Zarzuela

La del manojo de rosas

Pablo Sorozábal, La del manojo de rosas

★★★★★

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 22 novembre 2020

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La zarzuela modernista che pone fine al genere

Riproposta di uno dei più grandi successi di Pablo Sorozábal e del Teatro de la Zarzuela degli ultimi decenni, La del manojo de rosas è una storia d’amore in cui il sainete diventa una proposta critica dal momento in cui la protagonista rifiuta di usare il matrimonio come mezzo di avanzamento sociale. Tutto questo in una Madrid pienamente repubblicana in cui i suoi abitanti sembrano disposti a scrollarsi di dosso i miti del casticismo e a ballare i ritmi d’oltreoceano.

Atto I. Prima scena. L’azione è ambientata nella piazza Delquevenga, un luogo al centro di un aristocratico quartiere di Madrid con la prospettiva dei grattacieli; c’è un bar, un’officina meccanica e una fioreria chiamata “El manojo de rosas”, dove lavora Ascensión, una giovane donna in declino ma fiera del suo lavoro e della sua posizione di operaia. È corteggiata da Joaquín, un simpatico meccanico di officina, e da Ricardo, un bel giovane che è diventato pilota d’aerei. Ascensión opta fermamente per Joaquín: è una lavoratrice e sposerà un uomo della sua classe, che non deve rimproverarle il suo denaro o la sua educazione. Questo rattrista Don Daniel, il padre di Ascensión, che vuole che la figlia recuperi la sua posizione sociale e viva secondo la sua dignità, ed è più favorevole al suo matrimonio con Ricardo. Nella stessa officina lavora Capó, un meccanico distratto, compagno di Joaquín, che corteggia Clarita, una manicurista le cui aspirazioni culturali si scontrano con il carattere semplice di Capó. Il suo rivale è Espasa, un cameriere che si vanta di essere la persona più colta e usa un linguaggio pieno di parole bizzarre e senza senso. Nella piazza appare Don Pedro Botero, un commerciante di rottami metallici la cui idea è quella di arricchirsi con la guerra in arrivo e i cui piani discute sempre con i suoi vicini e amici. Ricardo viene a cercare Ascensión per parlarle, ma Joaquín gli si avvicina e scoppia una rissa, che viene interrotta quando Ascensión appare per fare una consegna di fiori e porta con sé Joaquín, lasciando la tensione nell’aria. Seconda scena. Nell’ingresso di un elegante appartamento, Ascensión sta portando un mazzo di rose a Doña Mariana, una donna di nobile carattere il cui punto debole sono i fiori; lì incontra il marito, Don Pedro Botero, che commenta la storia d’amore della giovane donna. Doña Mariana cerca di scoprire in confidenza chi sia, quando appare Joaquín, vestito da gentiluomo. Quando Ascensión lo vede, è amaramente sorpresa di scoprire la verità: l’adorato meccanico non è altro che un giovane signore travestito. Lascia la casa con l’impressione di essere stata ingannata. Terza scena. Nella piazza Delquevenga, l’Espasa cerca di far uscire la tristezza di Ascension e di tirarla un po’ su. Clarita e Capó discutono animatamente sulle loro differenze di carattere e sulle intenzioni di Espasa nei confronti di Clarita. Joaquín esce dall’officina e incontra Ascensión, che lo rimprovera di averla ingannata facendosi passare per un operaio e nascondendole il suo stato sociale. Ricardo, incoraggiato da Espasa, è spinto a corteggiare Ascensión, che lo accetta come pretendente e ne approfitta per mettere in ridicolo Joaquín di fronte alla gente del quartiere.

Atto II. Prima scena. Sono passati diversi mesi e alcune cose sono cambiate nella piazza. Clarita lavora ora come responsabile del negozio di fiori, Capó è ancora innamorato di lei ed Espasa ha cambiato lavoro, ora è un controllore di autobus. Ascensión appare in piazza accompagnata da Don Daniel; in entrambi si può vedere il cambiamento sociale che hanno subito in seguito alla vittoria di Don Daniel nella causa. Appare anche Ricardo ed è chiaro che le relazioni tra loro stanno diventando sempre più fredde. Joaquín torna all’officina in cerca di lavoro. Quando si imbatte in Ascensión segue una scena sgradevole in cui lui le rimprovera il cambiamento della sua posizione sociale, lasciandola disorientata. Seconda scena. Doña Mariana e la sua famiglia vivono ora in un cortile di quartiere popolare in seguito al fallimento economico del marito. Ascensión viene a portarle un mazzo di rose e a parlarle di Joaquín. Joaquín e Ascensión si incontrano sul pianerottolo e lui la ringrazia per avere portato le rose, che ricordano loro i bei momenti passati dal giorno in cui si sono conosciuti. Terza scena. Il luogo è lo stesso della prima scena. Davanti al negozio di fiori, Clarita rimprovera incessantemente Capó, che ha lasciato il suo posto nell’officina a causa di una discussione con il suo capo. Ascensión appare chiedendo di Joaquín, che è assente dal lavoro da diversi giorni. In un inciso, racconta a Clarita della sua insostenibile situazione con Ricardo e chiede a Clarita di comunicare a Ricardo la sua decisione di volerlo lasciare. Dall’altra parte, Ricardo cerca di fare lo stesso, usando Espasa come messaggero, per comunicare la sua decisione ad Ascensión. Alla fine Ricardo e Ascension mettono le cose a posto, rendendosi conto che la loro relazione non funziona e rimanendo buoni amici. Joaquín appare nella piazza e quando incontra Ascensión, le dichiara il suo amore. Alla fine fanno pace e tornano insieme. Tutti i vicini della piazza festeggiano la felicità della coppia.

Quando questo sainete in due atti fu presentato al Teatro Fuencarral di Madrid il 13 novembre 1934, gli esperti avevano già dato per morto il genere. Il casticismo di donne orgogliose e impiegati e il madrileñismo delle case da ballatoio che Bretón e Chapí avevano fatto vivere in La verbena de la Paloma e La Revoltosa erano stati ripetuti per decenni fino a esaurire il modello. E, dato per morto, si presumeva che fosse sepolto quando l’Apolo, cattedrale del género chico, scomparve nel 1929 per potervi costruire una banca.

Ma contro ogni previsione, il sainete fu fatto rivivere con La del manojo de rosas. Il miracolo fu eseguito da Francisco Ramos de Castro e Anselmo Cuadrado Carreño, responsabili del testo, insieme a Sorozábal, quel «basco educato musicalmente in Germania», come si definì nelle sue memorie. I tre hanno avuto l’audacia di dinamizzare il modello che li aveva preceduti e di tornare alle loro radici, capendo che «il sainete deve essere come un riflesso sentimentale e divertente della vita popolare. Perché l’esterno cambia – costumi, dialoghi, luogo d’azione – ma i sentimenti delle persone no».

È per questo che la gente che applaude si affaccia sulla “Plaza Delquevenga” come un tempo si affacciava al ballatoio, pronta a raccontare i suoi guai sentimentali. Ma quei mali d’amore vengono ora mostrati in una città contemporanea, in una Madrid con i grattacieli sullo sfondo dove lo scialle di manila o il foulard di crêpe non sono altro che una citazione riconoscibile per tutti, poiché sono incorporati nella memoria collettiva; le ragazze che appaiono in scena lavorano come fioraie e manicuriste e i camerieri che le accompagnano come meccanici, camerieri o addirittura aviatori; e si parla di femminismo e di educazione, di guerra, di politici e persino di spiritismo. I sentimenti sono gli stessi, sì, ma ora sono espressi mescolando la migliore tradizione della zarzuela, pasodoble incluso, con arie importate, moderne e ballabili. È una nuova voce perché è un nuovo popolo. La del Manojo de Rosas, che ha ormai più di 85 anni, è il titolo che meglio riflette la Madrid moderna di quegli anni. Dopo tutto, queste erano le intenzioni di Sorozábal con questa zarzuela: «fare una musica, semplice, spontanea, impertinente, che avesse verve e sentimento, di sapore popolare, ma non folcloristico o populachero, e che, nella sua semplicità, gli intenditori di musica vi trovassero tracce di modernità, fino a pensare a Stravinsky». Questa è l’epoca in cui le donne avevano la libertà di imparare e di decidere, come mostrano in scena Ascensión e Clarita, due ragazze prese da uno di quei club femminili dell’epoca, che sia il Lyceum Club o La Cívica, perché parlano dei loro sogni e desideri, senza sentimentalismi, e dicono chiaramente quello che sentono e quello che pensano.

La produzione più emblematica e popolare del Teatro de la Zarzuela compie 30 anni. Alla sua prima nel settembre 1990 fu accolta molto bene dal pubblico e dalla critica ed è rimasta tra le favorite in questi ultimi tre decenni. Varie generazioni di cantanti, artisti, tecnici e pubblico hanno partecipato o goduto di quella che oggi è l’opera più conosciuta di Pablo Sorozábal, quella che lui ha legato in modo speciale a questo luogo. Con questo titolo il regista teatrale Emilio Sagi ha prodotto una delle migliori produzioni della sua lunga e fruttuosa carriera, a iniziare dalla bella scenografia di Gerardo Trotti e ai costumi di Pepa Ojanguren (che è mancata pochi mesi fa) che connotano felicemente l’epoca. La direzione attoriale, i movimenti delle masse e le gustose coreografie di Goyo Montero (anche lui scomparso nel frattempo) fanno di questo uno spettacolo delizioso che nella sua prima edizione si è potuto vedere anche in Italia in tre recite al Teatro dell’Opera di Roma durante la tournée del teatro madrileño nel novembre 1991 .

