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Mahler, Sinfonia n° 2 in do minore Auferstehung (Risurrezione)
Aix-en-Provence, Stadium de Vitrolles, 13 luglio 2022
(video streaming)
Doppia risurrezione per Castellucci al Festival di Aix-en-Provence
Dopo il suo Requiem del 2019, Romeo Castellucci torna a mettere in scena una composizione musicale che non è destinata al teatro. Qui il regista utilizza la drammaturgia prevista da Mahler per la sua Sinfonia n° 2 Auferstehung (Risurrezione) con i suoi cinque movimenti che in un solenne arco dinamico vanno dai funerali dell’eroe alla sua risurrezione passando per i ricordi della vita terrestre e il mondo fatato del Wunderhorn.
C’è indubbiamente un rapporto di analogia metafisica tra il Requiem e Risurrezione, ma «nel caso della sinfonia di Mahler, il palcoscenico stabilisce un rapporto diretto con il luogo in cui l’opera viene eseguita e predispone a un rapporto intimo con la musica, anche di fronte alla carica eroica espressa soprattutto nel primo movimento», dice il regista, «questo permette di accogliere il flusso di emozioni che la musica genera in pieno volto, procedendo per gradi di sempre maggiore delicatezza, una graduale perdita di energia fino all’ascolto delle voci. Il loro potere acusmatico sarà quindi inteso come il ritorno delle voci dei morti».
Il nuovo lavoro di Romeo Castellucci assume un sapore tragicamente profetico: la Seconda Sinfonia di Mahler è messa in scena come “spettacolo” di apertura del Festival di Aix-en-Provence mentre è in corso l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo e il rimando alle fosse comuni di Mariupol, Bucha, Kramatorsk, Makariv (e chissà quante altre…) sembra inevitabile. Ma il lavoro è stato concepito due anni fa e nessuno avrebbe potuto immaginare allora, nemmeno da lontano, questa dolorosa sovrapposizione: «Nella realtà accadono cose così devastanti che hanno il potere di ridurre a illustrazioni ciò che è nato con altre intenzioni. Le immagini in scena mi sembrano ora difficili da sopportare nella loro involontaria esattezza. Il mondo dell’immaginazione incontra la violenza della realtà fino a sembrarne un’orribile copia. Ne sono consapevole e soffro di questa terribile coincidenza. Ma cosa fare di fronte all’irreparabile che il teatro rappresenta? Mi sembra essenziale farsi carico del dolore, nella sua forma più ossessionante, prodotto da questa sincronicità. Potrebbe diventare, ancora una volta, un’occasione per essere presenti e vivi davanti ai morti, per compiere un gesto collettivo di misericordia attraverso la musica. […] Certe aree della realtà sono visitate dalla finzione – la musica in questo caso – che dà loro un senso: la finzione ci dà la distanza necessaria dall’orrore, una distanza che produce pensiero».
È una risurrezione anche per la location che ospita il lavoro. È infatti negli spazi negletti dello Stadium de Vitrolles – una sala polivalente a una ventina di chilometri da Aix-en-Provence disegnata da Rudy Ricciotti nel 1994 e abbandonata appena quattro anni dopo – che Castellucci mette in scena la Sinfonia in do minore eseguita la prima volta da Mahler a Berlino il 13 dicembre 1895. Nell’intervento di Castellucci il cubo di cemento adagiato sul fianco di una collina de les Bouches-du-Rhône diventa un’installazione artistica con tonnellate di terra che coprono il pavimento lasciato libero dalla fossa orchestrale e dalla gradinata del pubblico. All’inizio, nel silenzio, un cavallo bianco, figura cara a Castellucci, si inoltra in questo spazio desolato, annusa la terra umida e viene recuperato da una ragazza che per caso, colpita da un fetore di morte, scopre un arto umano uscire dal terreno. Chiede un immediato intervento al telefono e poco dopo arrivano dei furgoni con il marchio UNHCR, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, da cui sbarca un’equipe con mascherina e tuta bianca che incomincia a scavare portando alla luce una raccapricciante fossa comune.
