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Leonardo Vinci, Ernelinda
Alessandria, Complesso Conventuale San Francesco, 19 maggio 2015
Riportata alla luce un’altra gemma del Settecento musicale italiano
«Nella giusta esaltazione dei beni artistici italiani, pittorici, architettonici, archeologici, ambientali, eno-gastronomici, ci si dimentica spesso dell’impressionante quantità delle fonti musicali, manoscritte e a stampa, presenti negli archivi e nelle biblioteche del nostro e di altri paesi. I compositori italiani hanno “dettato legge” per alcuni secoli al resto del mondo; si pensi al solo melodramma, nato a Firenze nel 1600 ed evolutosi in diverse Scuole la cui produzione ha dominati i cartelloni teatrali». Come non fare proprie le parole di Aldo Bertone, professore presso il Conservatorio di Musica di Alessandria, il quale frugando (via web) nei manoscritti custoditi in quell’altro conservatorio di tesori che è il napoletano San Pietro a Maiella, ha ripescato e trascritto uno dei tanti lavori di quel geniale compositore della Scuola Napoletana, morto in circostanze misteriose neanche quarantenne (anche la data di nascita è incerta), che fu Leonardo Vinci.
Questi ultimi anni segnano una felicissima riscoperta delle sue opere: dopo il mitico Artaserse dei cinque controtenori all’Opéra National de Lorraine e in attesa del Catone in Utica di Versailles, ci sorprende questo Ernelinda o sia La fede tradita e vendicata, opera presentata al S.Bartolomeo di Napoli il 4 novembre 1726, il cui libretto di Francesco Silvani era già stato intonato vent’anni prima a Venezia dal Gasparini. L’opera verrà ripresa negli anni immediatamente seguenti a Firenze, a Bruxelles e a Livorno per poi scomparire e rinascere in tempi moderni sotto le volte del complesso conventuale di San Francesco (ed ex ospedale militare) di Alessandria in occasione della XVIII edizione di Scatola Sonora, il pregevole Festival di opera e teatro musicale organizzato dall’Istituto di Alta Formazione Musicale del locale Conservatorio .
Il Vinci, che ha messo in musica ben cinque libretti del Metastasio per la prima volta, non si fa un problema nel riutilizzare un testo che lo stesso anno è nelle mani di Vivaldi come La fede tradita e vendicata e sarà in quelle di Galuppi nel 1744 come Ricimero, il nome dell’altro personaggio della storia.
La vicenda narrata in questo best seller dell’epoca ce la facciamo raccontare dallo stesso librettista.
«Scacciato dal regno di Norvegia da’ suoi stessi vassalli, Umblo si ricoverò presso Ataulfo re di quei Goti che stesero i confini del regno loro fino alle rive dell’Albi, e condusse seco una sua unica figlia. Al soglio di Norvegia fu sollevato Scandone, contro cui mosse la sciagura di Umblo quasi tutti i principi del settentrione, che unite le loro forze a quelle di Ataulfo, si accinsero a rimettere in trono Umblo. Si oppose a questo torrente Scandone, e tenne per qualche tempo in bilancio la fortuna del regno. In una delle battaglie, che si diedero fra questi eserciti restò ucciso Alarico figlio di Scandone dalla mano medesima di Ataulfo. Concepì Scandone tanto sdegno per la morte del figlio, che se bene gli fossero proposti vantaggiosi partiti di pace, fino a lasciarlo regnare fin che volesse, a condizione, che lui morto, fosse riconosciuta regina la principessa figlia di Umblo, che in questo tempo mancò di morte naturale, non si poté giammai questo rigido principe ridurre ad accettarli. Restò finalmente egli vinto e prigioniero. Ma l’infedele Ataulfo vedutosi vincitore, ricusò il restituire il regno alla figlia di Umblo, per le ragioni di cui si era intrapresa quella guerra, con tutto che avesselo promesso al morto di lei padre, ed a tutti i principi confederati. Questa infedeltà irritò gl’animi generosi di questi a vendicare la principessa, e perché era necessario l’acquistarsi ancora l’amore de’ norvegi fedelissimi al loro re prigioniero, fu risoluto di liberarlo dalle forze di Ataulfo, e restituirlo al trono, con la condizione sopra accennata, cioè che lui morto, ricadesse il regno nella principessa figlia di Umblo. Il tutto si eseguì, ed ebbe in grado di somma fortuna Ataulfo il ritornare al governo della sua Gotia. Sovra questa base è fondato il dramma presente, in cui si mutano per comodo della musica i nomi di Umblo in quello di Grimoaldo, in quello di Ricimero quello di Ataulfo, e quello di Scandone in quello di Rodoaldo. Danno materia all’episodio, gli amori di Vitige principe reale di Dania con Ernelinda figlia di Rodoaldo amanti scambievolmente prima del cominciamento di questa guerra, di Edelberto principe reale di Boemia con Edvige figlia di Grimoaldo; e quello segreto di Gildippe principessa della Sarmazia per Ricimero».
