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Luigi Cherubini, Médée
Bruxelles, Théâtre Royal de la Monnaie, 17 settembre 2011
(video streaming)
Una Medea dei nostri giorni
La Médée fu composta da Luigi Cherubini nella forma di opéra-comique, ossia con i dialoghi recitati, e andò in scena con successo a Parigi il 13 marzo 1797 al Théâtre Feydeau ma fu presto dimenticata in Francia. Riscosse invece notevole successo a metà Ottocento tradotta sia in tedesco, con i recitativi musicati da Franz Lachner (1855), sia in italiano, con i recitativi musicati da Luigi Arditi (1865). Rappresentata la prima volta in Italia nel 1909 nella versione italiana di Carlo Zangarini, è solo nella seconda metà del Novecento che l’opera è tornata a riscuotere l’interesse del pubblico dopo la mitica interpretazione della Callas che la registrò più volte su disco – con Leonard Bernstein (1953), Tullio Serafin (1957) e Thomas Schippers (1961). La prima ripresa dell’originale francese con i dialoghi parlati si ebbe al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca nel 1995.
Questa di Bruxelles è una ripresa della produzione del 2008, una delle prime regie liriche di Krzysztof Warlikowski, essendo il regista polacco soprattutto impegnato nel teatro di prosa. I dialoghi sono stati riscritti dal regista e da Christian Longchamp in un francese contemporaneo che contrasta non poco col registro linguistico delle arie, il cui testo è invece rimasto immutato. Warlikowski ricostruisce Medea come un patchwork postmoderno in cui i numeri musicali del XVIII secolo sono solo un elemento tra gli altri di un’opera quasi nuova: ci sono i video casalinghi degli anni ’50 e ’60 di matrimoni nella loro ingenua felicità, di famiglie sorridenti, di scolaretti gioiosi, il tutto accompagnato da canzonette dell’epoca. Il coro è la borghesia di quegli anni ’60 in abiti e acconciature fedelmente riprodotti da Małgorzata Szczęśniak. Médée e Jason sono rigorosamente contemporanei: lei, all’inizio come Amy Winehouse (mancata appena due mesi prima) con la capigliatura nera e cotonata, i tatuaggi, gli occhi segnati vistosamente dall’eyeliner; lui con lunghi dreadlocks e tatuaggi. Due figure del tutto diverse da tutte le altre e ancora con molte complicità fra loro.
Nella scenografia di Małgorzata Szczęśniak l’ambiente è minimalista: una sala rettangolare con pareti traslucide sul fondo, un rettangolo di sabbia in mezzo – non per i giochi dei bambini: sono prima Dircé e poi Médée che vi si rotolano dentro – una cassettiera a sinistra per Médée, con le sue parrucche (prima quella nera della Winehouse, poi quella bionda di Christina Aguilera, due icone pop del nostro tempo) e vari altri oggetti. E dove ripiegherà i pigiamini insanguinati dei figli… La recitazione è molto curata ed esaltata dalla ripresa cinematografica dello spettacolo registrato per lo streaming: nei primi piani tutti gli interpreti si rivelano eccellenti attori. Gli intensi e brevi testi recitati sono punteggiati da rumori inquietanti: tuoni lontani, gocciolii, crepitii.
Nadja Michael è Médée e fin dalla sua entrata in scena durante i preparativi per il matrimonio di Dircé e Jason focalizza l’attenzione visiva dello spettatore con la sua magnetica presenza scenica in un abito sexy in PVC nero e lucido che contrasta con il bianco di tutti gli altri invitati. E quando apre la bocca per cantare ancora una volta colpisce per il colore e il volume della voce di soprano drammatico piegata a esprimere le mille sfaccettature di un ruolo di donna ancora innamorata che non vuole perdere il suo uomo e solo dopo l’umiliazione e l’ordine di esilio non trova altra soluzione che quella terrificante di uccidere i figli perché prole dell’uomo che la abbandona, secondo una logica che la tragedia greca ci ha fatto conoscere in tutta la sua inesorabile tragicità. Convincenti sono anche Kurt Streit, tenore dal timbro chiaro con cui delinea il carattere debole dell’ex-eroe Jason, e Hendrickje Van Kerckhove come l’infelice Dircé. Con Vincent Le Texier abbiamo un autorevole Créon mentre Christianne Stotijn (Néris) ha il suo momento di gloria nella bellissima aria del secondo atto «Malheureuse princesse! O femme infortunée!». Come prima ancella si scopre una quasi debuttante Gaëlle Arquez, già brava e affascinante. Christophe Rousset dirige Les Talens Lyriques e i Cori del teatro con piglio sicuro e senso del dramma in una partitura dai grandi contrasti dinamici resi dagli strumenti d’epoca con precisione e bellezza di colori. Da mozzare il fiato l’intenso preludio strumentale al terzo atto.
⸪