il coro nero applaude l’orchestra bianca e usa i propri strumenti per applaudire. Synthibird scompare. Ludon fa un segnale al coro nero, che inizia a cantare e a suonare i suoi strumenti a percussione africani. Synthibird appare in un altro luogo in una veste leggermente diversa e li accompagna silenziosamente. Ludon canta e fa segno a ciascuno dei 24 bambini di eseguire un assolo. Eve e i suoi figli sono incantati dall’esibizione e al termine scoppiano in applausi e fischi selvaggi. Ludon suggerisce a Eva di far suonare insieme i loro figli e lei accetta. Tutti dei bambini. Eva dà l’attacco alla prima battuta, che viene suonata solo dall’orchestra bianca. Ludon dirige la seconda battuta, che viene suonata solo dal coro nero. Eve dirige la terza e la quarta battuta, che vengono suonate sia dal coro che dall’orchestra. Ogni sezione è seguita dal silenzio. Dopo la quarta battuta, Ludon chiede gentilmente a Eve di dirigere l’ensemble e si unisce al coro per cantare. Elu, Lufa e Synthibird accompagnano. La musica viene eseguita allegramente da tutti e alla fine si ride. Eve e i suoi figli salutano Ludon e i suoi, che escono come sono entrati. Durante la loro partenza, i bambini continuano a ridere e a suonare frammenti della musica che hanno eseguito insieme. Il suono delle loro risate e della loro musica si attenua in lontananza. Consenso. Ludon entra e aspetta Eva che appare misteriosamente con Elu e Lufa. Ludon dà a Eva un talismano nero e le chiede nuovamente di accoppiarsi con suo figlio Caino. Sostiene che la loro prole aiuterà l’evoluzione dell’umanità. Eva accetta e restituisce il talismano a Ludon. Scompare con Elu e Lufa, con grande sorpresa di Ludon. Egli esce percorrendo lo stesso sentiero da cui è entrato.
Atto secondo. Caduta. La luna si riflette in un lago, anche se la luna stessa non è presente nel cielo notturno. Si sentono i suoni degli uccelli notturni. Caino, giovane e nero, entra da destra. Guarda il lago e si siede nella posizione del loto. Eva si avvicina con una barca dall’altra parte del lago. Elu e Lufa suonano lunghe note in piedi dietro di lei. Le donne indossano abiti trasparenti e la barca si ferma appena al largo. Eve si solleva il vestito mentre guadagna la riva. La barca si allontana e Evaincontra Caino. Si siede in braccio a lui, con le gambe che abbracciano i suoi fianchi. Cantano insieme mentre Elu e Lufa li accompagnano dalla barca. Eva richiama la barca e la raggiunge. Si siede dando le spalle a Caino, che guarda la barca allontanarsi. Esce a destra. Mentre la barca scompare, una terrificante voce tenorile invisibile urla: «Eve, i nostri figli!». Una striscia rossa brillante scende dal cielo, attraversa il lago e attraversa il pubblico uscendo dalla porta principale e rimane visibile. La guerra dei bambini. Si sente il suono di voci di bambini che si avvicinano da fuori scena. Cantano e gridano. I bambini bianchi entrano da sinistra indossando abiti militari e portando con sé armi giocattolo. Corrono ripetutamente verso il lato destro del palcoscenico e tornano a sinistra mentre fanno rumore con le loro armi. In un’unica corsa, escono a destra e tornano in scena combattendo contro i bambini neri, che combattono con armi più semplici (lance, archi, ecc.). La guerra raggiunge il culmine e i bambini neri sembrano sconfitti. Fanno segno di chiedere aiuto e un gigantesco rinoceronte alato entra da destra. Quattro ragazzi gli