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Giacomo Puccini, Edgar
★★☆☆☆
Torino, Teatro Regio, 25 giugno 2008
«Singolare capolavoro di comico-grottesco involontario» (1)
All’apertura di sipario vediamo un Déjeuner sur l’herbe (quello di Monet, non quello di Manet: nessun nudo sull’erba), ma assieme all’unico alberello fiorito abbiamo una selva di piloni di ferro sbilenchi di una qualche struttura architettonica sovrastante, che diventeranno poi le colonne di una chiesa e in seguito quelle di un bordello di gran lusso, ma sempre con l’erba. Siamo dunque nella Belle Époque di fine Ottocento in questa produzione del 2008 al Regio di Torino, anche se la vicenda del librettista Fernando Fontana è ambientata nelle Fiandre del 1302 de La coupe et les lèvres di Alfred de Musset (1831) da cui è tratta.
Nel libretto a stampa è riportata a mo’ di prefazione una sua poesia che nella versione italiana così suona:
Edgar siam tutti, poiché conduce
d’ognun sul tramite vital la Sorte,
con vece assidua, tenebra e luce, amore e morte
Guai se di qualche volgar miraggio
schiavi ci rende la stolta brama
il raggio d’amor ci chiama!
[…]
… uno scheletro dal ghigno truce
allor, sovente, premiam sul cuore;
ché stan vicini tenebra e luce,
morte ed amore!
Il turgido drammone a fosche tinte del Musset è troppo anche per il giovane compositore lucchese che con la sua seconda opera non convinse il pubblico del suo tempo e non convince neanche quello di oggi. Solo a tratti si può scorgere il Puccini futuro in questo frutto acerbo e indigesto del compositore lucchese.
Sono ben quattro le versioni: quelle del 1889 e 1891 in quattro atti, del 1892 e 1905 in tre atti. «Le ragioni principali dell’insuccesso e delle numerose versioni dell’opera […] vanno attribuite al libretto, che cerca le dimensioni del grand opéra, così lontane dalle corde di Puccini. Inoltre il soggetto esaspera i contrasti tra virtù e peccato, colpa e redenzione, cercando di trasformare Fidelia in Micaëla e Tigrana in Carmen; mentre Edgar è una sorta di Faust, che non sa resistere alle tentazioni e cerca poi di redimersi. I successivi rimaneggiamenti di Puccini servirono proprio ad alleggerire l’opera ma, oppresso da un libretto alquanto incongruente, il compositore non riuscì ad apportare modifiche sostanziali» (Sergio Ferrarese).
Trama (2) e giudizio sull’opera sono sunteggiati in maniera pungente da Lorenzo Arruga: «C’era una convinzione, nella storia dell’opera: che Edgar, seconda opera del giovane Puccini, fosse brutta. Nell’anno pucciniano, il Teatro Regio di Torino l’ha ripresentata; e lo ha fatto in un’edizione in cui, grazie all’accanito lavoro della musicologa Fairtile, è stato recuperato un atto intero, sconosciuto. In questo modo si può correggere la valutazione. Edgar è infatti molto brutta. Libretto demenziale del poeta Fontana: un eroe ama una quieta candida, arriva una dissoluta focosa, lui s’innervosisce, incendia la casa del padre, ferisce il fratello di lei, va a stare con la corrotta; poi parte per la guerra, pare morto eroicamente, invece è travestito da frate e smaschera le sue stesse colpe; dopo varie peripezie si ricongiunge con la candida che però viene ammazzata dalla dissoluta. Nell’atto sconosciuto, la candida dice che si sente morire e i presenti promettono di compiangerla. Alla demenzialità selvaggia del povero Fontana il regista Mariani e lo scenografo e costumista Balò aggiungono una demenzialità intellettuale ambientando la vicenda medievale in un prato ottocentesco con intervento dell’esercito sabaudo» (nella forma di un manipolo di bersaglieri!). Neanche sugli interpreti l’Arruga usa la mano leggera: «Yoram David dirige a molti decibel […] José Cura si avventa sui moltissimi acuti come li dovesse ingoiare».