In questa versione i personaggi principali sono:
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Ricimero, re dei Goti, destinato sposo di Edvige e poi amante di Ernelinda (basso);
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Rodoaldo, re di Norvegia (tenore);
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Ernelinda, figlia di Rodoaldo e amante di Vitige (soprano);
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Edvige, figlia di Grimoaldo già re di Norvegia (soprano);
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Vitige, principe di Danimarca, cugino di Edvige e amante di Ernelinda (soprano en travesti);
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Edelberto, principe di Boemia e amante di Edvige (soprano en travesti);
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Rosmeno, principe e anche lui innamorato di Edvige (basso).
La spiccata melodiosità della musica del Vinci, tratto tipico della scuola napoletana che fa risaltare al massimo la linea vocale, non rinuncia a raffinatezze strumentali messe in luce qui dalla puntuale direzione di Marco Berrini a capo della smilza Orchestra Barocca del Conservatorio che con soli undici archi, un oboe, due corni e il clavicembalo sostiene ottimamente i cantanti impegnati nelle 19 arie, ora seducenti ora drammatiche, della trentina di numeri di cui è composta l’opera del Vinci (il libretto ne prevedeva ben 38!). Opportunamente ridotti sono stati anche i recitativi.
Riguardo a Riccardo Ristori e Lilia Gamberini si sapeva di andare sul sicuro: interpreti entrambi genovesi e professionisti del canto hanno usato al meglio la loro vocalità nelle rispettive parti di Ricimero ed Ernelinda; il primo nelle agilità richieste dal ruolo del re che oscilla tra tenera passione e rigore crudele, mentre la seconda ha svelato la sua vena drammatica nella bellissima aria tragica «Empia mano, tu scrivesti, | né scoppiasti ingrato cor» – in cui Ernelinda esprime il proprio sgomento per aver dovuto scegliere tra il padre e l’amante come vittime del supplizio capitale – e poi nella seguente scena di pazzia, qui peraltro simulata per sfuggire alle “sozze brame” del re goto.
Ma sono stati i giovani interpreti la piacevole sorpresa della serata. A cominciare dalla sorprendente presenza scenica e sicura vocalità della Edvige di Cristina Mosca, tutti hanno dimostrato, seppure in diversa misura, una maturità e una personalità frutto sia di doti naturali sia di una dedizione encomiabile. Ecco i loro nomi, che ci auguriamo ritrovare in futuro sulle scene dei maggiori teatri del mondo: Ilaria Lucille de Santis (Vitige), Luca Santoro (Rodoaldo), Andrea Goglio (Rosmeno), Andrea Celeste Prota (Edelberto) e Roberto Filippo Romeo (nella piccola parte di Milo).
Lo spettacolo ha avuto una rappresentazione scenica di raffinata eleganza sotto le attente cure del regista Luca Valentino: all’inizio i cantanti sono in casual nero, con solo alcuni accenni di costume per indicare il loro ruolo nella vicenda e cantano davanti a due leggii come se si trattasse di una esecuzione in forma di concerto. Pochi elementi fisici che rappresentano flutti marini e due pedane sono presenti in scena. Sul fondo uno schermo ci rimanda immagini di incantevoli vecchi scenari teatrali o di opere d’arte di tutte le epoche riprese in suggestivi scorci dinamici nel video di Gabriele Zola.
Poi spariscono i leggii e, come se col tempo gli interpreti prendessero sempre più coscienza del proprio personaggio, ogni volta rientrano con un indumento in più fino a sfoggiare alla fine gli strabilianti costumi barocchi ideati e realizzati dalla fervida e ironica fantasia di Claudio Cinelli. I trucchi dei visi, le luci, i movimenti in scena, tutto concorre a costruire uno spettacolo di rara suggestione. Difficilmente si è visto un gioco di squadra così perfetto a questo livello. Complimenti a tutti.
⸪