salgono in groppa e scagliano frecce contro i bambini bianchi. Il rinoceronte carica il campo di battaglia e sputa fuoco. Eva vola per proteggere i suoi figli. I bambini bianchi volano via con Eva mentre i bambini neri e il rinoceronte li inseguono fuori scena a sinistra. I suoni della battaglia si spengono. Pentimento. Eva, Elu e Lufa emergono dal lago e volano verso la riva. Eva si inginocchia nel punto in cui ha fatto l’amore con Caino. Canta facendo gesti di preghiera. Mentre canta, pensa al suo padrone (Michele) e a suo marito (Adamo). Il suo canto le procura il perdono di Dio e i tre scompaiono. Elufa. Dopo la “scena sonora” finale, Elu e Lufa entrano da sinistra mentre suonano. Parlano di ciò che è accaduto attraverso i loro strumenti. Tutte le 12 coppie guardano affascinate. A metà del loro duetto, Lufa guarda tutte le coppie e chiede: «Vi pentite?». Tutte le coppie gridano insieme: «Sì, ci pentiamo!». Spirale corale. Dopo l’uscita di Elu e Lufa, le sei coppie ibride delle scene sonore con le loro candele si riuniscono in una torreggiante forma di candela. Mentre cantano Choir Spiral, la grande fiamma che hanno creato sale in un lento andamento a spirale e scompare nel cielo.
Addio del venerdì. La musica elettronica dell’opera viene riprodotta nell’atrio mentre il pubblico esce dal teatro. L’atrio è avvolto da una fitta nebbia arancione. La musica si spegne dopo che il pubblico è uscito.
Scene sonore. (Questi eventi si svolgono contemporaneamente agli Atti I e II). Ci sono 12 coppie di partner maschili e femminili interpretati da ballerini. Ogni coppia ha una propria musica, un proprio testo e un proprio schema di rapporto sessuale che dovrebbe essere riconoscibile come tale dal pubblico. Dopo la caduta, le coppie iniziano a scambiarsi i partner: scena sonora 8: il gatto fa coppia con l’uomo, la donna con il cane; scena sonora 9: la macchina da scrivere fa coppia con l’auto da corsa, l’autista dell’auto da corsa con la fotocopiatrice; scena sonora 10: il giocatore di flipper fa coppia con il pallone da calcio, la gamba che calcia con il flipper; scena sonora 11: il razzo fa coppia con il braccio della donna, la siringa di droga sulla luna; scena sonora 12a: la matita fa coppia con la bocca della donna, il cono gelato con il temperamatite; scena sonora 12b: l’archetto del violino fa coppia con il nido, il corvo con il violino. Ogni scambio di partner è seguito dall’apparizione di una coppia ibrida in una fiamma di candela tra le altre coppie: I coppia: donna nuda con testa di cane e uomo con corpo di gatto; II coppia: macchina femminile con macchina da scrivere come seno e pilota di auto da corsa in una macchina fotocopiatrice; III coppia: flipper donna con gamba da calcio come parte inferiore del corpo e giocatore di flipper con pallone da calcio come parte inferiore del corpo; IV coppia: donna luna con siringa da droga che le trafigge il corpo e uomo razzo con braccio di donna come parte inferiore del corpo; V coppia: bocca di donna con matita e uomo temperamatite elettrico con ape a forma di cono gelato; VI coppia: donna nido con arco di violino all’inguine e uomo corvo con violoncello come parte inferiore del suo corpo. Le coppie ibride sono interpretate da vocalist che cantano insieme alla musica elettronica fino alla Spirale del Coro, utilizzando diapason per orientarsi alla giusta tonalità a causa della densità delle altre attività musicali.