Ospite molto apprezzato dal pubblico che chiede e ottiene il bis della sua romanza habanera del secondo atto «Madrileña bonita» è quello di Carlos Álvarez che mette a disposizione la sua fin troppo importante voce per il personaggio di Joaquín. Ruth Iniesta dà vita a un’intensa e vocalmente autorevole Ascensión, la fioraia del titolo, mentre Sylvia Parejo e David Pérez Bayona formano l’altra vivace coppia di innamorati, Clarita e Capó. Non memorabile il Ricardo di Vicenç Esteve, gustosissimo invece l’Espasa di Ángel Ruiz, il barista dal surreale e ricercato eloquio – eccone un esempio: «Pues a mí, verás; a mí, el alcaloide que me descuajeringa es la vertebración ancestral de las neuronas en complicidad fragante con el servetinal. Porque, como sin leucocitos no hay ecuaciones, en cuanto pongas dos binomios a hervir ya tiés caldo magi». Nella parte minore di Doña Mariana ritroviamo una gloria della zarzuela, Milagros Martín. Alla testa dell’Orquesta de la Comunidad de Madrid, ridotta ai minimi termini a causa del distanziamento, Guillermo García Calvo, il nuovo direttore musicale del teatro, dipana con passione gli undici numeri musicali che compongono questa zarzuela modernista con cui si conclude la gloriosa stagione del género chico.

Luisa Fernanda

Federico Moreno Torroba, Luisa Fernanda

★★★☆☆

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 10 febbraio 2020

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Livermore e la zarzuela, un connubio discusso

L’opera sarà viva finché le daremo nuova vita, anche creando polemiche, dibattiti, riflessioni. Non scampa all’assunto neppure la zarzuela che molto spesso è fruita come un prodotto tradizionale da un pubblico molto tradizionalista. Che il Teatro de la Zarzuela presenti un’opera iconica come Luisa Fernanda affidata alle mani di un regista internazionale come Davide Livermore è un avvenimento a suo modo storico. Ma parte della critica e degli spettatori non si è dimostrata ricettiva alla proposta.

Livermore privilegia il quartetto d’amore con il conflitto sullo sfondo, come d’altronde avevano indicato Romero e Fernández Shaw a loro tempo: «Volevamo usare lo sfondo storico per ambientare la vicenda che ruota intorno a una trama d’amore». Per dargli vita, usa la risorsa del cinema come luogo di incontro durante gli anni ’30 e ’40 in cui è ambientata la storia, una delle novità popolari dell’epoca che mise il chiodo finale nella bara della zarzuela: Luisa Fernanda (1932)e La del manojo de rosas (1934) furono in pratica il canto del cigno del genere.

Il regista sembra invitarci a una prima cinematografica, ricreandone una nel mitico cinematografo Doré di Madrid. I personaggi principali ci vengono presentati su uno schermo incorniciato dalle scenografie della Giò Forma. Le proiezioni “d’epoca” sono di Pedro Chamizo e una struttura rotante permette di variare il punto di vista sui personaggi. La scena acquista slancio alla fine del secondo atto, con lo scoppio della rivolta popolare: Livermore riesce qui a far vivere meglio i personaggi, mentre lo schermo finisce sullo sfondo. Nel terzo atto si copre di spighe di grano e di lillà per creare la scena rurale dell’Estremadura di Vidal. Nella direzione degli attori Livermore punta al dettaglio di espressioni e azioni, dà a ogni personaggio una vita propria e lo fa muovere con la musica, mentre il movimento delle masse è a volte un po’ casuale. Il corpo di ballo danza sulle efficaci ma non originalissime coreografie di Nuria Castejón e gli idiomatici costumi di Mariana Fracasso hanno la loro più fantasiosa realizzazione nei modelli indossati dalla duchessa Carolina.

I tredici numeri musicali sono realizzati con passione da Karel Mark Chichon alla guida della Orquesta de la Comunidad de Madrid, dal coro del teatro e da un cast di voci gloriose ma un po’ usurate: sono quelle di Yolanda Auyanet (Luisa Fernanda), Javier Franco (Vidal Hernando) e Rocío Ignacio (Carolina). Il tenore Jorge de León (Javier Moreno) non risparmia sul volume, sempre troppo forte, tanto da risultare aspro e duro, ma il pubblico dimostra invece di gradire la sua performance. Chacun à son goût…

 

La tempranica

Gerónimo Giménez, La tempranica

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 16 ottobre 2020

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Un dittico smembrato dalla pandemia

Due storie che hanno molto in comune: l’infelice vicenda d’amore di una gitana, lo stile verista, l’ambientazione a Granada e l’ammirazione che Manuel De Falla (1876-1946) provava per il maestro Gerónimo Giménez (1854-1923). Con il titolo “Granada” il Teatro de la Zarzuela di Madid intendeva presentare per la sua inaugurazione un dittico formato dall’atto unico La tempranica, il lavoro più ambizioso del compositore sivigliano autore di quasi 120 zarzuelas, e da La vida breve, uno dei pochi lavori per le scene scritto dal maestro di Cadice. Anche nei testi delle due opere ci sono corrispondenze, come quando i gitani della prima si lamentano del loro destino nel loro linguaggio infarcito con l’andaluso «A trabajá con faitigas ar mundo habemos venío» mentre gli operai nella fucina de La vida breve cantano «Malhaya el nombre que nace con negro sino. Malhaya quien nace yunque en vez de nacer martillo». In entrambe le opere c’è poi l’intervento di un cantaor flamenco. La pandemia ha però impedito che i due titoli fossero presentati nella stessa serata e quindi sono stati distribuiti in serate diverse».

Su libretto di Julián Romea Parra, La tempranica (il titolo fa riferimento al carattere della protagonista, «Tempranica me yaman, quisá lo sea. No pa las alegrías, sí pa las penas») debuttò al Teatro de la Zarzuela il 19 settembre 1900 con successo di pubblico, meno di critica. Così scrisse infatti il giornale “Blanco y Negro”: «Si tratta di un bel quadro colorato, con un soggetto molto semplice e personaggi disegnati in modo solido. Come risultato della semplicità stessa del suo soggetto, l’azione arriva un po’ debole e diluita all’ultima scena, ma la figura della zingara è così tenera, c’è così tanta poesia in quella ragazza struggente e amorosa, e il ragazzo zingaro è così divertente e ingenuo, che anche se l’opera non avesse altro, è molto degna di essere tra le migliori del género chico». “El Liberal” vi vide Invece l’influenza della commedia di Pierre-Samuel Berton e Charles Simon che quello stesso anno avrebbe ispirato la Zazà di Leoncavallo: «Il signor Romea ha indubbiamente apprezzato il terzo atto della commedia francese… E qui ti voglio: la somiglianza tra l’opera e la commedia è evidente. Zazà va a casa del suo amante per fare uno scandalo, ma vi vede l’innocente Toto e la rabbia della povera ragazza si trasforma in pianto. La tempranica va a casa del conte di Santa Fe, decisa a rendersi ridicola, ma vede il piccolo conte così carino nella sua culla e la povera ragazza si ritira, tutta compunta. […] La zarzuela di ieri sera è decente e se non rivela una vera arte, mostra però abilità teatrale e conoscenza di certe risorse».

La tempranica inizia con una fanfara di caccia che ricorda quella del Freischütz, poi la musica diventa più idiomatica e fra i sei numeri musicali c’è quello cantato da Grabié, lo zapateado “La tarántula é un bicho mu malo”, che è tra i pezzi favoriti dei concerti di zarzuela e uno dei bis più eseguiti nei recital spagnoli.

