Benvenuto Cellini

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★★★☆☆

L’“ineseguibile” opera di Berlioz

Prima opera di Hector Berlioz, inizialmente pensata dai librettisti Léon de Wally e Henri Auguste Barbier con i dialoghi parlati, tipici dell’opéra-co­mique, e poi riscritta come opera più convenzionale con i recitativi cantati, ebbe la prima a Parigi nel 1838 provocando dissensi e tafferugli tra il pubbli­co, con i musicisti uniti a definire la musica impossibile da suonare e capeg­giati dal direttore Habenek che trovava la partitura «piena di note sbagliate, tempi sbagliati e soprattutto ritmi sbagliati».

Atto I. La casa di messer Giacomo Balducci a Roma. È il crepuscolo del lunedì prima della quaresima. Il tesoriere del papa si lamenta con sua figlia Teresa perché Cellini ha ricevuto dal santo padre l’incarico di creare una statua in bronzo raffigurante Perseo che stringe la testa mozzata della Medusa. Egli avrebbe preferito che l’incarico fosse toccato a Fieramosca, scultore famoso, cui vorrebbe dare in sposa la figlia. Ma Teresa è segretamente innamorata di Cellini: preoccupata, si chiede se i diritti dell’amore debbono essere più forti dei doveri verso i genitori. Entra Cellini. Durante il loro duetto, entra non visto Fieramosca e sente le parole che Cellini rivolge a Teresa: le propone di fuggire a Firenze durante i festeggiamenti del carnevale. Perché ella lo possa riconoscere, Cellini si maschererà da frate con un saio bianco. Si sente Balducci tornare. Mentre Cellini riesce a fuggire, Fieramosca si nasconde nella stanza da letto di Teresa, dove viene scoperto: con sorpresa e indignazione, Balducci e Teresa chiamano a raccolta i vicini perché vengano a prelevare l’intruso e gli facciano fare un bel bagno nella fontana.
Atto II. Piazza Colonna, la sera del martedì grasso. Cellini, prima di essere raggiunto dai suoi amici artisti di Firenze nella piazza, medita sull’amore e sulla gloria. Poi tutti insieme improvvisano una canzone, che tesse le lodi di tutti gli artisti orafi della Toscana. Entra Ascanio, per informare Cellini che il papa, pagando profumatamente l’artista, pretende che la statua sia pronta per l’indomani. Intanto Fieramosca ha ordito un piano per sventare la fuga del rivale: indosserà il saio bianco come Cellini, in questo modo Teresa rimarrà frastornata. Ha inizio il carnevale. Mentre gli attori invitano il pubblico ad assistere alla loro commedia (una pantomima architettata da Cellini, nella quale è facilmente riconoscibile la caricatura di Balducci), approfittando del frastuono generale Teresa cerca Cellini, ma si trova di fronte due frati bianchi che dicono entrambi di essere Cellini. Ne nasce un tafferuglio, nel corso del quale Cellini uccide involontariamente un amico di Fieramosca, credendolo il rivale. La folla lo circonda, ma proprio mentre le guardie stanno per portarlo via si ode un colpo di cannone da Castel Sant’Angelo. È mezzanotte: il carnevale è finito, inizia la quaresima, tutto il tripudio deve immediatamente cessare. Approfittando dell’improvviso sconcerto generale, Cellini fugge e al suo posto viene arrestato Fieramosca.
Atto III. Lo studio di Cellini, il mercoledì delle ceneri, di prima mattina. Ascanio ha trascinato Teresa fuori del tumulto della notte precedente e l’ha portata nello studio di Cellini. Mentre lo aspettano, sentono passare in strada la processione del mercoledì delle ceneri e si uniscono alla preghiera. Entra trafelato Cellini, che racconta come il travestimento gli abbia salvato la vita: ora potrà finalmente fuggire con Teresa a Firenze, e poco gli importa dell’impegno preso con il Papa. I due innamorati cantano esaltati la loro felicità. Entrano Balducci e Fieramosca, accompagnati dal Papa; ognuno espone le sue ragioni, ma su tutto preme una decisione: il Papa vuole assolutamente la sua statua. Di fronte al gesto di Cellini, che afferra il martello e minaccia di sbriciolare lo stampo già pronto, tutti sono presi dal terrore. Si cerca una soluzione. Il Papa è disposto a concedere il suo perdono e la mano di Teresa a Cellini a condizione che la statua sia subito terminata: altrimenti Cellini verrà impiccato. La fonderia di Cellini al Colosseo, la sera dello stesso giorno. Mentre gli artigiani preparano la fusione della statua, Cellini medita sulla sua sorte di artista e invidia una vita spensierata, leggera, come quella del pastore sulle montagne. Giunge il Papa per essere presente alla fusione. Gli operai urlano e chiedono ancora metallo: quello di cui dispongono non è sufficiente a riempire lo stampo. Disperato, Cellini afferra tutti gli oggetti da lui creati fino a quel momento e li sacrifica al suo capolavoro, gettandoli nella fornace. Una terribile esplosione annuncia l’avvenuta fusione e la statua si svela in tutto il suo splendore.

Liszt si offrì di rimaneggiare e scorciare la partitura e in questa versione l’opera venne data a Weimar nel 1852, ma senza successo. A questa segui­rono innumerevoli altre versioni fino all’ultima edizione critica del 1966 su cui si basa questa produzione del Festival di Salisburgo del 2007. E in effetti opera difficile da eseguire lo è: vicenda astrusa, pezzi musicali disuguali accostati un po’ alla rinfusa e di ardua esecuzione, cori a squarciagola e una orchestrazione improba. Il tutto è affrontato qui con una messa in scena che all’inizio può lasciare interdetti, ma che con l’andare del tempo si rivela forse l’unica possibile e anche il compassato pub­blico sali­sburghese alla fine ne è conquistato. Le stravaganti invenzioni del regista Philipp Stölzl rimandano a mondi distanti dalle consuetudini dell’opera liri­ca tradizionale: cinema, video pop, fumetti, illustrazione fan­tascientifica, ki­tsch sfrenato. Tutto è però consono allo stile dell’opera con il suo continuo carnevale (sì, la celebre Ouverture caratteristica provie­ne dall’opera), i personaggi grotteschi, gli scoppi nell’orchestra.

A tenere assieme il tutto Valerij Gergiev sul podio e una schiera di can­tanti non eccelsi, ma efficaci nelle loro rispettive parti. Burkhard Fritz, un Cellini di borgata in canotta, tiene testa all’impervia parte, ma fa rimpiangere Nicolai Gedda o John Vickers. Delle due interpreti femminili la Kate Al­drich come Ascanio (una specie di C3P0 di Guerre Stellari) è quella che più stupisce per le prodezze vocali. Laurent Naouri è l’unico a cantare nella sua lingua e si mostra a suo agio come in un’operetta di Offenbach.

La regia video con i molti primi piani dei singoli coristi si perde un po’ quello che avviene in scena: dall’ouverture con la metropoli alla Blade Runner, all’assalto alla cantina (qui un chiosco di liquori) della folla in ma­schera, alla fusione della statua in una fucina che sa invece di Metro­polis. Da que­sto fitto mosaico ci si rende conto della complessità dello spettacolo che perde della sua forza in disco.