Il lavoro di Castellucci non rende giustizia alla sete di spiritualità e trascendenza di Mahler, ma la riporta sulla terra, letteralmente: Résurrection si concretizza in una forma scenica mai illustrativa e di cruda intensità, dove il macabro invita a contemplare la morte e l’inesorabile fino a una durata insostenibile. Durante l’ora e venti minuti di esecuzione della sinfonia viene ossessivamente, ipnoticamente rappresentata la riesumazione dalla terra di decine di cadaveri che vengono poi adagiati con cura pietosa su teli bianchi. Durante il terzo tempo della sinfonia, lo Scherzo, trascrizione strumentale del Lied La predica ai pesci di Sant’Antonio da Padova, in doloroso contrasto con il movimento “In ruhig fließender Bewegung” (Con moto calmo e fluente) viene scoperto un grosso telo nero che cela altre decine di cadaveri: sembra che lo sforzo non finisca mai e qualche volontario si lascia andare allo sconforto. Le mani non bastano più e viene fatta arrivare anche una piccola scavatrice, mentre i teli bianchi su cui adagiare quei poveri resti umani coprono sempre più quella superficie di terra, fango e acqua putrida.
Quando il mezzosoprano intona Urlicht («L’uomo giace nella più grande angoscia, l’uomo giace nella più grande pena»), tutti si fermano: è il momento della riflessione, subito dopo però si deve riprendere il triste compito. Con le ultime note del quarto tempo il lavoro è terminato: i volontari nelle loro tute bianche sporche di fango contemplano in silenzio la distesa di corpi e poi incominciano a raccogliere le salme e a caricarle sui furgoni. Ma una volontaria riprende a scavare come per assicurarsi che non sia stato dimenticato qualcuno, sembra non potersi fermare e a fatica qualcuno riesce a convincerla. Si alza, fa per andarsene, ma rimasta sola si gira a contemplare un’ultima volta quella distesa mentre le trombe del giudizio risuonano fuori scena. Poi si toglie la tuta, l’adagia sul terreno, finalmente esce e il coro del quinto movimento attacca «Risorgerai, sì, risorgerai mia polvere dopo un breve riposo». Alla fine, su quella voragine vuota scende la notte assieme a una pioggia purificatrice.
Il tono macabro, oppressivo, soffocante della partitura è perfettamente evidenziato nella direzione di Esa-Pekka Salonen. Il suono è asciutto, anti-epico, i tempi dilatati, il respiro pesante, in linea con quello che si vede. Salonen rispetta i cinque minuti richiesti dal compositore tra il primo e il secondo movimento. Il tremolo degli archi introduce un’atmosfera da thriller, le eruzioni delle percussioni e degli ottoni sono l’occasione di vere e proprie scosse telluriche per risvegliare i morti. Dall’Orchestre de Paris emerge una tensione e una bellezza trascendenti in cui si alternano momenti di calma delicati e persino sorridenti in mezzo a quel tumulto violento, come quello con Marianne Crebassa che fa risuonare con trepidazione il suo Urlicht, poi affiancata dalla voce sontuosa di Golda Schultz. Il coro, diviso ai lati dell’orchestra, è diretto con sensibilità da Marc Korovitch.
Castellucci sorprende ancora una volta con questo gesto umile, puro. Il suo più che uno spettacolo è un’installazione: ci lascia ascoltare la musica e ci ricorda con forza quanto l’arte sia un’esperienza da vivere, non solo un’occasione per una serata di intrattenimento.
Molto curata è la ripresa video di Philippe Béziat, con dettagli e punti di vista originali, anche all’esterno dell’edificio col sole al tramonto. Durante il coro finale le telecamere riprendono lo stadio vuoto, un’arrugginita scala, le parti abbandonate e vandalizzate dell’edificio, le pareti con i graffiti. Poi rientrano per gli applausi finali. La registrazione video è attualmente disponibile su Arte.tv.
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