∙
Giacomo Puccini, Gianni Schicchi
Genoma Films, DO Consulting&Production, Albedo Production, Rai Cinema
39° Torino Film Festival, 27 novembre 2021
Quando un libretto diventa una perfetta sceneggiatura cinematografica
Damiano Michieletto aveva portato in scena il Trittico di Puccini nel 2012 all’An der Wien per poi riproporlo quattro anni dopo per il suo debutto all’Opera di Roma. Ora ritorna al titolo che da subito si è rivelato il più popolare e quello che più degli altri ha vissuto di vita propria, quel Gianni Schicchi unico rimasto del progetto originale di mettere in musica tre pezzi tratti delle tre cantiche dantesche.
La pandemia e la conseguente forzata chiusura dei teatri hanno spinto i registi d’opera a inventare nuove strade: già con il suo Rigoletto al circo Massimo Michieletto aveva optato per una drammaturgia che utilizzava copiosamente il linguaggio cinematografico. Qui ha fatto il passo decisivo, mettendosi dietro la macchina da presa. Prima di uscire nella sale cinematografiche e sugli schermi televisivi, il suo film-opera è stato presentato al 39° Torino Film Festival in una rassegna intitolata “Tracce di teatro. Il respiro della scena”, una sezione fuori concorso che ha ospitato opere che rimandano al mondo del palcoscenico. Con questo suo primo prodotto cinematografico il regista veneziano centra in pieno il bersaglio dimostrando una padronanza sorprendente del mezzo filmico con un racconto incalzante, sequenze fluide e inquadrature intriganti.
Quando si pensa a film-opera, la mente corre se non alle pellicole di Carmine Gallone a quelle di Zeffirelli. Invece, il suo film rimanda più al Don Giovanni di Losey o al Trollflöjten di Bergman per la specificità del linguaggio cinematografico. Gianni Schicchi è stato girato tutto in presa diretta, senza ricorrere al playback, con gli interpreti che cantano dal vivo sulla base orchestrale preregistrata. L’ambientazione è quella di una villa della campagna senese ai nostri giorni e si può fare il nome di Mario Monicelli e del suo Parenti Serpenti per la scelta registica di rifarsi a una certa “commedia all’italiana” per la definizione dei personaggi, tutti attualissimi e già perfettamente delineati dal libretto di Forzano e dalla musica del compositore lucchese. Qui l’opera vera e propria ha un prologo in cui l’attore Giancarlo Giannini interpreta il morto Buoso Donati e rievoca la sua vita di spregiudicato mercante d’arte per poi osservare i parenti scannarsi per l’eredità. Alla fine sarà lui a chiedere al pubblico «l’attenuante». Ancora meno innocente è Gianni Schicchi, un boss di provincia aduso a passare bustarelle alle persone giuste, qui un notaio facile alla corruzione. Poi c’è il gruppo di famiglia: la vecchia gretta, la coppia cafonal, il fallito alcolizzato. Non si salvano neppure i giovani: Lauretta è incinta di Rinuccio e mostra al padre l’ecografia per convincerlo ad affrettare il matrimonio «per Calendimaggio» mentre Gherardino è un obeso marmocchio che si muove solo con lo hoverboard elettrico. L’opera di Puccini ha «tutte le caratteristiche per poter funzionare bene sul grande schermo», afferma il regista, «una storia concisa e ben delineata, dei personaggi caratterizzati in modo credibile, un libretto costruito con battute brevi, incalzanti, ritmate, i giusti colpi di scena, un finale a sorpresa e una musica che mirabilmente unisce e allo stesso tempo potenzia tutta la storia. Un Puccini “cinematografico”».
Con la bellissima fotografia non realistica ma dalla qualità “teatrale” di Alessandro Chiodo e i costumi appropriatissimi di Nicoletta Ercoli e Alessandra Carta, l’aspetto visivo si affida a Paolo Fantin che questa volta non deve costruire geniali mondi artificiali ma usare abilmente i fascinosi interni di una nobile villa per ambientare questa commedia nera. Il mezzo cinematografico permette le divagazioni dei frati gaudenti per l’eredità o i momenti teneri fra i due amanti nell’estate toscana. La “colonna sonora” è fornita dall’orchestra del Comunale di Bologna diretta dall’ardimentoso Stefano Montanari, che non solo ha restituito uno scintillante Puccini nella traccia preregistrata, ma ha diretto instancabilmente i cantanti sul set negli innumerevoli ciak che formano il film. Con il sapiente aiuto del fonico Giandomenico Petillo gli interpreti hanno potuto esprimersi come su un palcoscenico, con la stessa emozione di una recita dal vivo e i risultati sono evidenti: Roberto Frontali fornisce ancora una volta grande prova interpretativa scolpendo il ruolo eponimo con un’azione di sottrazione invece che di aggiunta degli effetti; freschi e vocalmente naturali i due giovani Federica Guida (Lauretta) e Vincenzo Costanzo (Rinuccio); Manuela Custer è una rigida e autorevole Zita; Caterina di Tonno (Nella) e Veronica Simeoni (Ciesca) completano con grande efficacia il reparto femminile. Giacomo Prestia è un truce Simone; Roberto Maietta, Marcello Nardis e Bruno Taddia danno convincente voce a Marco, Gherardo e Betto. Particolarmente caratterizzate sono anche le parti minori del maestro Spinelloccio di Matteo Peirone e del notaio ser Amantio di Domenico Colaianni. I disastrati testimoni sono affidati ad Andrea Pellegrini (Pinellino) e Gaetano Triscari (Guccio).





⸪