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Arnold Schönberg, A Survivor from Warsaw op. 46
Gustav Mahler, Sinfonia n° 7 in mi minore
I. Adagio – Allegro risoluto ma non troppo
II. Nachtmusik I. Allegro moderato
III. Scherzo (Schattenhaft)
IV. Nachtmusik II. – Andante amoroso
V. Rondò finale. Allegro
Fabio Luisi, direttore
Francesco Micheli, voce recitante
Torino, Auditorium RAI Arturo Toscanini, 26 gennaio 2023
Concerto per la Giornata della Memoria
Il 27 gennaio di 78 anni fa le truppe dell’Armata Rossa scoprivano il campo di concentramento di Auschwitz. Da quel momento tutti vennero a sapere – e qualcuno non potè più fingere di non sapere – quello che era successo a milioni di esseri umani.
Da quasi vent’anni celebriamo la Giornata della Memoria per commemorare le vittime dell’Olocausto e anche la RAI ha voluta ricordarle con il suo decimo concerto della stagione. Apre infatti la serata Un sopravvissuto di Varsavia op. 46 che Arnold Schönberg scrisse nel 1947. Con questa pagina il compositore non solo dava il suo tributo al ricordo della Shoah, ma completava anche il processo di autocoscienza della propria identità ebraica. Nelle sue parole è il miglior commento al lavoro: «Un sopravvissuto per prima cosa è un monito a tutti gli ebrei a non dimenticare quello che ci hanno fatto, non dimenticare mai che anche quelli che non lo hanno fatto direttamente erano d’accordo con loro e ritenevano necessario trattarci in questo modo». Parole molto dure ma giustificate e condivisibili ancora oggi. Il significato dell’op. 46 trascende i valori musicali di una pagina che ebbe un grande impatto negli ascoltatori di tutto il mondo, che addirittura non riuscivano ad applaudire al termine dell’esecuzione per l’emozione. E grande emozione c’è stata anche nella sala dell’Auditorium Toscanini dopo la lettura del testo: «I cannot remember ev’ryhing, I must have been unconscious most of the time». Sì, la celebrazione della memoria inizia con le parole «Non riesco a ricordare tutto: devo essere stato svenuto la maggior parte del tempo», come racconta il sopravvissuto alla furia nazista sul ghetto di Varsavia. Ma quello che non riesce a cancellare dalla mente è la conta dei morti e il coro che intona lo Shema Ysroel. Tutto questo è reso in musica in maniera efficacissima e concisa in un’introduzione strumentale che espone la serie di dodici note utilizzata da Schönberg, seguita dal testo recitato da Francesco Micheli che fa scorrere i brividi lungo la schiena per l’intensità e la partecipazione della lettura (in inglese perché così l’ha scritto il compositore stesso adattando la musica alla prosodia del testo), con dizione impeccabile e con quel più di espressività italiana, che non guasta, nei gesti: come le braccia e le mani spalancate sul grido grandioso del coro mentre in sala le mezze luci diventano quasi abbaglianti. Un tocco teatrale che è congruo alla drammaturgia del testo «quasi cinematografico», come dice giustamente Micheli.
Al conciso brano di Schönberg segue una delle più lunghe sinfonie di Mahler, quella Settima che aveva lasciato lasciato perplessi non solo il pubblico praghese della prima esecuzione nel 1908, ma anche molti critici musicali che non riuscirono a discernere un disegno compositivo evidente in questa sterminata suite in cinque movimenti di oltre un’ora e un quarto. Probabilmente la chiave di lettura di questa mastodontica impresa va cercata nel Finale, come scrive Oreste Bossini nel programma di sala: un rondò con ritornello che si presenta ben sette volte, con una citazione dai Meistersinger di Wagner e l’utilizzo di elementi sonori extramusicali (campane, campanacci, una secca percussione) oltre a marce militari dal sapore turchesco. È il cuore poetico di un lavoro in cui predomina la forma ciclica presente sin dal primo movimento, dove le note della marcia funebre annunciata all’inizio ritornano trasformate nel corso del tempo. E ciclicità si ha anche nei tre movimenti centrali che formano lo Scherzo “Schattenhaft” (oscuro) incorniciato da due Nachtmusik.
Fabio Luisi affronta i due autori ebrei del programma con appassionata dedizione e una grande cura dei particolari strumentali messi in evidenza all’interno comunque di una visione unitaria. Il legame tra i due compositori è evidente: delle tre sinfonie che rinunciano alla voce umana e a un testo poetico – la Quinta, la Sesta e la Settima – quest’ultima è quella più proiettata verso il futuro, mentre di Schönberg è nota l’immensa ammirazione che aveva per Mahler. Luisi rende chiari questi legami e il passaggio tra due lavori così apparentemente diversi avviene senza traumi, grazie anche alla maestria dell’orchestra che rende in maniera lucida le dissonanze del Survivor e organiche le tormentate forme sinfoniche della Settima.
Wagner e Strauss saranno gli autori dei prossimi appuntamenti con il Direttore Emerito della nostra orchestra.
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