A quindici anni dalla scomparsa del compositore tedesco, continua la presentazione dei lavori che compongono il ciclo da lui concepito inizialmente nel 1978 con Donnerstag aus Licht, presentato l’ultima volta alla Philharmonie nel 2021. L’ambizioso progetto era partito con Samstag aus Licht (2019, Cité de la Musique de Paris) e proseguito con Dienstag aus Licht (2020, Philharmonie de Paris). Il Festival d’Automne di Parigi et la Philharmonie riprendono questo progetto già presentato per tre sere a Lille con Maxime Pascal a capo dell’ensemble Le Balcon. Vengono impiegati due cori, quello della Maîtrise Notre-Dame di Parigi e quello di voci bianche assieme ai giovani strumentisti del Conservatorio di Lille. Per il suono e la sua elaborazione elettronica è impegnata una mezza dozzina di specialisti, quasi altrettanti si occupano della realizzazione e programmazione degli automi. A tutto questo sono da aggiungere tre solisti vocali e due strumentisti in scena.

Come le altre del ciclo, si tratta di un’opera per la quale il compositore ha immaginato un universo totale in cui non solo i suoni e le parole, anche i gesti, i movimenti e gli elementi scenografici sono predeterminati. Un compito arduo per chi lo deve mettere in scena: più che un lavoro tradizionale di drammaturgia, qui è richiesto un lavoro di interpretazione. La regista Silvia Costa è partita dalla comprensione del linguaggio musicale: «ascoltare dunque i suoni per immaginare l’estetica, rendere visibile la musica, metterla in luce per creare delle forme». Come la partitura anche la scena è strutturata in due livelli, ognuno corrispondente a un tipo di scena. Le Realszenen, quelle che costituiscono la narrazione, si svolgono al livello inferiore, quello più vicino al pubblico; le Tonszenen prendono posto sul livello più alto, un Olimpo abitato dai dodici oggetti – umani, animali e macchine – che si uniscono per far nascere esseri immaginari e mostruosi. I bambini sono al centro di questa operazione e sostituiscono i danzatori originariamente previsti occupando tutti gli spazi disponibili con i loro abitini bianchi o neri e il loro confronto (Kinder-Krieg) provoca un’esplosione di colori come nella Holi, la festa religiosa indiana che celebra la rinascita. La dicotomia bianco-nero, umano-animale, orchestra-coro, tentazione-pentimento è spezzata grazie proprio dalla presenza dei bambini ai quali è dedicato questo Frei-tag, giorno della libertà. Il colore dominante dell’opera è l’arancio, quelli secondari sono il verde chiaro e il nero brillante; l’elemento è la fiamma della candela che brucia lentamente; il metallo il rame.

L’ingresso del pubblico è accompagnato dal Freitag-Gruss (saluto), un continuo di musica elettronica dalle altezze micro-tonali che inducono interferenze (battimenti), rallentamenti, accelerandi, espansioni, contrazioni, pulsazioni isoritmiche, tutto un vocabolario sonoro che costituisce il primo livello sonoro. Per ragioni di sicurezza le previste fiamme delle candele sono surrogate da una nebbiolina color arancione che accoglie gli spettatore nella grande sala. (Tutti i 2400 posti sono occupati e nessuno lascia l’auditorium prima della conclusione delle tre ore si spettacolo!). Non c’è la buca dell’orchestra e gli unici strumenti visibili sono quelli dei due personaggi, Elu e Lufa, corno di bassetto e flauto, che accompagnano Eva, il soprano Jenny Daviet, cantante di grande espressività che incanta per la facilità con cui supera tutti gli ostacoli dovuti alle note sopracute richieste dalla partitura. Nei duetti strumentali si fanno ammirare le bravissime Iris Zerdoud (corno di bassetto) e Charlotte Bletton (flauto). Due sono le voci maschili ed entrambe gravi: quella del baritono Halidou Nombre (Caino), impegnato in un sensuale duetto che imita l’accoppiamento con Eva, e il basso Antoin HL Kessel, subdolo Ludon/Lucifero. I figli di Eva, vestiti di bianco, compongono l’orchestra di flauti e clarinetti, quelli di Ludon, vestiti di nero, il coro di voci bianche.

Sul secondo livello avvengono le scene sonore: qui le dodici coppie di ballerini sono sostituite dalla presenza di bambini e di oggetti più o meno animati. Silvia Costa ha riprodotto le richieste di Stockhausen con una fedeltà che sfocia in una certa ingenuità con quegli automi (il cane, il gatto, la macchina…), oggetti (cono gelato, fotocopiatrice, flipper…) e personaggi umani (braccio, gamba, bocca…) che vengono presentati in una sequenza di accumulo che fa un po’ l’effetto della vecchia filastrocca «Nella vecchia fattoria ia-ia-o» dove i suoni degli animali di tutte le strofe precedenti si aggiungono a ogni strofa successiva fino al bailamme finale. Un tocco comico che non credo fosse nelle intenzioni del compositore, così come il finale indeciso tra Fellini e Halloween con i vari ibridi che intonano il coro conclusivo. Non c’è stato però il rinoceronte alato che sputa fuoco e calpesta i figli di Eva previsto al secondo atto.