Quadro primo. Campagna vicino alla Sierra Granadina. Dopo un emozionante Preludio entra una squadra di cacciatori, al suono dei corni. Sono amici di Don Luis, che cantano in lode della gioia della caccia. L’inglese, il signor James, li diverte con i suoi tentativi di castigliano, orribilmente mescolato con l’inglese. È ansioso, come tutti i buoni turisti, di ascoltare alcuni i canti tipicamente contadinie Don Luis manda il suo servo, Curro, alla fattoria vicina per cercare Grabié, un giovane zingaro (ruolo en travesti) che lavora presso i fabbri locali. Quando il ragazzo vede Don Luis, lo accoglie con gioia – tutta la famiglia ama Don Luis, nessuno più di sua sorella María. Nonostante i tentativi di Don Luis di zittirlo, Grabié continua ingenuamente a spiegare quanto sia devota al suo Señorito. Il signor James sospetta una storia d’amore, soprattutto quando Don Luis cambia argomento e chiede rapidamente a Grabié di cantare qualcosa. Il ragazzo obbedisce con una canzone sfacciata sui modi malvagi della tarantola – o forse sui pericoli dell’innamoramento. Don Luis è costretto dai suoi amici a dire la verità. Perdendosi tra le pericolose cime delle montagne, è caduto e ha perso i sensi, rinvenendo nel minuscolo tugurio dei suoi soccorritori, la famiglia di María. La ragazza, conosciuta come La tempranica, curò Luis (che lei crede essere un semplice proprietario terriero di campagna senza legami) fino alla completa guarigione e. fedele al suo nome, si innamorò impulsivamente di lui. Luis è evasivo sul fatto che abbia ricambiato il suo amore. Certamente lasciò gli zingari non appena fu in grado, senza nemmeno salutare la ragazza. María è stata inconsolabile per molte settimane, anche se Grabié dice a Luis che sta imparando a dimenticarlo. Avvertito di non dire a María della vicinanza di Don Luis, il ragazzo si precipita naturalmente a farglielo sapere. La tempranica appare immediatamente, chiedendo di parlare con Luis da solo. Gli altri li lasciano e in un duetto lui cerca di calmare le sue ripetute proteste d’amore, evitando accuratamente la verità, ossia che, da quando l’ha lasciata, ha sposato una bella donna della sua stessa classe. La avverte ripetutamente che l’amore tra loro è impossibile, ma lei non accetta la sua parola e giura di conquistarlo ad ogni costo.
Quadro secondo. Accampamento degli zingari in montagna. Miguel, un giovane zingaro serio e laborioso, si è innamorato di María e lei ha accettato di sposarlo. Un intenso preludio orchestrale sfocia in un potente coro gitano – i festeggiamenti sono già in corso – anche se María rimane profondamente malinconica. Il suo stato d’animo è riflesso dai versi struggenti della nana flamenca, giustapposti alle gioiose sciocchezze di alcuni amici di Miguel e alle esplosioni passionali della tempranica. María continua a cantare una canzone, che inizia lodando orgogliosamente il suo amante gitano, ma cambia tono quando vede Don Luis portare il signor James per assaggiare le delizie colorate delle feste gitane. La tempranica spera naturalmente che il suo amante sia venuto a reclamarla,e il coro, pensando che lei canti ancora di Miguel, asseconda i suoi ardenti desideri. Quando Grabié, nascosto dietro una roccia, scopre la verità – che Luis è sposato, e un aristocratico – María soffre tutti i tormenti della disperazione passionale senza speranza.
Quadro terzo. La città di Granada. Un interludio orchestrale ci porta dalla campagna (tanguillo con nacchere) alla città (un sofisticato valzer) e alla breve scena finale. María è venuta a supplicare Don Luis, portando con sé suo fratello. Non appena intravede la moglie e il figlio piccolo di lui, la realtà spezza il suo sogno. Ricucendo la sua dignità distrutta come meglio può, decide di accettare l’amore del devoto Miguel.

Di tutto questo non si vede quasi nulla nella produzione: l’idea registica di Giancarlo del Monaco parte dalla sua messa in scena de La vida breve del 2010 a Valencia per unificare i due pezzi, facendo de La tempranica il support piece della più consistente opera di de Falla. Nel primo lavoro il regista modifica tutti i dialoghi parlati introducendo i personaggi di De Falla, Romea e Giménez: la vicenda si situa nello studio di Giménez durante le prove, appunto, de La tempranica. I quadri musicali che vediamo, anche se apprezzabili dal punto di vista visivo, non hanno nulla a che vedere con i dialoghi tra i due compositori, dialoghi piuttosto banali e intessuti di informazioni da wikipedia. Per di più, l’attore che interpreta De Falla non è abbastanza giovane, sembra il fratello maggiore del maestro, che aveva 22 anni più di lui. Lo stesso problema si ha con i cantanti, dove María e Luis proprio fanno fatica a passare come due appassionati adolescenti. Il regista rende poi Luis un antipatico ubriacone e María una donna ossessiva e appiccicosa, altro che «ragazza struggente e amorosa». Un po’ meglio vanno le cose sul piano vocale con Rubén Amoretti e Nancy Fabiola Herrera, quest’ultima cantante di temperamento e grandi doti vocali spiegate qui con generosità anche se con una certa usura del mezzo. Manchevole l’intervento di Ruth González, un Gabrié sfiatato e dalla voce immatura. Sotto la guida di Miguel Ángel Gómez-Martínez l’orchestra ridotta a quasi un quarto riesce appena a restituire il colore e il corpo della partitura. Così come il coro, decimato e con mascherina, cerca di fare del suo meglio.

La revoltosa

Ruperto Chapí, La revoltosa

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 5 marzo 2017

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Aria fresca al Teatro de la Zarzuela

Equivalenti ai nostri Cavalleria rusticana e Pagliacci, i due atti unici La verbena de la Paloma  e La revoltosa sono i gemelli inseparabili della zarzuela. Il sainete di Chapí condivide con quello di Bretón l’ambientazione contemporaneo nella capitale spagnola, la combattuta passione tra due amanti e un ricco sottofondo farsesco di libertinaggio popolare. Il debutto avvenne al Teatro Apolo il 25 novembre 1897 con un libretto di José López Silva e di Carlos Fernández Shaw.

Felipe, uno dei vicini del cortile di una casa di Madrid, si vanta di essere l’unico a resistere al fascino di Mari Pepa, di cui è totalmente innamorato. Allo stesso modo, Mari Pepa è gelosa quando vede Felipe con altre ragazze e, sebbene entrambi siano innamorati l’uno dell’altra, fingono un disprezzo che non provano. Un giorno, tutti i vicini se ne vanno per la festa notturna, lasciando soli Mari Pepa e Felipe, che ricominciano a prendersi in giro fino a riconoscere finalmente il loro amore. Tuttavia, la loro passione non dura a lungo, perché poco dopo Felipe rimprovera Mari Pepa di guardare altri uomini e questo porta a una discussione, qualcosa che diventa frequente nella loro relazione da quel momento in poi. Anche così, tengono l’intera faccenda segreta. I vicini, stufi del comportamento dei loro mariti nei confronti di Mari Pepa, decidono di punirli. Per farlo, fanno loro credere che Mari Pepa li ha convocati. Ognuno di loro si inventa una scusa per lasciare la festa e rimanere solo con Mari Pepa, e le donne, comportandosi come se non sapessero nulla, danno loro il permesso di andarsene, seguendoli poi per scoprirli all’ultimo momento. Dopo che l’inganno viene scoperto, Felipe confessa il suo amore davanti a tutto il vicinato e Mari Pepa si getta definitivamente tra le sue braccia.

«Il libretto è di qualità classica, combinando brillantemente la sensibilità poetica di Shaw con il chiassoso argot di strada di Silva, ma ha bisogno del palcoscenico per prendere piena vita. Ciononostante, la musica atmosferica di Chapi ha spirito ed enorme vitalità e La revoltosa ha goduto di una costante e ben meritata popolarità. È stata l’ispirazione per diversi film e ha fornito il modello per un’infinità di imitazioni. Mari-Pepa stessa è stata un modello per le orgogliose donne di Madrid per più di 100 anni, fino ad avere vestiti, torte e bevande gassate che portano il suo nome!» (Christopher Webber, The Zarzuela Companion).

La musica dura solo 35 minuti, molti dei quali sono interludi strumentali e canzoni di strada. Giustamente celebre è il sofisticato duo degli innamorati gelosi: «¿Por qué de mis ojos | los tuyos retiras? | ¿Por qué me desprecias? | ¿Por qué no me miras?».

Per far partire il Proyecto ZARZA, “Zarzuela di giovani e per i giovani”, il direttore del Teatro de la Zarzuela Daniel Bianco ha scelto questo titolo scegliendo giovani cantanti e attori scelti con un processo di audizioni.  Accompagnati da un complesso cameristico formato da quintetto d’archi, flauto e percussione diretto da David Rodriguez al pianoforte, la versione di Guillem Clua mantiene i numeri musicali così come sono, ma reinventa i dialoghi parlati ambientando la vicenda all’oggi. La regia di José Luis Arellano, le scenografie e i costumi di Silvia de Marta e i movimenti scenici di Andoni Larrabeiti realizzano uno spettacolo pieno dell’entusiasmo dei sedici giovani interpreti svecchiando così una tradizione interpretativa che sembrava negarsi ai giovani, prossimi fruitori di questo genere lirico. Mari Pepa non indossa una gonna a balze né Felipe una coppola: i protagonisti de La Revoltosa, due dei principali simboli del casticismo più tradizionale, rivivono oggi come due giovani dei nostri tempi

Il pubblico, formato da studenti tra i dodici e i diciotto anni, ha risposto con calore alla lodevole iniziativa smentendo i timori di Daniel Bianco in questa che aveva definito «una delle scommesse più azzardate della stagione». Talora è necessario azzardare per ottenere buoni risultati.