In effetti nella parte del protagonista il tenore argentino dimostra una volta di più le sue peculiari caratteristiche in un ruolo al limite dell’assurdo con una vocalità altrettanto incongrua, declamata e forzata, fatta di ruggiti, urli, acuti perigliosi. Va bene che gli tocca cantare i seguenti versi: «Orgia, chimera dall’occhio vitreo, | dal soffio ardente che i sensi incendia […] Nell’abisso fatal, dove caduto io or son, | rimpianta visïon, | te il mio pensiero evòca sempre ancor! […] O lebbra, o sozzura del mondo… | o fronte di bronzo e di fango… | tortura e gingillo profondo… | va… fuggi! O t’infrango!», ma mica gliel’ha prescritto il medico!
Le due interpreti femminili, Tigrana e Fidelia (!), il diavolo e l’acqua santa, hanno rispettivamente in Julia Gertseva e Amarilli Nizza due cantanti neanche loro aiutate dal libretto. La prima a disagio nella tessitura e con una dizione spesso incomprensibile, più convincente la seconda nonostante l’assurdità del ruolo. Molto meglio il Frank di Marco Vratogna, cui però Puccini affida un unico arioso nel primo atto.
Questa Carmen umbertina avrebbe avuto bisogno di una messa in scena dissacrante per essere godibile, mentre la regia di Mariani certo non lo è (abbastanza?) e si ferma a metà. La direzione di Yoram David, sostituto dell’ultimo momento, non riesce a rendere meno grezzo il materiale sonoro.
Operazione comprensibile per l’anniversario pucciniano è stata quella del Regio di Torino, e a suo modo meritevole: così potremo farne a meno per le prossime cinquanta stagioni… Per intanto è immortalata in un DVD ArtHaus.
(1) Caustica e indovinata esegesi di uno spettatore colta al volo nel foyer del teatro durante l’intervallo.
(2) Ecco le trame della prima versione:
Atto I. Un villaggio delle Fiandre. È l’alba. Il giovane Edgar, nonostante l’affetto per la dolce Fidelia, non riesce a resistere al fascino della provocante Tigrana, una zingara dal passato misterioso, cresciuta orfana, allevata dalla gente del paese. Gli atteggiamenti irriverenti di costei, che intona una canzone blasfema nel bel mezzo della santa messa, suscitano lo sdegno degli abitanti del villaggio. In difesa della zingara accorre Edgar che, in preda ad un’irrefrenabile esaltazione, afferra una torcia accesa e appicca il fuoco alla propria casa; quindi, allontanata da sé la dolce Fidelia, fugge con Tigrana, col proposito di abbandonarsi con lei ad una vita di dissolutezze.
Atto II. Edgar e Tigrana vivono insieme in un ricco castello, circondati di ospiti festosi e passando da un piacere all’altro. Ben presto, però, il ricordo della casa natale comincia a penetrare nel suo animo ed anche l’immagine di Fidelia si riaffaccia improvvisa alla sua memoria. Quando poi ode lontani rulli di tamburi e suoni di fanfare militari che accompagnano una schiera di soldati diretta al campo di battaglia, egli sente prepotente il desiderio di riabilitarsi e, malgrado Tigrana tenti di richiamarlo a sé, decide di seguire l’esempio di quegli uomini votati alla gloria o alla morte. Tanto più che a guidarli è Frank, il fratello di Fidelia, anch’egli un tempo sedotto della bella zingara.
Atto III. L’esercito fiammingo vince la battaglia, ma numerose vite sono rimaste sul campo, stroncate dalla violenza dei combattimenti; anche Edgar è fra gli scomparsi e in una spianata nei pressi del villaggio si preparano solenni esequie in suo onore. Solo un misterioso frate non si unisce agli altri nel celebrare le gesta del defunto, del quale anzi ricorda le numerose colpe di cui si è macchiato in vita, suscitando la reazione sdegnata di Fidelia che, risolutamente e con sincera commozione, difende la memoria dell’uomo amato. Quindi fa ritorno al villaggio. A cerimonia finita sopraggiunge Tigrana, venuta ad ostentare il proprio dolore di vedova inconsolabile, sia pure in grave ritardo. Le si avvicina il frate che, accordatosi con Frank, le offre oro e monili preziosi, purché essa si presti ad una macchinazione ai danni dello comparso. Abbagliata da tanta ricchezza, Tigrana non solo ammette volentieri di essere stata l’amante di Edgar, ma dichiara persino che questi aveva in animo di tradire la patria. Alcuni soldati si avventano allora verso il catafalco per profanare il cadavere, ma restano allibiti quando nelle loro mani rimane unicamente l’armatura. Il frate si spoglia allora del saio, apparendo nelle sembianze di Edgar. Quindi si rivolge con ira a Tigrana, additandola al pubblico disprezzo.