Solo agli entusiastici applausi finali compare, in camice bianco, Maxime Pascal, che ha gestito fuori scena questa cerimonia sonora, questo flusso ipnotico di ripetizioni, salmodie, frasi rimbalzanti da un blocco all’altro, dai solisti ai cori.

L’anno prossimo tocca a Sonntag (Domenica) e sarà seguito poi da Mittwoch (Mercoledì). Il ciclo si concluderà con Montag (Lunedì) nel 2025.

Euridice o I burattini di Caronte

   

Joan Albert Amargós, Euridice o I burattini di Caronte

Alessandria, Teatro Alessandrino, 27 settembre 2022

Mito e immaginario popolare concludono Scatola Sonora, centrata quest’anno sulla figura di Orfeo

In principio ci fu un burattinaio. Fuor di metafora, in effetti all’inizio ci fu Toni Rumbau, titiritero (burattinaio) y escritor barcellonese classe 1949 e fondatore nel 1975 de La Fanfarra, teatro di marionette per il quale scrive i copioni e dove agisce da narratore e musico. Nel 1984 apre il Teatro Malic, una sala alternativa nella già vivace scena catalana e ne diventa il direttore. Nove anni dopo inaugura il Festival de Ópera de Bolsillo (ossia tascabile) la cui idea è alla base di Scatola Sonora, Festival Internazionale di Opere e Teatro Musicale di Piccole Dimensioni, rassegna associata al Conservatorio Vivaldi di Alessandria arrivata alla sua XXV edizione che si conclude con un lavoro su libretto appunto di Toni Rumbau: Euridice o I burattini di Caronte (Eurídice i els titelles de Caront). Il lavoro, che fu presentato al Festival Grec nel luglio 2001 e poi ripreso in altre città in Spagna, Svizzera e Germania, approda ora al Teatro Alessandrino con gli stessi ideatori della prima edizione, ossia il regista Luca Valentino, lo scenografo José Menchero e la presenza insostituibile di Toni.

Docenti e allievi del conservatorio sono impegnati nella realizzazione musicale di quest’opera da camera di Joan Albert Amargós, direttore e compositore barcellonese autore di musica classica e arrangiatore di musica popolare. Per la sua Euridice è stato insignito nel 2002 del Premio Nacional de Música de Cataluña «per la sua capacità di sintesi tra i diversi linguaggi musicali». E tale infatti è quella dimostrata in quest’opera che mescola il linguaggio paludato dell’opera con quello popolare e di strada del teatro dei burattini. Per mezzosoprano, baritono, burattinaio e cinque strumenti, vi si narra della cantante Sofia, Euridice sulla scena, che apprende di essere affetta da un morbo incurabile e come la sposa di Orfeo è presto destinata quindi alla morte. Piuttosto che nella figura umana di Oscar, l’insensibile compagno/direttore che pensa solo al successo, trova empatica comprensione nei personaggi in miniatura di un teatrino di strada. La vicenda si sviluppa in un prologo, sette scene e un epilogo.