  

Agua, azucarillos y aguardiente

Federico Chueca, Agua, azucarillos y aguardiente

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 6 marzo 2020

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Un’altra proposta del progetto zarzuela per i giovani

Prosegue il Proyecto ZARZA per portare la zarzuela ai giovani. Dopo il successo de La verbena de la Paloma, al Teatro de la Zarzuela viene messo in scena un altro dei lavori più popolari del género chico: Agua, azucarillos y aguardiente di Federico Chueca, “pasillo veraniego” (passeggio estivo) presentato il 23 giugno 1897 al Teatro Apolo di Madrid con grande successo. Quella prima sera alcuni numeri dovettero essere ripetuti fino a cinque volte e alla fine dello spettacolo il pubblico portò Chueca a casa in trionfo sulle spalle. Lo spettacolo si spostò poi al Príncipe Alfonso sul Paseo de Recoletos durante l’estate e tornò in settembre all’Apolo dove raggiunse le duecento rappresentazioni di fila.

È una delle opere più emblematiche del sainete lirico madrileno della fine del XIX secolo, poiché concentra alcuni dei suoi elementi caratteristici: la leggerezza della trama, l’uso del pittoresco locale come attrazione principale e un certo umorismo. L’opera riflette l’atmosfera della classe media impoverita di Madrid in contatto con la classe operaia e, per farlo, presenta, letterariamente e musicalmente, un’azione con costanti allusioni alla cronaca del giorno, a tipi – tate, barquilleros, portatori d’acqua, ecc. – e a situazioni reali di disagio economico e luoghi specifici della città di Madrid.

Atanasia (Asia) vive con la madre Simona in un umile appartamento. Hanno problemi finanziari aggravati dalle poche vendite – tre copie – di un libro di poesie che la giovane ha pubblicato e inoltre devono due mesi di affitto al loro padrone di casa Aquilino. Ricevono una lettera da Antonio, lo zio di Asia, che dice loro che pagherà i debiti solo se Asia sposerà suo cugino Aniceto, ma Asia vuole rimanere a Madrid e sposare il suo attuale fidanzato Serafín. Di fronte a questa situazione, Simona prende una decisione: dovrà chiedere soldi al fidanzato della ragazza, Serafín, il fidanzato della ragazza, che sembra ricco e certamente non rifiuterà ma lui le porta semplicemente a bere acqua zuccherata e a mangiare qualche meringa ai Giardini di Recoletos, dove si svolge la seconda scena. Seguono due coppie pittoresche: Pepa, la proprietaria della bancarella, e il suo ragazzo Lorenzo, che è un picador; e Manuela, una modesta venditrice d’acqua che invidia la “proprietà” di Pepa, e il suo ragazzo Vicente. Lorenzo e Pepa devono a Don Aquilino venti duros che, se non pagati, porteranno al sequestro del chiosco dell’acqua di Pepa. D’altra parte, Serafín vuole che Pepa metta un narcotico nell’acqua di Doña Simona perché possa godere liberamente di Asia. Anche se Pepa non accetta, Lorenzo vede nell’affare una possibilità di guadagno, che gli permetterebbe di pagare il debito di Pepa e recuperare gli scialli di Manila, che ha impegnato al Monte ddi pietà. Pepa avverte Doña Simona del piano di Serafín e alla fine è il ragazzo che prende il narcotico e si addormenta. L’ultima scena inizia con Pepa e Manuela che litigano. La discussione termina in una festa e diventano amici, come lo erano stati prima. Lorenzo e Vicente hanno riportato gli scialli di Manila e le due coppie vanno a divertirsi alla festa di San Lorenzo. Asia decide di tornare al suo villaggio, Valdepatata, e sposare suo cugino. Serafín finisce in caserma con l’accusa di scandalo pubblico, perché quando si è addormentato, ladri gli hanno rubato i vestiti e lo hanno lasciato in mutande.

Federico Chueca è considerato il musicista madrileno per eccellenza. Vi nacque nel 1846 e vi morì nel 1908. La sua vita fu orientata fin dall’inizio verso la musica e si dice che la sua vocazione musicale si sia consolidata dopo aver trascorso alcuni giorni in prigione quando fu arrestato in seguito a dei moti studenteschi. Mentre era in prigione compose alcuni valzer che intitolò Lamentos de un preso e al suo rilascio li condivise con alcuni musicisti. Ad Asenjo Barbieri, il suo maestro, piacquero così tanto che li arrangiò per orchestra e li incluse nei suoi concerti pubblici. Oltre a Barbieri fu amico intimo di Joaquín Valverde, un compagno di studi. Chueca aveva una grande facilità per il ritmo e la melodia, mentre Joaquín aveva una maggiore capacità di armonizzazione e orchestrazione. Da questa relazione nacque una serie di zarzuelas e tra queste ci fu la popolarissima La Gran Vía (1886).

Il libretto di Miguel Ramos Carrión è qui rivisitato da Nando López il quale mantiene intatti tutti i numeri musicali, mentre i testi recitati sono stati adattati a una nuova proposta scenica che colloca la storia ai giorni nostri e rendendo Federico Chueca un personaggio della vicenda.

Così racconta la regista Amelia Ochandiano: «Dopo aver letto diverse volte il libretto ho sentito che la storia raccontata aveva da un lato, tutta una rete di personaggi che mi sembravano alieni o con situazioni di vita superate o ancorati a conflitti che contribuiscono poco al nostro presente; dall’altro lato, tuttavia i personaggi principali avevano sullo sfondo conflitti che potremmo chiamare classici, senza tempo, alcuni di loro sembravano scritti ora. […] Anche se il tono è chiaramente comico, la profondità dello sguardo di Chueca è sempre presente nella partitura e nei personaggi principali, che sono essenzialmente dei giovani con problemi di precarietà, o con minacce di sfratto, con mancanza di obiettivi vitali o frustrazione nella loro vocazione e nelle loro aspettative, con il desiderio e l’ambizione di potere, con i problemi derivati da ciò che dirà la gente, con la sofferenza causata dalla perdita di una vera amicizia, o con il desiderio di ottenere tutto ciò che vogliamo a qualsiasi prezzo. Da questo nasce questa versione di Agua, azucarillos y aguardiente, dove incontriamo Asia, una giovane donna di oggi che, immersa in una crisi d’identità, ci racconta la storia della sua bisnonna con la quale, ha appena scoperto, ha molto più in comune di quanto avesse immaginato. È la storia di una notte d’estate di più di un secolo fa in cui si incrociano i destini di diversi personaggi, visti dal suo punto di vista, attraverso la sua immaginazione. Insomma, un viaggio poetico nel tempo, dove presente e passato si fondono nel racconto di quella notte magica».

Le pimpanti musiche  eseguite dall’ensemble da camera di otto elementi diretto da Óliver Díaz, le colorate e ironiche scenografie di Ricardo Sánchez Cuerda, i colorati costumi di Gabriela Salaberri, le svelte coreografie di Amaya Galeote, il ritmo serrato della recitazione, la qualità dei giovani cantanti, tutto concorre a creare uno spettacolo piacevolissimo. Benemerito il Teatro de la Zarzuela per questo progetto che non solo avvicina i giovani spagnoli al loro patrimonio lirico, ma rinnova il modo di rappresentare questo genere che si stava avvitando in una tradizione stantia, per turisti di bocca buona e anziani nostalgici.

 

La verbena de la Paloma

Tomás Bretón, La verbena de la Paloma

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 1 marzo 2019

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Una zarzuela fatta dai giovani per i giovani

Una delle più popolari, La verbena de la Paloma è una zarzuela in un atto (o sainete) che nel titolo fa riferimento alla Calle de la Paloma, una strada di Madrid: l’ambiente urbano della capitale iberica è sempre stato il preferito per i compositori spagnoli e Tomás Bretón non fa eccezione in questo lavoro su testo di Ricardo de la Vega presentato al Teatro Apolo il 17 febbraio 1894.

L’opera è il ritratto di un quartiere popolare e tradizionale di Madrid la notte del 14 agosto durante la festa della Vergine della Paloma. Susana e Casta, due giovani donne del quartiere, accettano il corteggiamento di uno speziale molto più vecchio di loro e vanno alla Verbena aggrappandosi al suo braccio, mentre l’amante di Susana, Julián, esplode in malo modo per la gelosia.

