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Von der Liebe Tod, musiche di Gustav Mahler
Vienna, Staatsoper, 7 ottobre 2022
★★★☆☆
(live streaming)
In mancanza di un’opera, i 125 anni del Hofoperndirektor Gustav Mahler alla Staatsoper vengono celebrati con uno strano spettacolo
Che la musica di Mahler abbia in sé una forte componente teatrale non è certo una scoperta di oggi, ma proprio ultimamente le sue partiture sono fonte di ispirazione per registi che sfruttano la drammaturgia insita nella sua orchestra per degli spettacoli di forte impatto. È stato il caso della Seconda Sinfonia “Risurrezione” messa in scena da Castellucci ad Aix-en-Provence, lo è ora per la serata che Calixto Bieito ha presentato sulle musiche di Das klagende Lied e dei Kintertotenlieder: Von der Liebe Tod in cui il connubio amore e morte, che ha ispirato un numero sterminato di compositori, qui ritorna di attualità.

E dove se non alla Staatsoper di Vienna poteva realizzarsi questo progetto, nel teatro stesso cioè – allora la Hofoper, l’Opera di Corte – dove Gustav Mahler fu direttore artistico per un decennio. L’8 ottobre 1897 debuttava infatti col Dalibor di Smetana, irritando i nazionalisti che lo accusarono di «fraternizzare con l’antidinastica e inferiore nazione ceca», e avrebbe lasciato l’incarico con l’esecuzione della Seconda Sinfonia (ancora lei…) il 24 novembre 1907. Nel frattempo si era fatto molti nemici negli ambienti anti-semitici che denigravano sistematicamente il suo lavoro in quanto ebreo. Tra le molte innovazioni che Mahler apportò durante la sua direzione si deve a lui la pratica di abbassare le luci della sala durante l’esecuzione o l’utilizzo di uno scenografo per sostituire le sontuose decorazioni storiche con più essenziali scenografie corrispondenti al gusto moderno dell’epoca, in particolare lo Jugendstil.
Come per la cantata Die Gurre Lieder di Arnold Schönberg (opus 1, iniziata nel 1900 ma presentata nel 1913) messa in scena da Pierre Audi ad Amsterdam, anche per Das klagende Lied (Il canto del lamento o dell’accusa, il primo lavoro completo di Mahler iniziato nel 1878 ma presentato nel 1901) Calixto Bieito opta per una messa in scena pienamente drammaturgica la cui vicenda fa riferimento molto liberamente alla crudele fiaba dei fratelli Grimm a cui si era ispirato Mahler.

Parte I: Waldmärchen (Leggenda della foresta). Una regina bella ma sprezzante decide di indire un concorso il cui vincitore otterrà la sua mano. Il cavaliere che troverà un fiore rosso nella foresta, annuncia, sarà giudicato il vincitore. Due fratelli in particolare, uno gentile e cavalleresco, l’altro malvagio e blasfemo, si avventurano nella boscaglia per trovare l’elusivo fiore. Il fratello galante trova subito il fiore, lo mette nel suo cappello e si appisola nel campo. Quando si imbatte in questa scena, il fratello ribelle estrae la spada e uccide il fratello, prendendo il fiore per sé.
Parte II: Der Spielmann (Il menestrello). Un menestrello, vagando per la foresta, si imbatte in un osso sbiancato all’ombra di un salice e lo scolpisce in un flauto. Il fratello ucciso canta attraverso il flauto, raccontando al menestrello i dettagli della sua sfortunata morte. Il menestrello decide di trovare la regina e di informarla di ciò che ha appreso.
Parte III: Hochzeitsstück (Pezzo nuziale). Lo stesso giorno in cui il menestrello deve arrivare al castello per rivelare la sua scoperta, si svolge una festa in onore del matrimonio della regina. Il cavaliere assassino, silenzioso e pallido, riflette morbosamente sulla sua azione avventata. Il menestrello arriva e suona il flauto d’osso del cavaliere ucciso. Il futuro re confisca il flauto, ma quando lo suona viene accusato dal fratello di aver posto fine alla sua vita in anticipo per un motivo ingiusto. Si scatena il pandemonio: la regina sviene, i partecipanti alla festa fuggono e il castello crolla.

