Alfred de Musset

Fortunio

André Messager, Fortunio

★★★★☆

Parigi , Opéra-Comique, 12 dicembre 2019

(registrazione video)

«Schietta e chiara, graziosa, elegante e leggera»

«Il fascino spirituale e sapiente, senza ostentazione, della musica, la piacevole fantasia del libretto, il merito dell’interpretazione, l’arte della messa in scena assicurano a questa nuova opera un grandissimo, molto duraturo e legittimo successo». La previsione si sarebbe rivelata un po’ troppo ottimistica giacché Fortunio di André Messager (1853-1929) dopo il primo periodo di successo sarebbe stato poi dimenticato, ma la recensione di Georges Pioch su “Musica” nel luglio 1907 descriveva bene lo spirito dell’opera. «Schietta e chiara, graziosa, elegante e leggera» scriveva un altro recensore, Arthur Pougin, sul “Larousse Mensuel Illustré” pochi mesi dopo. L’opera era andata in scena il 5 giugno 1907 all’Opéra-Comique su un libretto di Robert de Flers e Gaston Arman de Caillavet tratto da Le chandelier, commedia in tre atti di Alfred de Musset del 1835.

Atto I. La piazza di una piccola città di provincia. È domenica; sono le dieci del mattino. Si gioca una partita di bocce in cui si distingue Landry, l’impiegato di Maître André. Landry brinda alla salute del suo capo e di Lady Jacqueline, la moglie. Entra Maître Subtil tenendo Fortunio per mano che diventerà apprendista, nonostante il piccolo entusiasmo del giovane, presso lo studio di Maître André. Subtil lo presenta a suo cugino Landry e si ritira. Landry, tutto allegro, accoglie Fortunio, che rimane triste. Si avvicinano dei borghesi per guardare gli ufficiali che arrivano. Tra questi c’è il capitano Clavaroche, che si preoccupa delle conquiste da effettuare nel paese. De Verbois e d’Azincourt, i suoi luogotenenti, gli raccontano di Jacqueline, che considerano inaccessibile. Clavaroche accetta la sfida. Escono dalla chiesa Maître André e Jacqueline. Approfittando di un momento in cui suo marito la lascia sola, gli ufficiali si avvicinano e d’Azincourt presenta Clavaroche, che si dimostra subito intraprendente. Jacqueline gli racconta che il  vecchio marito è solo un padre per lei e che hanno sempre avuto camere da letto separate. Maître André, si presenta invita Clavaroche a cena il giorno successivo. Fortunio ritorna con Landry. Vedendo Jacqueline, si innamora di lei immediatamente. Venendo a sapere che lei è il suo capo, ora dichiara a suo zio che è pronto per entrare da Maître André. Subtil lo presenta a Maître André e Jacqueline, che lo salutano con indifferenza. I soldati escono in marcia.
Atto II. La stanza di Jacqueline al mattino presto. Maître André entra violentemente, con un candelabro in mano, e veglia la moglie: il suo impiegato Guillaume gli dichiarò di aver visto, quella stessa notte, un uomo che entrava dalla finestra della sua stanza. Jacqueline riesce così bene a difendersi che il marito si scusa e si ritira, confuso. Immediatamente, Jacqueline corre per aprire l’armadio, da cui esce Clavaroche. I due amanti discutono del modo per vincere la gelosia del marito. Clavaroche consiglia a Jacqueline di prendere Fortunio come reggi moccolo, un “candeliere”: il giovane si accontenterà di un sorriso e sarà lui il sospettato. Clavaroche se ne va, Jacqueline chiama Madelon e la interroga sugli impiegati, in particolare su Fortunio. Bussano: è Gertrude che viene ad annunciare gli impiegati, desiderosi di presentare i loro rispetti a Jacqueline in occasione del suo anniversario di matrimonio. Entrano gli impiegati a porgere i loro rispetti e Jacqueline ordina che vengano serviti da bere nella stanza bassa. Trattiene Fortunio che si dichiara pronto a rendere a Jacqueline il servizio che lei gli chiederà, disposto a morire per lei. Poi Fortunio se ne va e Jacqueline lo saluta dalla finestra.
Atto III. Primo quadro: il giardino. Landry canta, mezzo sdraiato sull’erba. Guillaume disegna a terra e Fortunio sogna. Quindi escono. Clavaroche si avvicina, incontra Jacqueline e chiede informazioni sul “candeliere”. Maître André, felice, saluta il capitano, lo invita e gli presenta Fortunio. Jacqueline arriva per annunciare che è pronta la merenda. Per festeggiate Jacqueline, Maître André canta una vecchia canzone. Clavaroche suggerisce che Fortunio si esibisca in una canzone d’amore. Alla fine gli uomini escono e Jacqueline chiede a Fortunio di aspettarla. Jacqueline lo interroga e riceve la sua ammissione sincera. Lo lascia perché anche lei lo ama. Fortunio è felice. Jacqueline e Clavaroche passano sul fondo, l’ufficiale ride della canzone di Fortunio. Jacqueline è preoccupata; Clavaroche la rassicura. Fortunio, che li ha osservati, ora capisce che Clavaroche è l’amante di chi adora. Secondo quadro. È notte. Il giardino è illuminato per il ballo dato da Maître André. Gli ospiti ballano; altri sono raggruppati intorno a Landry. Jacqueline e Maître André ricevono i loro ospiti. Guillaume, avvicinandosi al Maître André, chiede di parlargli. Preoccupato, Clavaroche esce dopo di loro. La festa finisce. Landry distribuisce lanterne per gli ospiti che si allontanano. Trattenendo Jacqueline, Clavaroche gli dice che Maître André deve organizzare un agguato per sorprenderlo quella notte. Jacqueline ha paura. Clavaroche gli fa scrivere un biglietto per attirare Fortunio al suo posto. Spaventata da ciò che ha appena fatto, Jacqueline spedisce Madelon per dissuadere Fortunio dal venire all’appuntamento, quindi torna a casa. Maître André, accompagnato da tre spadaccini, organizza un’imboscata.
Atto IV. La stanza di Jacqueline (come nel secondo atto). Jacqueline è preoccupata. Madelon le annuncia che la sua missione è stata inutile perché Fortunio è qui. Jacqueline lo lascia entrare. Fortunio ammette di aver sentito tutto. Se è venuto comunque, è perché la ama e vuole morire. Si sentono rumori. Jacqueline porta Fortunio nell’alcova. Maître André entra con Clavaroche, scusandosi per aver sospettato di nuovo sua moglie. Clavaroche fa ispezionare l’armadio stupito. Maître André dà al furioso Clavaroche un candeliere per illuminare la strada e torna a raccomandare alla moglie di chiudere bene la serratura. Jacqueline ubbidisce e poi ritorna nell’alcova da cui esce Fortunio e lei gli cade tra le braccia.