Prologo. Sofia si presenta cantando l’Euridice, opera su testo di Ottavio Rinuccini posta in musica da Jacopo Peri e rappresentata nell’ottobre 1600 – a buon titolo il primo melodramma della storia.
Scena I. Nel suo camerino Sofia legge con sconforto i risultati degli esami clinici. Oscar, il direttore, minimizza il problema e la sprona a prepararsi.
Scena II. Per strada. Un teatrino di burattini haun’unica sedia su cui si accomoda Sofia. Pulcinella è alla prese con un cane, un poliziotto e un diavolo che riempie di bastonate e trasforma in salsicce con una macchina tritacarne. Sofia è divertita, ma irrompe Oscar: «È l’ora della prova!».
Scena III. Nel camerino. Anche se la prova è andata bene, Sofia ha perso la gioia di cantare e continua a pensare alla morte. Oscar continua a essere insensibile.
Scena IV. Per strada. Nel teatrino appare il burattino della Morte: «Ciao Sofia, sei venuta a trovarmi? Vieni, vieni, ti mostrerò il cammino…», ma Pulcinella riesce a renderla inoffensiva. Sofia esprime il desiderio di conoscere il burattinaio. Ancora una volta Oscar viene a trascinare via la ragazza che afferma di aver trovato con i burattini la gioia e la libertà. Scena
V. La gondola di Caronte. Piove e il sipario del teatrino è abbassato. Nell’ombra appare una gondola vuota con la Morte al remo.
Scena VI. Nel Camerino. Sofia entra col costume di Euridice e si strucca davanti allo specchio. Nello specchio appare la Morte. Arriva Oscar furioso: la performance di Sofia è stata un disastro e la ragazza se ne va sbattendo la porta. Rimasto solo Oscar si sfoga spezzando la sua bacchetta da direttore.
Scena VII. Il retro del teatrino dei burattini. Pulcinella dimostra tenerezza a Sofia in un “duetto erotico senza parole”. Per l’ultima volta irrompe Oscar che strappa con rabbia i burattini dalla mano dell’invisibile burattinaio. Tutti meno Pulcinella, che viene difeso da Sofia. Sempre più arrabbiato Oscar si avventa sul teatrino con la bacchetta rotta e invvertitamente colpisce Sofia. Cadendo la ragazza strappa il tessuto del teatrino che rivelando il vuoto: non c’è nessun burattinaio. Incredulo Oscar sparisce dietro il teatrino. Si sente la Morte sghignazzare.
Epilogo. Ritorna l’immagine della gondola di Caronte guidata dalla Morte, ma questa volta a bordo ci sono Pulcinella e Sofia che cantano.

L’atmosfera surreale e grottesca della vicenda trova il giusto tono nella musica di Amargós realizzata dal complesso da camera diretto dal Maestro Giovanni Battista Bergamo che, assieme a Luca Valentino, ha tradotto in italiano il libretto. Musica di non eccessiva difficoltà esecutiva, ma con gli strumenti sempre scoperti, strumenti che gli allievi Anna Roveta, Giulia Roveta, Francesco Paolino, Stefano Arato e Giovanni Manerba – violino, violoncello, contrabbasso, fisarmonica e pianoforte – dimostrano di padroneggiare con sicurezza. Il minuscolo ensemble stende una rete sonora di grande suggestione con la partitura di Amargós che mescola stilemi classici e frammenti popolari, il tutto in un preciso ambito tonale ma senza strutture melodiche particolarmente evidenti. Anche le voci, quelle di Giulia Medicina (Sofia) e Dario Castro (Oscar), si stendono su un canto di conversazione relativamente semplice che i giovani cantanti si impegnano a variare nei toni e nei colori con risultati apprezzabili.

C’è poi da considerare un altro “strumento”: la pivetta, con cui i burattinai deformano le loro voci, soprattutto per quella di Pulcinella, connotata dal suono stridulo di questo aggeggio che sottolinea il suo carattere da personaggio dell’oltretomba assieme alla maschera nera e al costume bianco come come un sudario. E la maschera napoletana nel finale assumerà il ruolo di psicopompo, traghettando Sofia nell’aldilà, mescolando quindi mito e immaginario popolare in questa vicenda che tratta del passaggio dalla vita alla morte.

Semplici ma efficaci la regia di Luca Valentino e la scenografia di José Menchenero: in mezzo al palcoscenico gli strumentisti, a destra il camerino di Sofia, a sinistra il teatrino. Il passaggio da un mondo all’altro è così definito spazialmente oltre che musicalmente. Ai movimenti dei due interpreti in carne e ossa si contrappone la frenetica vivacità dei burattini chiusi nel loro piccolo mondo di legno dipinto da cui talora si affacciano timidamente verso l’esterno attraverso il tessuto che racchiude la baracca del fantomatico burattinaio, Rumbau, ovviamente, qui adiuvato da Eudald Ferré.

Il pubblico ha accolto con applausi la prestazione dei giovani artisti in questo originale spettacolo che viene replicato mercoledì 28 settembre con nuovi cantanti: Wang Qui e Zhe Xu.

Like Flesh


  

Piero del Pollaiolo, Apollo e Dafne, circa 1470

Silvan Eldar, Like Flesh

★★★☆☆

Lille, Opéra, 27 gennaio 2022

(registrazione video)

Mito, ecologia, femminismo, in attesa della Sesta Grande Estinzione. La nostra.