La prima scena si svolge in una piazza davanti a una taverna dove le persone stanno conversando separatamente. Don Hilarión e Don Sebastián discutono sul consumo di vari prodotti. Il Tabernero sta giocando a carte con due amici. Un uomo e una donna con un bambino in braccio che dorme commentano il caldo. Julián si lamenta con Señá Rita di aver visto Susanna in una carrozza e di aver pensato che fosse con un uomo, anche se poi Susanna gli ha detto che era con sua sorella. Dopo che Don Sebastián se ne va, Don Hilarión pensa al suo previsto incontro romantico con Susana e Casta. La seconda scena si svolge in una strada del quartiere LaLatina. Una folla che comprende Susana, Casta e Tía Antonia, si è riunita per ascoltare una cantante di flamenco che canta. Tía Antonia interrompe la cantante lodando la sua performance; Susana e Casta cercano di calmarla. Dopo il canto, Susana racconta a Tia Antonia e Casta del suo litigio con Julián. Don Hilarión incontra le donne ed entrano insieme in un caffè. Prima di entrare nel caffè, il Tabernero dice agli amici che Julián vuole affrontare Susana per la loro rottura. Poi Julián e la Señá Rita arrivano fuori dal caffè dove la Señá Rita chiede a Julián cosa intende fare. Julián vede Don Hilarión uscire con Susana, Casta e Tía Antonia e lo saluta. Poi chiede a Susana dove va in abiti eleganti. Susana gli dà una risposta beffarda che accende la sua gelosia. Julián cerca allora di attaccare don Hilarión. Il Tabernero e gli altri escono dal caffè per fermare l’alterco. La folla si disperde dopo l’arrivo di due poliziotti. Julián cerca di inseguire Don Hilarión e Susana. La terza scena si svolge in una strada del centro della città dove delle coppie stanno ballando. Don Sebastián si sta godendo la serata con amici e familiari e saluta Don Hilarión quando arriva. Quest’ultimo entra in casa a causa del freddo; è scosso dal suo precedente incontro con Julián. Julián arriva in cerca di Don Hilarión e Susana, e scambia brevemente un’altra coppia per loro. Poi ha un alterco con Tía Antonia che è con le sue nipoti Susana e Casta. Un ispettore e due poliziotti appaiono sul posto per interrogare i partecipanti al litigio. Durante l’interrogatorio, Tía Antonia litiga con l’ispettore e minaccia di aggredire Julián. Due poliziotti la portano via. Quando Julián dice all’ispettore che è disposto ad andare in prigione, Susana lo sorprende dicendo che andrebbe con lui. Don Sebastián si presenta all’ispettore per garantire la buona condotta di Julián. L’ispettore conosce Don Sebastián e decide di archiviare la questione. Tuttavia, Julián ha trovato Don Hilarión e lo insegue per strada, scioccando Don Sebastián e gli altri. Don Sebastián esprime comprensione quando Julián dice che Don Hilarión gli stava rubando la ragazza. L’ispettore chiede che quella sera non ci siano più disordini. Julián e Susana si riconciliano. Tutti tornano a celebrare la festa.

Sembra che Ricardo de la Vega abbia basato la sua opera su una storia vera che capitò al tipografo che stampava le sue opere nella zona della Fuentecilla dove c’era uno speziale famoso per le sue storie d’amore in età matura. La musica per il libretto doveva essere composta da Ruperto Chapí, che alla fine rifiutò, e passando di mano in mano arrivò fino a Tomás Bretón che si mise al lavoro scrivendo la partitura in soli diciannove giorni, con le prove di scena già in corso. Nonostante la riluttanza iniziale di Bretón, che si considerava un compositore d’opera e che non aveva mai messo in musica un sainete, La verbena de la Paloma divenne l’opera di punta del género chico e la più famosa di entrambi gli autori, sia a livello nazionale che internazionale, nonché il pezzo più cantato di questo repertorio.

Invece di una produzione tradizionale – in rete ne sono disponibili alcune come quella della Compañia Sevillana de Zarzuela (2021) o del Teatro Lírico Andaluz (2016) o ancora del Teatro Calderón di Madrid (1995) – è stata qui scelta la versione del Proyecto ZARZA del Teatro de la Zarzuela, un progetto che intende avvicinare i giovani a questo mondo. La versione di Pablo Messiez mantiene tutti i numeri musicali, ma cambia i testi non cantati adattandoli a questa nuova proposta scenica in cui la storia è ambientata in un Centro Culturale di quartiere che sta per essere inaugurato: «La festa, il calore, la passione, la gelosia,… e la forza di valori come il lavoro di squadra, la fiducia, il potere della musica e la consapevolezza di sentire ogni momento come qualcosa di unico e magico, ci avvicinano a un’opera chiave della lirica spagnola attraverso questa potente scommessa che ancora una volta evidenzia l’impegno del Teatro verso i giovani» si legge sul programma di sala/quaderno didattico. Un’impresa lodevole per svecchiare il tradizionale pubblico di questo genere.

Scrive Messiez, che si è occupato anche della messa in scena: «La notte del 14 agosto 2019 è la notte più calda della storia del mondo. Le acque delle piscine sono letteralmente bollenti. La gente entra in strani stati di soffocamento e delirio che la portano a gridare: “Musica! Musica fresca!”. In questo contesto terrificante, la direttrice del Centro si prepara a inaugurare la sua nuovissima sala principale con una serie di attività culturali e sportive tra cui una performance de La verbena de la Paloma. Ma come se il caldo non fosse abbastanza fastidioso, un errore dell’addetto alle pubblicazioni del Centro fa sì che tutte le attività siano programmate per iniziare alla stessa ora. Sull’orlo di una crisi di nervi, il direttore è sul punto di decidere di annullare tutte le attività, tenendo conto, inoltre, che non tutti i cantanti sono ancora arrivati. Tuttavia, il Maestro decide di iniziare con la Verbena, confidando che sarà la musica che insegnerà loro a vivere insieme. E così inizia la Verbena de la Paloma». Il palcoscenico del teatro si trasforma in una palestra, le coplas di Don Hilarión sono cantate durante una sessione di Tai Chi, il quintetto e la habanera concertante durante il riscaldamento alla sbarra per la danza.

Adattata musicalmente per un ridotto ensemble di otto strumentisti – due violini, viola, cioloncello, contrabbasso, flauto percussioni e fisarmonica – con il direttore Óliver Díaz al pianoforte, i numeri musicali sono eseguiti con dedizione ed entusiasmo da giovani interpreti e la sala è piena di coetanei, probabilmente lì per la prima volta, venuti per divertirsi ed emozionarsi con loro.

Non si possono se non condividere in pieno gli obiettivi di questa iniziativa che vengono elencati nel quaderno didattico farne il modello per un’esperienza analoga qui: sfruttare un’esperienza unica al Teatro de la Zarzuela; conoscere una delle opere più importanti del patrimonio musicale lirico spagnolo; usare il lavoro di Bretón per collegare contenuti di diverse materie e riflettere su di esso; incoraggiare l’ascolto attivo; riconoscere le diverse tessiture e differenziare i diversi timbri; creare spazi e tempi che, attraverso l’assemblea e il dibattito in classe, aiutino a sviluppare l’ascolto, il rispetto della diversità e il senso critico; trasformare ogni errore in un’opportunità di apprendimento e incoraggiare il lavoro di squadra; svolgere piccoli progetti di ricerca-riflessione per imparare a usare criticamente le nuove tecnologie; usare il lavoro cooperativo e il service-learning come metodologie per creare comunità e connettere i centri con altri che agiscono negli altri quartieri; sviluppare strategie attraverso la musica che facilitino l’apprendimento dell’uguaglianza nella classe e nel suo ambiente in modo trasversale; analizzare i pregiudizi e smontare insieme gli stereotipi che si imparano fuori e dentro la scuola; riconoscere e disimparare i miti dell’amore romantico; incoraggiare l’educazione emotiva, la creatività e lo sviluppo dell’espressività attraverso la parola, le arti plastiche, le nuove tecnologie, la musica e la danza.

 

El dúo de La africana

Manuel Fernández Caballero, El dúo de La africana

★★★☆☆

Madrid, Teatro Real, 31 dicembre 2004

(registrazione video)

¡Una zarzuela al Real!

El dúo de La africana è un sainete, una zarzuela appartenente al género chico, composizioni in un atto e di durata inferiore a un’ora, genere nato nel 1867 a El Recreo, piccolo teatro madrileno di Calle la Flor. Gli atti erano eseguiti in modo unico ma continuo, con fino a quattro rappresentazioni successive di titoli diversi davanti a un pubblico che poteva rimanere pagando un nuovo biglietto. È una tradizione invece dei tempi moderni che le zarzuelas chicas siano eseguite in programmi doppi (o addirittura tripli) che le assimilano in lunghezza alle opere più grandi. El dúo de La africana debuttò con grande successo – duecento rappresentazioni ininterrotte! – al Teatro Apolo di Madrid il 13 maggio 1893 quale lepida parodia di una sgangherata compagnia d’opera capeggiata dall’italiano Querubini…

Una modesta compagnia d’opera si prepara per una prova dell’opera di grande successo di Meyerbeer, L’Africaine. Querubini, l’impresario che dirige la compagnia, ha per politica di spendere il meno possibile, sia per le scenografie che per i cantanti. Lui stesso spiega che «è una compagnia d’opera estiva ed economica» e che risparmia sui costi assumendo membri della famiglia per non doverli pagare, ma è esasperato da quanto poco lavoro viene fatto nelle prove. Durante la rappresentazione, il tenore Giussepini approfitta spudoratamente della situazione per abbracciare la prima donna, la Antonelli, moglie di Querubini. Quest’ultimo reagisce gelosamente interrompendo il duetto, al che il pubblico risponde con dei fischi. Querubini convoca il tenore, di cui non vuole liberarsi, perché canta gratis, «per amore dell’arte». Per allontanarlo da sua moglie, gli offre la mano di sua figlia Amina, ma lui non si decide. Nel seguente duetto di Giussepini e Antonelli, la coppia canta di nuovo con ardore, così Querubini interrompe di nuovo l’esecuzione. Il crescente tumulto del pubblico costringe la polizia a intervenire. Inoltre, la madre di Giussepini, Donna Serafina, irrompe sul palco con l’intenzione di portare via il figlio . Antonelli sviene per la perdita del suo amante, il pubblico è furioso e, di fronte alla possibilità di dover restituire il denaro agli spettatori, Querubini rianima la moglie e riprende lo spettacolo, portando la rappresentazione alla fine.