Leggera ed elegante la partitura lo è certamente, ha la fluidità e piacevolezza di un’operetta viennese, ripiena di charme francese però. Di operette Messager ne ha scritte cinque, ma il clou della sua produzione sono le venti opere liriche (da François les bas-bleus del 1883 a Sacha del 1930) e i balletti (il più famoso è Les deux pigeons). Grossomodo coetaneo di Georges Feydeau, in Fortunio Messager ha a disposizione gli stessi mezzi teatrali (un marito cornuto e contento, due amanti quanto mai differenti, un armadio per nasconderli), ma la sua opera è venata di malinconia e non mette alla berlina l’ipocrisia della nuova borghesia e la licenziosità dei loro costumi. Il protagonista è una versione timida e tormentata del Cherubino mozartiano, qui «tendre et farouche». La musica si adatta perfettamente alle parole, con gli archi che raddoppiano la linea vocale senza troppe divagazioni armoniche e lo stile è quello di una conversazione musicale. Gli anni sono quelli di Chérubin di Massenet (1905) e del Rosenkavalier di Strauss (1911), due opere in cui c’è un giovane innamorato di una signora già impegnata.

Il direttore musicale che aveva sostenuto la “musica dell’avvenire” di Wagner e aveva tenuto a battesimo il Pelléas et Mélisande di Debussy, quando si mette a comporre scrive un’opera che è un mix di generi – «come se Massenet, Debussy e Offenbach si dessero la mano» ha scritto Nicolas d’Estienne d’Orves su “Le Figaro”. Un lavoro già un po’ démodé ai suoi tempi, che reggerà bene per alcuni decenni, per poi scomparire dai cartelloni del teatro in cui era nato dino a ritornarci nel 2009.