I problemi dell’ecologia e della difesa dell’ambiente, che sono vergognosamente assenti dai programmi dei politici, per lo meno nel nostro paese, non lo sono dall’opera, come è dimostrato dai recenti CO2 (Milano, 2015) e Anthropocene (Londra, 2019).

Il 2022 inizia con questo lavoro dal finale apocalittico e commissionato tra gli altri dai teatri di Lille, Montpellier e Nancy, dall’IRCAM-Centre Pompidou di Parigi e in collaborazione con Le Balcon, che inserisce un racconto radicato nel mito di Dafne nel tema della devastazione dell’ambiente, dove i tronchi degli alberi sono sostituiti da pali di cemento e gli animali selvatici sono scomparsi. Ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, Like Flesh (Come la carne) attinge alla moderna scienza per creare un nuovo mito sul nostro incrinato rapporto con l’ambiente.

Il libretto di Cordelia Lynn narra di una coppia che dopo quarant’anni scopre che il loro matrimonio è infelice:  la Donna desidera un mondo oltre i confini della carne e un’esistenza al di fuori delle convenzioni della società umana. Il desiderio segreto di una giovane Studentessa provoca una metamorfosi esplosiva e la Donna trova la sua perfetta liberazione come albero. Ma il mondo è un luogo oscuro sia per gli alberi sia per gli esseri umani e, nelle profondità della foresta, il Marito forestale e la studentessa reclamano un corpo di legno e foglie. Uno per denaro e l’altro per amore.

Scena 1. Cosa sapeva la foresta. La foresta mostra la sua conoscenza immemorabile della natura e della storia del mondo. La vita si insinua ovunque, cantano le radici degli alberi. Scena 2. Gli uccelli non vengono più qui. Il guardaboschi gestisce la foresta secondo le regole del mondo capitalista; la donna si rattrista nel vedere la natura progressivamente distrutta dall’uomo. La studentessa che ospitano parla del massacro degli animali; il forestale e sua moglie sono colpiti dalla sua curiosità e dalla sua passione. Scena 3. Cosa hanno fatto gli alberi. La Foresta racconta lo scioglimento dei ghiacciai, il graduale annientamento della natura e profetizza un mondo in cui gli alberi saranno scomparsi. Scena 4. Il colore rosso. La studentessa spiega il suo interesse per gli alberi, la donna ascolta con attenzione e il dialogo diventa un duetto d’amore. Scena 5. Lezioni imparate dalla gentilezza. La donna chiede al forestale se gli alberi soffrono quando li taglia. L’uomo vede la moglie andare nella foresta con la Studentessa; preferisce non saperne di più. Scena 6. Cosa ha fatto l’umano. Aneddoto raccontato dalla Foresta: il giorno in cui il taglialegna si avvicinò con l’ascia in mano, gli alberi esclamarono: «Guardate! Il manico è nostro». Scena 7. Il terzo sogno. La donna e l’abbraccio della studentessa. La donna si trasforma in un albero. Scena 8. Cosa ha fatto l’umano dopo. La Foresta recita la litania di tutti gli usi che l’uomo ha fatto del legno delle piante. Scena 9. Così tua moglie si è trasformata in un albero. La Studentessa informa il Forestale del miracolo appena avvenuto e  accusa l’uomo di sapere solo uccidere. Il confine tra la Foresta e gli uomini inizia a sfumare. Scena 10. Rimpianto. Il guardaboschi chiede alla moglie come si sente ora che è diventata un albero. Scena 11. Cosa ha visto la foresta. La foresta conserva la memoria dello spargimento di sangue e dei crimini commessi dall’uomo. Scena 12. Un albero ricorda. Dialogo tra l’Albero e la Studentessa nella foresta svuotata dei suoi abitanti dall’uomo. Il Boscaiolo piange l’assenza della moglie metamorfosata; la Studentessa scopre la difficoltà di comunicare con la donna diventata albero. Scena 13. Comportamento del legno. La Studentessa confida al guardaboschi il suo sgomento per non essere più in grado di vivere al ritmo dell’albero; il guardaboschi elogia il fuoco e la civiltà umana. Scena 14. Intreccio. L’Albero è ora totalmente unito alla Foresta, condividendone il cibo e le sofferenze. La donna che è diventata un albero dice che la Studentessa l’ha ferita incidendo cuori sul suo tronco, ma anche che si è presa cura di lei. La foresta spiega l’eterno ciclo di decomposizione e riciclo della materia organica. Scena 15. Ancora inverno. La Studentessa desidera la fusione con l’Albero. Il forestale sfrutta, taglia e pota, ma i rami ricresceranno sempre. Il monologo finale della Foresta: dopo la devastazione causata dal riscaldamento globale, la vita tornerà, la natura si riapproprierà del mondo.