La produzione della stagione 1984/85 del Teatro de la Zarzuela approda al Teatro Real e costituisce lo spettacolo di fine anno 2004. Queste rappresentazioni non sono incluse nella normale stagione lirica, ma inaugurano un nuovo ciclo a carico della Fundación de la Zarzuela Española. I massimi rappresentanti del teatro si sono buttati con entusiasmo in questo evento: Jesús López-Cobos (direttore musicale) si occupa della direzione d’orchestra mentre Emilio Sagi (direttore artistico del teatro) appare sul palco quale membro della compagnia d’opera.

La vicenda è solo un canovaccio su cui imbastire trame anche diverse, quella che rimane sempre la stessa è la musica. Qui per portare lo spettacolo a una durata più accettabile, tra il primo e il secondo quadro è stata incorporata una scena extra. Il carattere metateatrale di El dúo de La africana ha suggerito l’inserimento nella storia di una presunta selezione di artisti per la compagnia di Querubini: ecco quindi le “audizioni” di Ruth Rosique ne El barbero de Sevilla di Nieto e Giménez, lo spassoso Enrique Viana en travesti ne La viejecita di Caballero, José Bros impegnato con i do di Tonio ne La fille du régiment di Donizetti e Carlos Álvarez ne La del Soto del Parral di Soutullo y Vert.

Jesús López-Cobos dipana gli accattivanti numeri musicali e le trascinanti melodie che rivestono gli arguti versi del libretto di Miguel Echegaray scritti in un italo-spagnolo maccheronico che fa il verso a certa librettistica dell’opera italiana, anche se qui si tratta di mettere in scena un grand-opéra francese. Il compositore cita temi di Meyerbeer in forme di opera italiana, ma sempre con gusto iberico. La jota è uno dei più frequentati pezzi di repertorio per soprano e tenore.

Il regista Juanjo Granda assieme a José Luis Alonso, che firma scenografie e costumi, mette in scena uno spettacolo ambientato a fine secolo, divertente ma dall’umorismo un po’ greve e inceppato da una recitazione non sempre fluida. Due soli i ruoli cantati: quello della Antonelli (María Rodríguez) e di Giussepini( Guillermo Orozco). Dei due interpreti si fa notare il tenore che oltre a una certa padronanza vocale riesce a esibire una recitazione non troppo caricata.

El Rey que rabió

Ruperto Chapí, El Rey que rabió

★★★★☆

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 17 giugno 2021

(video streaming)

«¡Dios mío! Un Rey que grita: “¡Viva la libertad!”»

Dopo 130 anni ritorna al Teatro de la Zarzuela El Rey que rabió, che qui vide la luce il 20 aprile 1891. Pochi re nella storia sono stati più amati e applauditi di questo re immaginario e simpaticissimo messo in musica da Ruperto Chapí su un libretto di Miguel Ramos Corrión e Vital Aza. Per i madrileni del tempo, nella vicenda c’era il ricordo delle passeggiate in cognito del re Alfonso XII, sul trono tra il 1874 e il 1885.

Atto I. Prima scena. In una stanza del palazzo reale, i cortigiani preparano un ricevimento per il re che sta tornando da un viaggio nelle sue province. Dopo il suo arrivo viene lasciato solo per un momento e discute con i suoi consiglieri le eccellenze del viaggio, vedendo che il suo paese è prospero e felice, ma mostra la sua noia e propone di fare un viaggio in incognito, per divertirsi. I consiglieri sono in preda al panico, perché se parte per il viaggio, scoprirà che tutto ciò che ha visto è una farsa, il paese è mal gestito, la marina e l’esercito sono sull’orlo della rivolta, le tasse sono alte e i contadini chiedono a gran voce una rivoluzione. Così escogitano un piano: uno dei consiglieri accompagnerà il re, mentre un altro prenderà il comando e distribuirà denaro ai villaggi che attraversano, in modo che siano sempre in festa. Il re, vestito da pastore, parte con il generale. Seconda scena. Nella piazza di un villaggio, i contadini si ribellano e chiedono a gran voce al sindaco di parlare con il governatore, poiché non sono in grado di pagare le tasse e le imposte sono in continuo aumento; il sindaco cerca di calmare la gente e promette di parlare con il governatore. Un uomo con un mantello arriva ed entra nel municipio pronto a parlare con il sindaco. Il re e il generale arrivano in città, e si fermano alla locanda, dove sono assistiti da Jeremías, nipote del sindaco e cugino di Rosa, anche lei nipote del sindaco, di cui Jeremías è innamorato, ma lei non lo ricambia. In quel momento, Rosa entra e il re è colpito dalla sua bellezza, e si impegnano in una vivace conversazione, provocando la gelosia di Jeremías. Il sindaco esce dal municipio proclamando una festa e, accompagnato da tutti gli abitanti del villaggio, prepara un grande ballo. La danza viene interrotta quando arrivano le truppe in cerca di reclute per il reggimento. Portano via Jeremías, il re e il generale, lasciando Rosa preoccupata per il re.
Atto II. Terza scena. Nel cortile di un castello, il re e il generale si esercitano con le altre reclute. Il re è contento della sua situazione, mentre il generale continua a lamentarsi. Il sindaco arriva con Rosa, per vedere Jeremías, ma questo è solo un pretesto che Rosa ha creato per poter rivedere il re. I due si incontrano da soli e fuggono dal castello. A questo punto, l’allarme si alza, perché un uomo mascherato riferisce la vera identità della recluta, che è il Re. Quarta scena. Nel cortile di una fattoria, Juan e Maria, i padroni, stanno preparando la casa per i contadini che hanno assunto per il raccolto. Arriva un vivace gruppo di mietitori, tra cui il Re e Rosa, che si fingono anche loro mietitori. Dopo cena, i braccianti mettono le donne in cucina e gli uomini nel fienile sopra la casa, e lasciano libero il cane. Jeremiah, che è scappato anche lui per seguire sua cugina, arriva urlando, con i pantaloni strappati perché il cane lo ha attaccato. Nascondono Jeremías dentro la casa. Presto arrivano le truppe che cercano il re. I contadini lo scambiano per Jeremías, commentando che è stato attaccato dal cane mentre cercava di nascondersi. Temendo che il re abbia preso la rabbia, portano via Jeremías e il cane. Il re se la ride.
Atto III. Quinta scena. Nel giardino del palazzo reale, i paggi commentano l’assenza del re. I ministri commentano lo stato di salute del re e l’attacco del cane, allertando i medici più eminenti per fare la diagnosi. Rosa e Maria arrivano in cerca del bracciante e per avere altre notizie. Sesta scena. In un’anticamera del palazzo, il re chiama uno dei suoi paggi, ordinando che Rosa e Jeremías siano fatti entrare. I due si riconoscono e discutono del loro viaggio e degli eventi. Il re appare nelle sue vesti di gala e Rosa si impressiona a riconoscerlo come il pastore, sentendosi ingannata. Il re si scusa e le mostra il suo vero amore, con lo stupore di Jeremías. Arrivano i suoi consiglieri, con il capitano, che ringrazia per il trasporto, e come ricompensa decide di promuoverlo, purché non dica nulla del travestimento. Settima scena. Nella sala del trono, gli ambasciatori di Scozia e di Russia portano i ritratti di candidate mogli per il re, ma il re le rifiuta e presenta Rosa come sua futura promessa sposa. I consiglieri cercano di opporsi, ma il re viene fuori e dice che o si conformeranno o li licenzierà, e non possono rifiutare e accettare. Quanto a Jeremías, lo promuove e gli offre un posto lontano, dove potrà piangere la perdita di sua cugina. Finiscono tutti a cantare e inneggiare al re.

Ruperto Chapí nasce ad Alicante nel 1851. Entrato nella banda municipale come flautista a nove anni, a dodici compone la sua prima zarzuela: Estrella del bosque. Al Conservatorio di Madrid vince il primo premio nel 1872 assieme a Tomás Bretón e dopo la composizione de La hija de Jephté per il Teatro Real parte per Parigi e Roma per ampliare la sua formazione. Al ritorno in Spagna nel 1878 si concentra nella composizione di zarzuelas grandes quali La revoltosa (1897). Compone anche per il género chico e per la musica da camera fino alla morte nel 1909.

Nelle parole di Iván López-Reynoso, il giovane direttore musicale di questa produzione, «la partitura di El Rey que rabió del maestro Chapí è senza dubbio uno dei capolavori del repertorio lirico spagnolo. È una partitura agile, espressiva, raffinata e colorata. L’uso giudizioso della teatralità nella scrittura musicale fa sì che l’azione drammatica corrisponda molto bene al discorso musicale. È un’opera a tutto tondo, completa, contrastante e divertente che, grazie a tutte queste caratteristiche, riesce sempre a diventare un successo molto amato dal pubblico. Così, il nostro Re è venuto a stare con noi, di generazione in generazione, per 130 anni». Da allora, la sua parodia delle classi sociali, in particolare del governo o dei medici, è diventata proverbiale in Spagna. La direzione di Iván López Reynoso realizza la trasparenza tipica della orchestrazione di Chapí evidenziata nel bellissimo notturno strumentale del secondo atto.