Esattamente dieci anni dopo l’Opéra-Comique ripresenta l’opera con un cast differente che non ha nulla da invidiare a quell’altro, anzi: gli interpreti di oggi fanno di tutto per rendere convincente il fatto di aver ritrovato un capolavoro dimenticato. Inoltre sono tutti francesi motivo per cui per loro la dizione non è un problema, e quanto è importante qui esprimere correttamente e chiaramente il garbato e arguto libretto. Per di più sono tutti eccellenti cantanti-attori.

L’eleganza e la bellezza del fraseggio, il timbro e l’espressività sono i punti di forza del Fortunio di Cyrille Dubois. Fresco e perfettamente dosato il personaggio di Jacqueline affidato al soprano lirico Anne-Catherine Gillet, la moglie onestamente infedele. Franck Leguérinel si ritaglia con sapido umorismo la parte di Maître André, il «vieux mari cocu». Jean-Sébastien Bou dà voce e corpo allo spavaldo Clavaroche, sorta di Belcore transalpino. Efficaci anche le parti minori, soprattutto il Landry di Philippe-Nicholas Martin. L’Orchestre des Champs-Élysées è guidata con leggerezza dalla sapiente bacchetta di Louis Langrée.

Alla sua prima regia lirica Denis Podalydès cura soprattutto il gioco attoriale. La messa in scena del membro della Comédie-Française è tradizionalissima e segnata dalla mesta scenografia di Éric Ruf e dai costumi insolitamente sobri di Christian Lacroix. Un guizzo in più di estro creativo non sarebbe stato di troppo, magari come quello che Podalydès dimostrerà nel Comte Ory qualche anno dopo.

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Fantasio

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Jacques Offenbach, Fantasio

★★★★☆

Parigi, Opéra Comique, 22 febbraio 2017

(video streaming)

Un Offenbach semiserio rinasce dalle ceneri dell’Opéra Comique

Fantasio, opéra-comique su libretto di Paul de Musset basato sulla commedia omonima del 1834 del fratello maggiore Alfred de Musset, ebbe pochissimo successo alla sua prima del 1872 all’Opéra Comique, teatro che, come tutti quelli di Parigi, si riprendeva dopo il conflitto franco-prussiano. Il tema della guerra opposta alla pace è il soggetto motore della vicenda.

Offenbach doveva ad Alfred de Musset uno dei suoi primi successi, La chanson de Fortunio, ma ora la situazione politica e sociale francese non giocava a suo favore e dopo dieci recite il lavoro fu eliminato dal repertorio, con grande afflizione dell’autore che ne riciclò alcune pagine ne Les contes d’Hoffmann. La partitura originale fu poi in parte distrutta dall’incendio del teatro il 25 maggio 1887, uno dei tanti disastri sofferti da questo edificio. Fantasio è a metà strada tra le operette leggere, per cui il compositore franco-tedesco è soprattutto famoso, e il suo capolavoro postumo. È un lavoro con cui Offenbach vuol farsi ricordare come compositore serio, non solo come colui che sa far ridere con le sue parodie. Con questa partitura di mezze tinte che tende alla nostalgia, alla tenerezza, il musicista voleva conquistare il palcoscenico del grande teatro lirico francese dopo aver conquistato quelli gloriosi, ma meno prestigiosi, dei teatri des Bouffes-Parisiens, des Variétés, du Palais Royal, de La Gaîté.

