
foto @Marcello Orselli
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Hector Berlioz, Béatrice et Bénédict
Genova, Teatro Carlo Felice, 30 ottobre 2022
L’Italia scopre per la prima volta l’ultima opera di Berlioz
Béatrice et Bénédict, opéra-comique en deux actes imité de Shakespeare è il titolo completo della terza e ultima opera lirica di Hector Berlioz, un lavoro che aveva visto il concepimento nel 1833, era stato accantonato e poi ripreso nel 1852, accantonato ancora una volta e finalmente completato nel 1862 per inaugurare l’allora nuovo teatro di Baden-Baden. Inizialmente pensato in un atto e solo più tardi, con l’aggiunta dei numeri 11 e 12, in due atti, questo «caprice écrit sur la pointe d’une épingle», secondo la definizione dell’autore, è una comédie lyrique, un breve scherzo leggero con tenere fantasticherie notturne, languide elegie e momenti di schietta allegria.
Musicalmente Berlioz in questo lavoro mette in atto una sorta di «poetica del ripensamento», come la definisce Laura Cosso nel bel saggio sul programma di sala. Il compositore assimila nella nuova partitura caratteri e stili sperimentati nel passato ma proiettati in una scrittura volta al futuro. È il caso ad esempio del duetto notturno di Ursule e Hero alla fine del primo atto, «Nuit paisible et sereine», che riprende l’atmosfera del duetto «Nuit d’ivresse et d’extase infinie» tra Didon ed Énée di Les Troyens. Invece col personaggio di Somarone, che riprende alla lontana il Balthasar scespiriano, Berlioz sembra burlarsi ancora una volta degli accademici della musica utilizzando un dotto contrappunto nell’“épithalame grotesque” indirizzato ai novelli sposi su un testo cinicamente sardonico: «Mourez, tendres époux | que le bonheur enivre! | Mourez, pourquoi survivre | à des instant si doux?» (Morite, teneri sposi che la felicità inebria. Morite, perché sopravvivere a momenti così dolci?). L’alternanza di toni lirici e comici è il carattere specifico di Béatrice et Bénédict la cui storia è liberamente tratta da Much Ado about Nothing (Molto rumore per nulla), ma talmente liberamente che si stenta a riconoscere nel libretto, di Berlioz stesso, il complesso intreccio di storie della commedia di Shakespeare. Qui la vicenda è lineare, semplificata, ridotta alla trama secondaria della commedia originale, i personaggi “cattivi” del tutto eliminati, quelli “drammatici”, Hero e Claudio, ridimensionati al ruolo di comprimari. La drammaturgia è così tenue che è sempre stato un problema per i registi mettere in scena l’ultima opera del sulfureo e visionario autore della Symphonie fantastique, del Benvenuto Cellini o de La damnation de Faust.
Richard Brunel a Bruxelles e Laurent Pelly a Glyndebourne sono stati tra quelli che recentemente (entrambi nel 2016) hanno presentato una loro lettura di Béatrice et Bénédict che ora qui a Genova per l’inaugurazione della nuova stagione dell’Opera Carlo Felice viene fatta conoscere per la prima volta al pubblico italiano nella produzione che Damiano Michieletto aveva creato a Lione nel dicembre 2020. Allora, in piena pandemia, lo spettacolo fu rappresentato una volta sola, senza pubblico e a favore delle telecamere di Antenne 3, l’emittente televisiva francese che ne mise poi a disposizione la registrazione sul suo sito. Attualmente si può vedere su youtube.
Non ha aiutato molto la fortuna di questo lavoro, soprattutto all’estero, il fatto di essere nella forma di opéra-comique, ossia con i dialoghi recitati. Tant’è che spesso questi stessi dialoghi sono accorciati o modificati, e non solo nei paesi non francofoni. Michieletto sceglie di concentrare la sua lettura sul contrasto tra le due coppie di amanti: quella più convenzionale di Hero e Claudio, e quella più istintiva di Béatrice e Bénédict, questi ultimi riflessi nella presenza di un Adamo ed Eva nudi e liberi nel giardino dell’Eden costretti poi a vestirsi e a finire in una teca di cristallo come le farfalle che erano state catturate all’inizio.
Visivamente il contrasto è realizzato efficacemente dalla scenografia di Paolo Fantin che al lussureggiante Eden, ahimè molto precario, alterna una scatola bianca che riflette la luce abbagliante della Sicilia in cui è raccontata la vicenda, un ambiente asettico e sollevato rispetto al proscenio, uno studio di registrazione ingombro di microfoni: le parole rubate, invece che su carta, sono incise su nastro magnetico che l’intrigante Somarone ha captato con il suo registratore. Quello di Béatrice e Bénédict è un esperimento sull’amore e dopo l’iniziale contrarietà al matrimonio, in seguito al viaggio in cui scoprono i loro sentimenti, alla fine si piegano alle convenzioni sociali pur con i possibili distinguo dettati dai loro accesi caratteri. Precedentemente anche il giardino dell’Eden è stato distrutto: la griglia su cui erano posate le piante in vaso si è sollevata ed è diventata una gabbia per lo scimpanzé, il lato istintivo e animale della specie umana libera dalle convenzioni.
L’abilità di orchestratore di Berlioz – meglio sarebbe definirlo creatore di prospettive orchestrali in cui la distribuzione degli strumenti è sempre inventiva e avveniristica – è evidente fin dalla briosa ouverture in cui si intrecciano molti spunti melodici dell’opera. A capo dell’orchestra del teatro il direttore italiano Donato Renzetti dipana con mano sicura la musica di tale «opéra italien fort gai» concertando abilmente un cast di buon livello. Julien Behr, assieme a Ève-Maud Hubeaux (Ursule) già presente nella produzione originale di Lione, è un Bénédict di non enorme volume sonoro ma bel timbro ed elegante fraseggio. Assieme a Cecilia Molinari, una Béatrice convincente anche nella dizione francese, i due cantanti formano una coppia di grande padronanza sia vocale che scenica. Affronta con qualche titubanza ma risolve poi in modo soddisfacente le agilità della sua grande aria Benedetta Torre (Héro), ma è nel momento lirico del duetto notturno con la sua dama di compagnia che fa apprezzare maggiormente le sue qualità liriche. Nicola Ulivieri veste con autorevolezza ed eleganza il ruolo di Don Pedro, mentre Yoann Dubruque esibisce la sua aitante presenza come Claudio. I baritoni francesi Gérald Robert-Tissot e Ivan Thirion, rispettivamente Léonato e Somarone, completano una distribuzione che assieme al coro e al direttore ha ricevuto i calorosi applausi del pubblico genovese che ha scoperto un titolo nuovo. In sala non si è sentito nessun mugugno per la mancata ennesima Traviata o Bohème.
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