Qui è una donna (la regina?) che uccide il pretendente, la foresta è una gigantesca matassa di tubi colorati o fluorescenti, il bianco è per i costumi e per la vuota scatola che funge da scenografia (Rebecca Ringst), il nero quello di un corvo partorito dalla donna che ha intagliato l’osso. Le voci della cantata di Mahler non sono assegnate ai personaggi, ma a dei generici narratori i cui registri sono classicamente suddivisi in soprano, contralto, tenore e baritono. La voce del flauto è qui affidata a due giovanissimi cantori che rendono ancora più lancinante e inquietante questo strano lavoro. Ma nella drammaturgia di Sergio Morabito non si svolge granché: sulla scena per tutti i cinquanta minuti di musica i coristi non fanno che trasportare piante di plastica nella plastica o aggrapparsi ai cavi che penzolano. C’è terra, c’è sangue, la regina (?) si taglia la lingua, ma la musica solo a tratti si ritrova in quel che si vede.
Senza soluzione di continuità, e senza una vera logica se non la presenza del corpo del ragazzino che ha impersonato il cavaliere, o meglio la sua voce, inizia la musica dei Kindertotenlieder (Canti dei bambini morti), scritti da Mahler negli anni 1901-1904.
1. Nun will die Sonn’ so hell aufgehn! (Ora il sole sorgerà così splendente!)
2. Nun seh’ ich wohl, warum so dunkle Flammen (Ora capisco perché tali fiamme oscure)
3. Wenn dein Mütterlein (Quando la tua mammina)
4. Oft denk’ ich, sie sind nur ausgegangen (Spesso penso che siano appena usciti)
5. In diesem Wetter, in diesem Braus (In questo tempo, in questa bufera)
Le due voci gravi, il baritono e il contralto, si alternano nell’intonare gli strazianti versi delle poesie di Friedrich Rückert in cui il poeta cerca di elaborare il lutto della morte dei due giovani figli, quasi una premonizione di quello che sarebbe successo nel 1907 al compositore quando perderà la figlia maggiore Maria. E pensare che Alma aveva accusato il marito di voler provocare il destino quando la raccolta fu pubblicata nel 1905!
Qui la drammaturgia non aiuta e Bieito riesce a delineare una lettura convincente con i due genitori solo alla fine, quando escono di scena assieme sulle note morenti dell’ultimo Lied. Sulle pareti argentate rimangono i disegni infantili tracciati da dei ragazzini. Ed è un momento di forte commozione. L’unico, però.
Questo rappresenta il debutto di Lorenzo Viotti, elegantissimo in frac azzurro, nel teatro viennese e l’esito è estremamente positivo: il pubblico apprezza la lettura raffinata delle due partiture di cui Viotti non smussa gli spigoli volutamente scabri, i contrasti tra pieni orchestrali e i rarefatti interventi dei momenti di teso silenzio. Nell’orchestrazione si sente già quello che si svilupperà nelle sinfonie a venire nel caso di Das klagende Lied, l’estenuata elegia dei pianissimi nei Kindertotenlieder. Vivace e precisa la prestazione del coro guidato da Thomas Lang.
Bene il quartetto di voci, con Vera-Lotte Böcker limpidissimo soprano, Monika Bohinec, contralto che ha degnamente sostituito all’ultimo minuto la cantante prevista, il bel timbro del tenore Daniel Jenz e soprattutto la sensibilità del baritono Florian Boesch che nel finale dà una prova intensissima. Sorprendenti come sempre gli apporti delle voci bianche, qui Johannes Pietsch e Jonathan Mertl, che solo qui a Vienna si possono avere.
⸪