Atto I. I cittadini cantano gioiosamente della pace che seguirà l’imminente matrimonio del principe di Mantova e della principessa di Baviera. I giovani non vedono l’ora di cantare e ballare, e un gruppo di prigionieri liberati dal re festeggia. Un gruppo di studenti poveri, Spark, Hartmann e Facio, entrano nella speranza di condividere anche un po’ di divertimento mentre si burlano dei cittadini. Il re e le sue guardie escono dal palazzo. Il re annuncia l’arrivo del principe di Mantova per sposare sua figlia Elsbeth. Un cortigiano spiega che Elsbeth è in lutto per la morte del giullare di corte a cui era affezionata. Marinoni, il principe dell’aiutante di campo di Mantova, si interessa delle festività, ma viene deriso dagli studenti. Fantasio entra e canta una ballata sulla Luna. Il paggio di Elsbeth entra per dire agli studenti di abbassare la voce poiché disturberanno la principessa; essi entrano nella taverna. Elsbeth canta della sua meraviglia per il cambiamento nella sua vita, ma Fantasio le chiede se è davvero innamorata. Elsbeth, sorpresa, lascia ripetere le parole di Fantasio. Quando Spark si unisce al suo amico Fantasio parla in modo stravagante dei suoi sentimenti. Passa il corteo funebre del giullare di corte St Jean e Fantasio ha l’idea di assumere l’aspetto del giullare per ottenere l’affetto della principessa, e lui e Spark entrano nella vicina sartoria per ottenere il costume. Ciò lo aiuterà anche a evitare di essere arrestato per i suoi debiti. Entrano il fatuo principe di Mantova e il suo aiutante Marinoni, e il principe, che vuole scoprire i pensieri e i sentimenti reali della sua futura moglie, decide di vestirsi come un servo per scoprirlo; lui e Marinoni escono per scambiarsi i vestiti. Gli studenti vengono a cantare e Fantasio riappare vestito come il vecchio giullare. Due sentinelle lo hanno erroneamente lasciato entrare nel parco del palazzo e non vede l’ora di incontrare nuovamente Elsbeth.
Atto II. Elsbeth, il paggio e le dame di corte passeggiano nel parco del palazzo. Elsbeth non vuole parlare del suo futuro matrimonio, ma del povero giullare che tanto ammirava. Manda via gli altri ma poi scopre Fantasio che la diverte con le sue battute sui fiori; è incuriosita dal giullare sconosciuto. Il re, il principe e Marinoni (travestiti) entrano. Elsbeth non è impressionata dalla canzone dell’aiutante di campo. Quando lei e Fantasio rimangono soli, mette più dubbi nella sua mente di andare avanti con il fidanzamento con il principe e cerca una ragione per ritardare l’unione. La corte entra e mentre Marinoni (nei panni del principe) le canta un pomposo numero in lode della bellezza, Fantasio si arrampica su un albero e con un bastone solleva la parrucca dalla testa del falso principe. Il matrimonio del principe mantovano viene immediatamente compromesso, ma Fantasio viene portato via.
Atto III. Quadro primo. Fantasio è felice di aver rovinato i piani del matrimonio, ma quando Elsbeth lo visita nella sua cella di prigione, dice che deve andare avanti con il matrimonio con il principe di Mantova per evitare una disputa diplomatica e contribuire a portare la pace tra i due regni. Fantasio si toglie tutto il travestimento e canta la sua ballata dall’atto I. Sentendo questa storia d’amore Elsbeth si commuove e decide di aiutarlo a sfuggire e gli dà una chiave ai giardini. Quadro secondo. Di nuovo nei suoi abiti da studente, Fantasio calma i suoi amici che stavano progettando di portarlo fuori dal carcere. Nel frattempo il re e il principe si stanno preparando a dichiarare guerra. Fantasio sfida il principe di Mantova a un duello, ma il principe ricusa, preferendo rinunciare al matrimonio con Elsbeth e tornare a Mantova. Fantasio, che gli studenti hanno definito “re degli sciocchi” invoca la pace, è graziato dal re ed Elsbeth lo chiama principe per aver evitato la guerra. Fantasio le offre di restituire la chiave ai giardini del palazzo che gli aveva dato, ma lei gli chiede di conservarla.

Il regista Thomas Jolly e il direttore Laurent Campellone hanno ricostruito la partitura di Fantasio e messo in scena al Théâtre du Châtelet – in procinto di venire anch’esso chiuso per restauri – lo spettacolo prodotto dall’Opéra-Comique la cui Salle Favart sarà invece riaperta, in ritardo quindi, fra due mesi. (1)

La scena non è bella, con semplici praticabili di cui alcuni mobili, e la silhouette del castello sullo sfondo, ma è il gioco di luci a rendere piacevole l’aspetto visivo della produzione – dalle lampadine da fiera suburbana alle lame luminose da discoteca. Coerente con la musica, la messa in scena di Jolly è tutta giocata sui toni scuri con sprazzi di colore. Vivaci le scene e le controscene in cui si affollano i tanti interpreti e il coro Ensemble Aedes. Grande la cura attoriale, essenziale in un lavoro che conta molti dialoghi recitati. Anche la lettura di Campellone gioca con gli aspetti malinconici della vicenda e sa trarre dall’Orchestre Philharmonique de Radio France i colori e i tempi giusti.