Un solenne preludio in forma di marcia ci introduce in un regno fantasiosamente ricreato dalla regista Bárbara Lluch dove il monarca dorme in un letto a forma di corona attorniato dai cortigiani. Inizia con questo ironico lever du roi questa comica vicenda sviluppata in 19 numeri musicali, per lo più ensemble di più voci, due sole sono le arie solistiche e destinate ai due personaggi principali: la arieta di Rosa all’inizio del secondo atto dopo il preludio strumentale e la romanza del re del terzo atto. Chapí non fa direttamente ricorso a temi iberici, piuttosto si sente l’influenza dell’operetta francese e di quella viennese, riviste però in termini molto personali.

La regista piuttosto che spingere sul pedale della parodia sociale punta sul clima fiabesco nelle scenografie di Juan Guillermo Nova inserite in una cornice dorata e nei costumi di Clara Peluffo Valentini che dota i personaggi di code, corna, orecchie asinine alludendo così alle favole classiche. La recitazione è spesso caricata ma efficace in mano a interpreti che sono anche ottimi attori. Parrucche e costumi coloratissimi danno un tono quasi surreale a questa produzione che si stacca nettamente dalle impostazioni realiste di molti spettacoli del Teatro de la Zarzuela, per lo meno del passato.

Il ruolo del re del titolo è stato spesso tenuto da un soprano en travesti nelle ultime edizioni, qui è invece il tenore Enrique Ferrer di bella presenza ma dall’emissione molto aperta e sempre forte. Al contrario, non molto sonora è la voce del soprano Rocío Ignacio, una Rosa comunque di temperamento. Dei consiglieri del re quello più impegnato vocalmente è il generale di Rubén Amoretti in giusto equilibrio tra esigenze del canto ed esigenze recitative. Ruolo eminentemente comico è invece quello di Jeremías, dove il tenore José Manuel Zapata calca un po’ la mano nella recitazione ma vocalmente si distingue      nel quasi parlato del suo divertente racconto del secondo atto.

El caserío

Jesús Guridi, El caserío

★★★★☆

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 17 ottobre 2019

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Amori in famiglia

“Comedia lírica” in tre atti su libretto di Federico Romero e Guillermo Fernández-Shaw, El caserío (La cascina) nacque al Teatro de la Zarzuela di Madrid l’11 novembre 1926. Si trattava del suo primo approccio al genere e si rivelerà uno dei lavori più importanti del compositore basco Jesús Guridi (1886-1961). Una zarzuela piena di suadenti melodie attinte dal folclore basco e che ebbe molto successo, tanto che il compositore con i diritti guadagnati si potè comprare una casa in campagna che chiamò “Sasibil”, proprio come il caserío fulcro della vicenda. Guridi non tornò più alla composizione di opere serie, ma El caserío rimase il suo unico successo.

Atto primo. Nel villaggio di Arrigorri, in Biscaglia. Santi, indiano, scapolo e sindaco del villaggio, vive nella cascina di famiglia chiamata Sasibil. Vivono con lui i due nipoti, cugini tra loro: Ana Mari, figlia di suo fratello e della donna di cui Santi era innamorato ma che non ha potuto sposare perché è dovuto emigrare in America, e José Miguel, un giovane giocatore di pelota basca che pensa solo a vivere la vita finché è giovane. La cascina, il cuore della famiglia basca, deve rimanere intatta in seno alla famiglia e per questo Santi vede come ideale il matrimonio tra i suoi nipoti, che garantirebbe questa premessa di trasmissione del patrimonio e la felicità di entrambi. Ma l’atteggiamento di José Miguel gli fa pensare che userebbe l’eredità per continuare il suo divertimento, lasciando la tenuta e Ana Mari in rovina. Il prete, uno dei poteri del villaggio insieme al sindaco, gli consiglia di portare avanti la strategia di annunciare il proprio matrimonio affinché José Miguel si decida di mettere la testa a posto o di lasciare il villaggio senza poter ereditare. Ana Mari è innamorata di suo cugino José Miguel, ma lui non le presta attenzione preso com’è dalla sua passione. Questo storia si incrocia con l’amore che Txomin, il servo della fattoria, prova per Ana Mari, un amore quasi impossibile, e con quello che la figlia dell’oste, Inocencia, prova invece per il giovane Txomin. L’ostessa, Eustasia, è una matriarca che mantiene l’organizzazione della casa e della taverna. In contrasto con l’atteggiamento del marito Manu, vede l’opportunità, quando Santi annuncia il suo matrimonio, di imparentarsi con il sindaco facendo diventare sua figlia la sposa, cosa che Inocencia non vuole essendo innamorata di Txomin.
Atto secondo. Ana Mari, sapendo che José Miguel cercherà di interrompere qualsiasi tentativo di sposare suo zio, si offre come sua moglie. Entrambi sono consapevoli del sacrificio che questo implica, ossia la giovinezza di Ana Mari, in cambio della certezza di una vita comoda e di mantenere il ricordo dell’amore che Santi provava per la madre di Ana Mari. José Miguel apprende come stanno le cose durante un duello canoro con Txomil e lascia il villaggio.
Atto terzo. Santi ritarda il matrimonio nella speranza che José Miguel ritorni per Ana Mari, ma quando questo non accade, lo annuncia. L’annuncio provoca il ritorno di José Miguel e la sua dichiarazione ad Ana Mari. Santi gli rimprovera di volerla solo per i suoi soldi e José Miguel nega questo e rifiuta l’eredità. Santi, di fronte a questo atto, lo accetta e benedice felicemente l’amore tra i suoi nipoti, felice di aver raggiunto il suo obiettivo.

Il Teatro de la Zarzuela di Madrid non ha il suo punto forte in messe in scene di gusto contemporaneo e questa produzione del 2011 dei teatri Arriaga di Bilbao e Campoamor di Oviedo che inaugura la sua stagione non è un’eccezione, anche se le scenografie di Daniel Bianco accennano con efficace realismo all’ambiente rurale del villaggio basco in cui si sviluppa la vicenda dove coerenti a questa impostazione veristica sono anche i costumi di Jesús Ruiz. Qualcosa di più attuale si può trovare nella regia di Pablo Viar, vivace e attenta alla psicologia dei personaggi, con un giusto movimento delle masse – bello il momento del corale religioso con la banda in scena – mentre i quadri sono ironicamente punteggiati dai saltellanti numeri del gruppo folclorico Aukeran Dantza Kompainia coreografato da Eduardo Muruamendiaraz.

Sfrondata in maniera consistente dei lunghi dialoghi, l’esecuzione musicale scorre molto piacevolmente sotto la bacchetta di Juanjo Mena, la strumentazione mette brillantemente in evidenza il colore locale e le linee melodiche, di chiara scuola italiana, si fondono abilmente con quelle delle danze iberiche. Una partitura ricca e varia è al servizio di una storia semplice ma convincente. Spigliati nella recitazione e vocalmente efficaci gli interpreti di cui ricordiamo almeno il Tio Santi del baritono Ángel Ódena, la Ana Mari del soprano Raquel Lojendio, il José Miguel del tenore Andeka Gorrotxategi e lo Txomin del tenore leggero Pablo García-López. Quasi sempre presente in scena, il coro del teatro preparato da Antonio Faurò ha fornito un’ottima prova.

Lo streaming fa parte delle registrazioni dei suoi spettacoli che il Teatro de la Zarzuela ha messo a disposizione sul canale youtube.

El barberillo de Lavapiés

Francisco Asenjo Barbieri, El barberillo de Lavapiés

★★★★★

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 12 aprile 2019

(live streaming)

Il barbiere di Madrid

145 anni dopo il debutto avvenuto il 18 dicembre 1874, El barberillo de Lavapiés, zarzuela in tre atti appartenente al género grande, è sulle tavole del Teatro de la Zarzuela di Madrid con la regia e l’adattamento di Alfredo Sanzol del libretto di Luis Mariano de Larra. Sotto la trascinante direzione musicale di José Miguel Pérez-Sierra alla guida dell’Orchesta della Comunidad Autónoma de Madrid i cantanti Borja Quiza (vivacissimo Lamparilla dalla inesausta presenza scenica), Cristina Faus (Paloma dalla vocalità suadente e anche lei perfetta attrice), María Miró (Marquesita del Bierzo), Javier Tomé (Don Luis de Haro) e David Sánchez (Don Juan) danno voce ai personaggi della vicenda che ha luogo nel quartiere di Lavapiés, uno dei più popolari della Madrid del 1770, regnante Carlos III.