La compositrice Sivan Eldar ha iniziato la sua formazione musicale a Tel Aviv all’età di 5 anni, studiando pianoforte e canto. All’età di 15 anni si è trasferita negli Stati Uniti per continuare la sua formazione presso lo United World College, dove si è concentrata sulla musica, impegnandosi al contempo in attività ambientali e politiche. Ha proseguito gli studi a Boston presso il New England Conservatory dove ha studiato composizione musicale, pianoforte ed etnomusicologia, oltre a corsi di studi di genere ed etica. Nel 2009 si è trasferita in California per conseguire il dottorato di ricerca in composizione alla UC Berkeley. Si è poi trasferita a Parigi per una formazione presso l’Institute de Recherche Acoustique/Musique (IRCAM) sotto la guida di Hèctor Parra e dal 2018 è in residenza all’IRCAM e dal 2019 è compositrice in residenza presso l’Opéra Orchestre National de Montpellier, dove presenta nuovi lavori e conduce laboratori per compositori emergenti.

Like Flesh è la sua prima opera. Suddivisa in quindici scene, la narrazione condotta dai tre protagonisti (soprano, mezzosoprano, baritono) è scandita dagli interventi poetici di un coro (6 voci, una per ogni tipo di registro (soprano, mezzosoprano, controtenore, tenore, baritono, basso) che rappresenta la Foresta e che ci guida dall’ultima Era Glaciale alla Sesta Grande Estinzione, e fornisce il contesto per i solisti. La musica è composta per un ensemble da camera di tredici strumentisti (flauto, clarinetto, tromba, trombone, 2 percussionisti, pianoforte, fisarmonica, quartetto d’archi, contrabbasso) al quale si aggiunge una traccia di musica elettronica diffusa da una serie di 64 altoparlanti sparsi per la sala che modificano gradualmente la percezione dello spazio da parte del pubblico, riflettendo il tema della trasformazione che è al centro del libretto.

Di impianto tonale, la musica è piuttosto rarefatta e non si risolve mai in una tema melodico mentre il live elettronico stende un tappeto sonoro dai suoni bassi e minacciosi. Il canto, sia monodico che polifonico, varia dal declamato lirico allo Sprechgesang al parlato ma il risultato è un lavoro poco coinvolgente nonostante il soggetto. Il tema viene sviluppato in maniera piuttosto fredda sia dalla librettista sia dalla compositrice: la distruzione dell’ambiente si rispecchia nella distruzione delle relazioni umane, ma la vicenda della coppia in crisi non riesce a smuovere emotivamente lo spettatore. La solitudine dei tre protagonisti è esaltata dai suoni della foresta sofferente, suoni algidi e distillati, e dalle immagini dei video di Francesco d’Abbraccio – tra cui quella del quadro del Pollaiolo – che appaiono in un alveolo sagomato nel fondo della scena. La regia di Silvia Costa rifugge da una lettura illustrativa della storia avvolgendo il palcoscenico nel buio e utilizzando pochi essenziali elementi in scena.

La visione in streaming soffre della mancata immersione data dalla spazializzazione e polifonia sonora dell’ascolto in presenza. La mano di Maxime Pascal, esperto esecutore di musica contemporanea, si evidenzia nella leggerezza e trasparenza della resa della partitura e nella attenta concertazione delle tre voci in scena, quelle di Helena Rasker (Donna/albero), Juliette Allen (Studentessa) e William Dazeley (Marito).

Presentata il 21 gennaio 2022, il 27 e il 28 dello stesso mese l’opera viene registrata a porte chiuse e resa disponibile su OperaVision.