Ennesimo ruolo en travesti per il mezzosoprano Marianne Crebassa (Fantasio), a suo agio sia nella parte cantata sia nella recitazione. Così è anche per Marie-Eve Munger, giovane soprano coloratura canadese il cui ruolo di principessa Elsbeth pone non poche sfide vocali sempre ben superate però. Efficaci gli altri interpreti, ormai specialisti di questo repertorio, tra cui Franck Leguérinel (l’ironicamente senile Re di Baviera), Jean-Sébastien Bou (sciocco principe di Mantova) in duo con la spalla di Loïc Félix (Marinoni). Come il vivace Spark di Philippe Estèphe sono tutti avvantaggiati dall’essere di madrelingua francese.

(1) Diversamente dai nostri, i teatri francesi non hanno paura dei lavori meno noti: se lo Châtelet conclude questo periodo con il poco conosciuto Offenbach, l’Opéra Comique sceglie il raro Alcione di Marin Marais per la sua riapertura.

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Les caprices de Marianne

Les Caprices de Marianne

Henri Sauguet, Les caprices de Marianne

★★★☆☆

Avignon, Opéra, 14 aprile 2015

(video streaming)

«Une gracieuse mélancolie»

Arriva sulle scene dell’Opéra d’Avignon, uno dei sedici teatri coproduttori, l’allestimento del lavoro creato nel 1954 per il Festival di Aix-en-Provence dal compositore bordolese Henri Sauguet. Su un libretto di Jean-Pierre Grédy molto fedele al drame romantique di Alfred De Musset del 1833 da cui è tratto, Les caprices de Marianne è un’opera in cui una musica di grande delicatezza, sensibilità e quasi evanescente accompagna una badinerie amorosa disseminata di arguzie letterarie. Un Debussy esile ma con qualche tocco di umorismo, come nel caso della vecchia dueña che accompagna Marianna, baritono en travesti.

La giovane napoletana Marianna è stata sposata da sua madre a Claudio, un vecchio magistrato autoritario e geloso. La sua unica distrazione è quella di recarsi più volte al giorno in chiesa. Un giorno incontra il buontempone Ottavio che perora la causa dell’amico Celio, innamorato troppo timido per dichiararsi. Dapprima Marianna lo rimprovera, ma poi si diverte all’idea di un amante per vendicarsi della brutalità del marito e offre il… posto a Ottavio, inutilmente. Nonostante questa esile plaisanterie l’opera finisce tragicamente con l’uccisione di Celio da parte del marito geloso.

Per questo allestimento il regista Oriol Tomas sceglie l’Italia degli anni ’50 con la Galleria Umberto I di Napoli deformata dalla prospettiva come sfondo ai due atti (scenografia di Patricia Ruel), una gabbia dal tetto di vetro, allegoria della vita e metafora del fragile destino dei personaggi: Marianna prigioniera di Claudio, lui della sua gelosia, Celio della sua folle passione, Ottavio doppiamente schiavo dell’amore per Marianne e della fedeltà a Celio. Nel bel finale, dopo l’uccisione di Celio, sull’addio di Ottavio alla vita spensierata, il regista fa piovere la cenere del Vesuvio sulla delusa speranza di Marianna di fuggire dal marito tra le braccia di Ottavio che le confessa: «Je ne vous aime pas, Marianne. C’était Cœlio qui vous aimait».

Sotto la direzione orchestrale di Claude Schnitzler i giovani interpreti, scelti dopo un’audizione di 230 candidati, dimostrano già buona presenza scenica e promettenti qualità vocali. La bella Zuzana Marková, soprano lirico, è Marianne; Cyrille Dubois è un Cœlio patetico e sognatore dalla chiara voce tenorile; Philippe-Nicolas Martin un Octave bon vivant; Thomas Dear Claudio, un marito geloso da commedia.