Atto I. Il Pardo, Lavapiés, durante la festa di Sant’Eugenio. Una folla si è radunata per celebrare la festa, tra cui un esuberante gruppo di venditori ambulanti, giovani coppie di innamorati e studenti. Lamparilla, dentista-barbiere, diverte la folla con la storia della sua carriera, prima di andare a fare alcune critiche incisive al governo del giorno. C’è una crisi e il capo ministro Grimaldi ha ordinato pattuglie e lampioni per la sicurezza della città di notte. La sarta Paloma, un’altra figura popolare, arriva cantando una canzone. Lamparilla è innamorato di lei, ma lei lo stuzzica. Entrano ora travestiti Don Juan de Peralta ed Estrella, Marquesita di Bierzo. Stanno pianificando la rovina di Grimaldi per conto del Conte Floridablanca, ma prima che possano unirsi ai loro cospiratori nella vicina locanda compare il fidanzato della Marchesa, Don Luis de Haro. Siccome è un nipote di Grimaldi, il marchese non può dirgli quello che lei e Don Juan stanno veramente facendo. La marchesa e don Juan entrano nella locanda all’arrivo di un gruppo di majas e studenti; ma Don Luis, profondamente sospettoso, decide di andare a cercare le guardie vallone per indagare. Un duello è in vista. La Marquesita esce dal nascondiglio per chiedere aiuto alla sua sarta e confidente Paloma. Spiega la delicatezza politica della situazione e chiede a Paloma di presentarla alla festa come un oscuro cugino e implorare Lamparilla di portarla via in sicurezza. Don Luis si avvicina, ma il marchese viene salvato dalla scoperta dalla astuta Lamparilla, che offre il suo braccio alla signora velata e la porta nella casa di fronte. Le guardie vallone marcano poco dopo e circondano la locanda, ma Lamparilla sfugge a Don Luis con un furbo monologo. Don Luis incontra il comandante della guardia Don Pedro, che gli racconta della trama che coinvolge il suo fidanzato. Mentre la folla si riunisce, la Guardia porta una tenda per arrestare i cospiratori senza attirare troppa attenzione. In effetti finiscono con un prigioniero, ma la testa che spunta attraverso la tenda appartiene all’onnipresente Lamparilla.
Atto II. Una piazzetta davanti al barbiere di Lamparilla. Le guardie valloni continuano le loro ronde notturne, mentre i clienti di Lamparilla si lamentano dei disastri che li hanno colpiti per mano degli assistenti del barbiere durante la sua assenza. Lamparilla riappare, con gioia di tutti: si vanta di essere stato imprigionato per aver rotto i nuovi lampioni, ma la verità è che Marquesita ha corrotto il carceriere per liberarlo, e chiede ancora a Paloma di persuadere Lamparilla a unirsi alla cospirazione. Pagherà persino il loro matrimonio, ma Paloma, grata alla Marquesita per aver badato alla madre morente, non vuole pagare. In ogni caso lo scopo della cospirazione è pacifico: forzare Grimaldi ad accettare un incontro tra il re e Floridablanca, in modo che quest’ultimo possa spiegare le sue idee di riforma. La Marquesita vuole che Lamparilla corrompa alcuni piantagrane per rompere i lampioni e distrarre l’attenzione delle guardie mentre la vera azione va avanti. Don Luis appare, ma il marchese gli proibisce di vederla per quattro giorni prima di unirsi ai cospiratori nella sua casa vicino al negozio di barbiere. Ritorna per entrare nella casa travestito, con sei dei cospiratori. Paloma chiama Lamparilla ed entra nel negozio per spiegare ulteriormente il piano. Nel frattempo Don Luis ritorna tranquillamente, incontrando Don Pedro e i suoi valloni. Agendo sul suggerimento di Luis, si sistemano per guardare la casa della Marquesita e attendono il loro momento per irrompere e impossessarsi dei cospiratori. Don Luis cerca di intercedere per il suo fidanzato, ma Don Pedro è fermamente convinto che tutti debbano essere catturati. Mentre la folla si raccoglie, Lamparilla inizia una canzone per sviare i sospetti della Guardia . I valloni si preparano a prendere d’assalto la casa, nonostante le suppliche di Don Luis, ma ormai la Marquesita e le sue amiche hanno avuto l’opportunità di fuggire attraverso un buco nel muro e – aiutate dall’oscurità dovuta alla rottura dei lampioni – attraverso i tetti alla libertà. L’atto finisce in confusione mentre i valloni escono dalla casa del marchese, confusi sul fatto se debbano inseguire i cospiratori o incastrare i rivoltosi.
Atto III. La stanza di Paloma nella calle de Toledo. Le cucitrici che lavorano per Paloma cantano mentre finiscono di cucire alcune gonne, apparentemente sul cardellino di Paloma. Paloma è stata tenuta chiusa in casa sua dal fallimento della cospirazione e non è stata in grado di lavorare per i suoi clienti aristocratici. Tuttavia, lei tace sul suo piano di aiutare Marquesita e Don Luis a fuggire dalla città vestiti da majos. Quando la Marquesita appare nel suo costume da maja, Paloma le dà qualche consiglio su come interpretare la sua nuova parte. Don Luis viene condotto da Lamparilla e tutti si preparano a dirigersi alla campagna. Si sentono dei passi e il quartetto si dirige verso la camera da letto di Paloma prima che Don Pedro e le guardie vallone compaiano sulla scena vuota, accompagnate dalle sarte che li deridono. Qualche istante dopo, però, i due aristocratici e Paloma vengono catturati. Poi Lamparilla (che è fuggito attraverso il tetto) irrompe trionfalmente con grandi notizie: Floridablanca ha incontrato il re ed è stato nominato ministro. Don Luis, nipote del caduto Grimaldi, deve andare in esilio. La Marquesita manterrà fede con il suo fidanzato e andrà con lui, ma Lamparilla e Paloma si giurano amore eterno nella gioia generale.

Storia di intrighi politici centrati sul personaggio della Marquesita e del suo amore per Don Luis de Haro, contrapposta alla coppia formata dal barbiere e da una sarta di Lavapiés, Paloma, in un complotto che combina elementi seri, comici e satirici in egual misura, la zarzuela di Barbieri si avvicina ai coevi lavori di Gilbert & Sullivan. Qui il sinistro coro delle guardie valloni ha più che una somiglianza con i loro cugini primi, il coro della polizia nei Pirates of Penzance. Ma qui è Madrid il genius loci motore della vicenda, una Madrid sempre presente e viva per il pubblico del 1874 come quello di oggi.

Francisco Asenjo Barbieri fu a capo di quel gruppo di compositori che a metà Ottocento riuscirono a sensibilizzare l’opinione pubblica e politica sull’importanza della zarzuela per l’identità culturale della Spagna, al punto da raccogliere fondi sufficienti per far costruire a Madrid un teatro espressamente a questo tipo di spettacolo. Fu grazie a loro che nel 1856 aprì le porte il Teatro de la Zarzuela, in Calle de Jovellanos, dove è attivo ancora oggi. La maggior parte delle opere che vi si rappresentarono furono scritte proprio dai membri della Sociedad e fra loro si distinsero per la quantità e la qualità proprio quelle di Francisco Asenjo Barbieri.

Nel suo Barberillo de Lavapiés teatro lirico e spirito popolare si mescolano in un equilibrio perfetto.Il riferimento al Barbiere di Siviglia di Rossini è evidente e volontario: Barbieri rivolge all’illustre compositore un omaggio nell’aria introduttiva di Lamparilla, che riecheggia con le sue parole quella di Figaro che entra in scena snocciolando i suoi titoli, che vuol far sembrare nobiliari, ma in realtà sono umilissimi, con un risultato piuttoso comico e chiudendo come in Rossini: «Lamparilla no, | Lamparilla sí, | este es el barbero | mejor de Madrid». La partitura di Barbieri caratterizza anche tutti gli altri personaggi: la maja Paloma, figlia del popolo e della città di Madrid; i personaggi nobili, con cui la musica abbandona i toni folkloristici per guardare alla tradizione italiana della forma tripartita; i popolani con i loro tratti comici; i cori vivaci.

Con questa produzione si conferma il nuovo corso della zarzuela in Spagna oggi, con allestimenti moderni che si liberano della paccottiglia folcloristica senza rinnegare l’autenticità del genere. Come Emilio Sagi, anche Alfredo Sanzol mette in scena l’opera spagnola con mezzi nuovi. Diversamente da Calixto Bieito con il suo Barberillo del 1998, Sanzol sceglie il vuoto del palcoscenico: nella semplice e senza tempo scenografia di Alejandro Andújar non ci sono ricostruzioni in cartapesta a tinte vivaci. Qui otto pannelli neri definiscono i vari ambienti in cui si svolge la vicenda e solo ai ricchi costumi dello stesso Andujar spetta il compito di ricreare l’atmosfera dell’epoca settecentesca. Fin dall’inizio la regia adotta soluzioni originali: prima ancora che attacchino le pimpanti note della ouverture, sulle tavole del palcoscenico risuonano i passi dei trampolieri e dei ballerini con un effetto molto suggestivo. Ma molti sono i momenti nuovi e intelligenti della sua scelta registica e vivacissime le belle coreografie di Antonio Ruz. Meglio non si poteva fare per mettere in giusta luce una delle più belle opere nate in terra di Spagna.