Atto IV. È l’alba. Dopo una notte insonne, nella sua casetta al villaggio, Fidelia è rassegnata a lasciarsi morire. A restituirle la voglia di vivere non valgono le cure di papà Gualtiero né delle amiche che le hanno fatto visita. Quando si reca al balcone per ammirare un’ultima volta le rose, vede sopraggiungere Edgar, insieme al fratello, e cade svenuta. Al suo risveglio l’innamorato la rassicura: è vivo e si sposeranno quello stesso giorno. Quindi, rimasto solo con lei, Edgar le spiega il motivo di quella finzione e si allontana per prepararsi alla cerimonia, lasciandola per poco sola. Ma l’ombra di Tigrana nel frattempo è apparsa alla porta e, non appena Edgar è partito, la zingara si introduce furtivamente nella stanza di Fidelia e la pugnala a morte. L’appressarsi del corteo nuziale la costringe però a nascondersi nell’alcova. La festa si tramuta in tragedia: Edgar trova la sposa agonizzante, mentre i paesani catturano Tigrana. Fidelia spira tra le braccia dell’amato, Tigrana verrà condotta alla decapitazione.
e dell’ultima versione:
Atto I. Un villaggio delle Fiandre. È l’alba. Il giovane Edgar, nonostante l’affetto per la dolce Fidelia, non riesce a resistere al fascino della provocante Tigrana, una zingara dal passato misterioso, cresciuta orfana, allevata dalla gente del paese. Gli atteggiamenti irriverenti di costei, che intona una canzone blasfema nel bel mezzo della santa messa, suscitano lo sdegno degli abitanti del villaggio. In difesa della zingara accorre Edgar che, in preda ad un’irrefrenabile esaltazione, afferra una torcia accesa e appicca il fuoco alla propria casa; quindi, allontanata da sé la dolce Fidelia, fugge con Tigrana, col proposito di abbandonarsi con lei ad una vita di dissolutezze.
Atto II. Edgar e Tigrana vivono insieme in un ricco castello, circondati di ospiti festosi e passando da un piacere all’altro. Ben presto, però, il ricordo della casa natale comincia a penetrare nel suo animo ed anche l’immagine di Fidelia si riaffaccia improvvisa alla sua memoria. Quando poi ode lontani rulli di tamburi e suoni di fanfare militari che accompagnano una schiera di soldati diretta al campo di battaglia, egli sente prepotente il desiderio di riabilitarsi e, malgrado Tigrana tenti di richiamarlo a sé, decide di seguire l’esempio di quegli uomini votati alla gloria o alla morte. Tanto più che a guidarli è Frank, il fratello di Fidelia, anch’egli un tempo sedotto della bella zingara.
Atto III. L’esercito fiammingo vince la battaglia, ma numerose vite sono rimaste sul campo, stroncate dalla violenza dei combattimenti; anche Edgar è fra gli scomparsi e in una spianata nei pressi del villaggio si preparano solenni esequie in suo onore. Solo un misterioso frate non si unisce agli altri nel celebrare le gesta del defunto, del quale anzi ricorda le numerose colpe di cui si è macchiato in vita, suscitando la reazione sdegnata di Fidelia che, risolutamente e con sincera commozione, difende la memoria dell’uomo amato. A cerimonia finita sopraggiunge Tigrana, venuta ad ostentare il proprio dolore di vedova inconsolabile, sia pure in grave ritardo. Le si avvicina il frate che, accordatosi con Frank, le offre oro e monili preziosi, purché essa si presti ad una macchinazione ai danni dello scomparso. Abbagliata da tanta ricchezza, Tigrana non solo ammette volentieri di essere stata l’amante di Edgar, ma dichiara persino che questi aveva in animo di tradire la patria. Alcuni soldati si avventano allora verso il catafalco per profanare il cadavere, ma restano allibiti quando nelle loro mani rimane unicamente l’armatura. Il frate si spoglia allora del saio, apparendo nelle sembianze di Edgar. Fidelia si slancia verso di lui per abbracciarlo, ma Tigrana è pronta a compiere la sua vendetta: afferrato un pugnale, colpisce mortalmente la fanciulla, sul cui corpo Edgar si china in preda alla disperazione.

⸪