Les Caprices de Marianne

Edgar

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Giacomo Puccini, Edgar

★★☆☆☆

Torino, Teatro Regio, 25 giugno 2008

«Singolare capolavoro di comico-grottesco involontario» (1)

All’apertura di sipario vediamo un Déjeuner sur l’herbe (quello di Monet, non quello di Manet: nessun nudo sull’erba), ma assieme all’unico alberello fiorito abbiamo una selva di piloni di ferro sbilenchi di una qualche struttura architettonica sovrastante, che diventeranno poi le colonne di una chiesa e in seguito quelle di un bordello di gran lusso, ma sempre con l’erba. Siamo dunque nella Belle Époque di fine Ottocento in questa produzione del 2008 al Regio di Torino, anche se la vicenda del librettista Fernando Fontana è ambientata nelle Fiandre del 1302 de La coupe et les lèvres di Alfred de Musset (1831) da cui è tratta.

Nel libretto a stampa è riportata a mo’ di prefazione una sua poesia che nella versione italiana così suona:

Edgar siam tutti, poiché conduce
d’ognun sul tramite vital la Sorte,
con vece assidua, tenebra e luce, amore e morte
Guai se di qualche volgar miraggio
schiavi ci rende la stolta brama
il raggio d’amor ci chiama!
[…]
… uno scheletro dal ghigno truce
allor, sovente, premiam sul cuore;
ché stan vicini tenebra e luce,
morte ed amore!

Il turgido drammone a fosche tinte del Musset è troppo anche per il giovane compositore lucchese che con la sua seconda opera non convinse il pubblico del suo tempo e non convince neanche quello di oggi. Solo a tratti si può scorgere il Puccini futuro in questo frutto acerbo e indigesto del compositore lucchese.

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Sono ben quattro le versioni: quelle del 1889 e 1891 in quattro atti, del 1892 e 1905 in tre atti. «Le ragioni principali dell’insuccesso e delle numerose versioni dell’opera […] vanno attribuite al libretto, che cerca le dimensioni del grand opéra, così lontane dalle corde di Puccini. Inoltre il soggetto esaspera i contrasti tra virtù e peccato, colpa e redenzione, cercando di trasformare Fidelia in Micaëla e Tigrana in Carmen; mentre Edgar è una sorta di Faust, che non sa resistere alle tentazioni e cerca poi di redimersi. I successivi rimaneggiamenti di Puccini servirono proprio ad alleggerire l’opera ma, oppresso da un libretto alquanto incongruente, il compositore non riuscì ad apportare modifiche sostanziali» (Sergio Ferrarese).

Trama (2) e giudizio sull’opera sono sunteggiati in maniera pungente da Lorenzo Arruga: «C’era una convinzione, nella storia dell’opera: che Edgar, seconda opera del giovane Puccini, fosse brutta. Nell’anno pucciniano, il Teatro Regio di Torino l’ha ripresentata; e lo ha fatto in un’edizione in cui, grazie all’accanito lavoro della musicologa Fairtile, è stato recuperato un atto intero, sconosciuto. In questo modo si può correggere la valutazione. Edgar è infatti molto brutta. Libretto demenziale del poeta Fontana: un eroe ama una quieta candida, arriva una dissoluta focosa, lui s’innervosisce, incendia la casa del padre, ferisce il fratello di lei, va a stare con la corrotta; poi parte per la guerra, pare morto eroicamente, invece è travestito da frate e smaschera le sue stesse colpe; dopo varie peripezie si ricongiunge con la candida che però viene ammazzata dalla dissoluta. Nell’atto sconosciuto, la candida dice che si sente morire e i presenti promettono di compiangerla. Alla demenzialità selvaggia del povero Fontana il regista Mariani e lo scenografo e costumista Balò aggiungono una demenzialità intellettuale ambientando la vicenda medievale in un prato ottocentesco con intervento dell’esercito sabaudo» (nella forma di un manipolo di bersaglieri!). Neanche sugli interpreti l’Arruga usa la mano leggera: «Yoram David dirige a molti decibel […] José Cura si avventa sui moltissimi acuti come li dovesse ingoiare».

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In effetti nella parte del protagonista il tenore argentino dimostra una volta di più le sue peculiari caratteristiche in un ruolo al limite dell’assurdo con una vocalità altrettanto incongrua, declamata e forzata, fatta di ruggiti, urli, acuti perigliosi. Va bene che gli tocca cantare i seguenti versi: «Orgia, chimera dall’occhio vitreo, | dal soffio ardente che i sensi incendia […] Nell’abisso fatal, dove caduto io or son, | rimpianta visïon, | te il mio pensiero evòca sempre ancor! […] O lebbra, o sozzura del mondo… | o fronte di bronzo e di fango… | tortura e gingillo profondo… | va… fuggi! O t’infrango!», ma mica gliel’ha prescritto il medico!

Le due interpreti femminili, Tigrana e Fidelia (!), il diavolo e l’acqua santa, hanno rispettivamente in Julia Gertseva e Amarilli Nizza due cantanti neanche loro aiutate dal libretto. La prima a disagio nella tessitura e con una dizione spesso incomprensibile, più convincente la seconda nonostante l’assurdità del ruolo. Molto meglio il Frank di Marco Vratogna, cui però Puccini affida un unico arioso nel primo atto.

Questa Carmen umbertina avrebbe avuto bisogno di una messa in scena dissacrante per essere godibile, mentre la regia di Mariani certo non lo è (abbastanza?) e si ferma a metà. La direzione di Yoram David, sostituto dell’ultimo momento, non riesce a rendere meno grezzo il materiale sonoro.

Operazione comprensibile per l’anniversario pucciniano è stata quella del Regio di Torino, e a suo modo meritevole: così potremo farne a meno per le prossime cinquanta stagioni… Per intanto è immortalata in un DVD ArtHaus.

(1) Caustica e indovinata esegesi di uno spettatore colta al volo nel foyer del teatro durante l’intervallo.

(2) Ecco le trame della prima versione:

Atto I. Un villaggio delle Fiandre. È l’alba. Il giovane Edgar, nonostante l’affetto per la dolce Fidelia, non riesce a resistere al fascino della provocante Tigrana, una zingara dal passato misterioso, cresciuta orfana, allevata dalla gente del paese. Gli atteggiamenti irriverenti di costei, che intona una canzone blasfema nel bel mezzo della santa messa, suscitano lo sdegno degli abitanti del villaggio. In difesa della zingara accorre Edgar che, in preda ad un’irrefrenabile esaltazione, afferra una torcia accesa e appicca il fuoco alla propria casa; quindi, allontanata da sé la dolce Fidelia, fugge con Tigrana, col proposito di abbandonarsi con lei ad una vita di dissolutezze.
Atto II. Edgar e Tigrana vivono insieme in un ricco castello, circondati di ospiti festosi e passando da un piacere all’altro. Ben presto, però, il ricordo della casa natale comincia a penetrare nel suo animo ed anche l’immagine di Fidelia si riaffaccia improvvisa alla sua memoria. Quando poi ode lontani rulli di tamburi e suoni di fanfare militari che accompagnano una schiera di soldati diretta al campo di battaglia, egli sente prepotente il desiderio di riabilitarsi e, malgrado Tigrana tenti di richiamarlo a sé, decide di seguire l’esempio di quegli uomini votati alla gloria o alla morte. Tanto più che a guidarli è Frank, il fratello di Fidelia, anch’egli un tempo sedotto della bella zingara.
Atto III. L’esercito fiammingo vince la battaglia, ma numerose vite sono rimaste sul campo, stroncate dalla violenza dei combattimenti; anche Edgar è fra gli scomparsi e in una spianata nei pressi del villaggio si preparano solenni esequie in suo onore. Solo un misterioso frate non si unisce agli altri nel celebrare le gesta del defunto, del quale anzi ricorda le numerose colpe di cui si è macchiato in vita, suscitando la reazione sdegnata di Fidelia che, risolutamente e con sincera commozione, difende la memoria dell’uomo amato. Quindi fa ritorno al villaggio. A cerimonia finita sopraggiunge Tigrana, venuta ad ostentare il proprio dolore di vedova inconsolabile, sia pure in grave ritardo. Le si avvicina il frate che, accordatosi con Frank, le offre oro e monili preziosi, purché essa si presti ad una macchinazione ai danni dello comparso. Abbagliata da tanta ricchezza, Tigrana non solo ammette volentieri di essere stata l’amante di Edgar, ma dichiara persino che questi aveva in animo di tradire la patria. Alcuni soldati si avventano allora verso il catafalco per profanare il cadavere, ma restano allibiti quando nelle loro mani rimane unicamente l’armatura. Il frate si spoglia allora del saio, apparendo nelle sembianze di Edgar. Quindi si rivolge con ira a Tigrana, additandola al pubblico disprezzo.
Atto IV. È l’alba. Dopo una notte insonne, nella sua casetta al villaggio, Fidelia è rassegnata a lasciarsi morire. A restituirle la voglia di vivere non valgono le cure di papà Gualtiero né delle amiche che le hanno fatto visita. Quando si reca al balcone per ammirare un’ultima volta le rose, vede sopraggiungere Edgar, insieme al fratello, e cade svenuta. Al suo risveglio l’innamorato la rassicura: è vivo e si sposeranno quello stesso giorno. Quindi, rimasto solo con lei, Edgar le spiega il motivo di quella finzione e si allontana per prepararsi alla cerimonia, lasciandola per poco sola. Ma l’ombra di Tigrana nel frattempo è apparsa alla porta e, non appena Edgar è partito, la zingara si introduce furtivamente nella stanza di Fidelia e la pugnala a morte. L’appressarsi del corteo nuziale la costringe però a nascondersi nell’alcova. La festa si tramuta in tragedia: Edgar trova la sposa agonizzante, mentre i paesani catturano Tigrana. Fidelia spira tra le braccia dell’amato, Tigrana verrà condotta alla decapitazione.

e dell’ultima versione:

Atto I. Un villaggio delle Fiandre. È l’alba. Il giovane Edgar, nonostante l’affetto per la dolce Fidelia, non riesce a resistere al fascino della provocante Tigrana, una zingara dal passato misterioso, cresciuta orfana, allevata dalla gente del paese. Gli atteggiamenti irriverenti di costei, che intona una canzone blasfema nel bel mezzo della santa messa, suscitano lo sdegno degli abitanti del villaggio. In difesa della zingara accorre Edgar che, in preda ad un’irrefrenabile esaltazione, afferra una torcia accesa e appicca il fuoco alla propria casa; quindi, allontanata da sé la dolce Fidelia, fugge con Tigrana, col proposito di abbandonarsi con lei ad una vita di dissolutezze.
Atto II. Edgar e Tigrana vivono insieme in un ricco castello, circondati di ospiti festosi e passando da un piacere all’altro. Ben presto, però, il ricordo della casa natale comincia a penetrare nel suo animo ed anche l’immagine di Fidelia si riaffaccia improvvisa alla sua memoria. Quando poi ode lontani rulli di tamburi e suoni di fanfare militari che accompagnano una schiera di soldati diretta al campo di battaglia, egli sente prepotente il desiderio di riabilitarsi e, malgrado Tigrana tenti di richiamarlo a sé, decide di seguire l’esempio di quegli uomini votati alla gloria o alla morte. Tanto più che a guidarli è Frank, il fratello di Fidelia, anch’egli un tempo sedotto della bella zingara.
Atto III. L’esercito fiammingo vince la battaglia, ma numerose vite sono rimaste sul campo, stroncate dalla violenza dei combattimenti; anche Edgar è fra gli scomparsi e in una spianata nei pressi del villaggio si preparano solenni esequie in suo onore. Solo un misterioso frate non si unisce agli altri nel celebrare le gesta del defunto, del quale anzi ricorda le numerose colpe di cui si è macchiato in vita, suscitando la reazione sdegnata di Fidelia che, risolutamente e con sincera commozione, difende la memoria dell’uomo amato. A cerimonia finita sopraggiunge Tigrana, venuta ad ostentare il proprio dolore di vedova inconsolabile, sia pure in grave ritardo. Le si avvicina il frate che, accordatosi con Frank, le offre oro e monili preziosi, purché essa si presti ad una macchinazione ai danni dello scomparso. Abbagliata da tanta ricchezza, Tigrana non solo ammette volentieri di essere stata l’amante di Edgar, ma dichiara persino che questi aveva in animo di tradire la patria. Alcuni soldati si avventano allora verso il catafalco per profanare il cadavere, ma restano allibiti quando nelle loro mani rimane unicamente l’armatura. Il frate si spoglia allora del saio, apparendo nelle sembianze di Edgar. Fidelia si slancia verso di lui per abbracciarlo, ma Tigrana è pronta a compiere la sua vendetta: afferrato un pugnale, colpisce mortalmente la fanciulla, sul cui corpo Edgar si china in preda alla disperazione.

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