Zarzuela

Katiuska

Pablo Sorozábal, Katiuska

★★★★☆

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 4 ottobre 2018

(live streaming)

L’operetta, dove le principesse russe si innamorano di un bolscevico

Più operetta che zarzuela Katiuska, la mujer rusa è la prima opera lirica di Pablo Sorozábal, compositore basco di grande successo in Spagna. Su libretto di Emilio González del Castillo e Manuel Martí Alonso fu rappresentata il 28 gennaio 1931 al Teatro Victoria di Barcellona.

Interno di una locanda in Ucraina. Le donne pregano e i contadini bevono serviti da Boni, il giovane oste. La zia Tatiana e la fidanzata Olga lamentano che il Soviet ha incendiato il palazzo del giovane principe Sergio, che si suppone morto. Si teme anche l’arrivo del commissario del Soviet di Kiev per espopriare la terra. Pedro Stakof, commissario sovietico, arriva alla locanda di Boni senza identificarsi e sostenendo di essere venuto ad arrestare il principe Sergio, miracolosamente salvato e fuggito. I contadini lo disprezzano perché vedono in lui un nemico e Pedro si allontana. Le conversazioni vengono improvvisamente interrotte dall’arrivo del principe Sergio tra gli applausi dei contadini. Con sé c’è Katiuska. Tutti vogliono aiutare il principe, ma egli li avverte del pericolo che corrono perché hanno messo una taglia sulla sua testa. Chiede, tuttavia, che aiutino Katiuska, che ha trovato nella confusione della fuga. Lei racconta che ha perso tutta la sua famiglia e le sue risorse. Il principe fugge, ma prima consegna monete d’oro al locandiere in modo che nulla manchi alla ragazza. I tamburi annunciano l’arrivo di soldati dell’Armata Rossa. Arrivano mezzo ubriachi e molestano Katiuska. Pedro arriva e la difende. Katiuska dimostra la sua gratitudine e racconta di ignorare chi realmente lei sia, anche se ricorda che sua nonna le diceva che lei “era diversa”. I contadini riconoscono in Pedro il commissario e sono pronti a linciarlo, Ma la ragazza lo protegge nascondendolo nella sua stanza. Di notte Pedro appare trascinando prigioniero il Principe. Katiuska comprende i suoi ideali bolscevichi e dichiara il suo amore a Pedro chiedendogli di risparmiare la vita del Principe permettendogli di fuggire, ma Pedro si rifiuta. Bruno e Pich propongono a Olga un viaggio a Parigi. Soldati e contadini arrivano portando uomini e donne nobili rastrellati in città. Ora si scopre che Katiuska è una principessa erede dello zar. Pedro lascia andare i prigionieri, eccetto il principe – che sarà giudicato – e a Katiuska concede l’opzione di lasciare la Russia o di vivere come una donna del villaggio. Lei decide di stare con lui.

Sorozábal può essere considerato l’ultimo compositore di zarzuela. L’eleganza dell’orchestrazione, le facili melodie, le intense romanze, i ballabili e il colore esotico sono elementi tipici dei suoi lavori. I 7 numeri musicali al primo atto, gli altrettanti al secondo, tutti enormemente diversi in stile e colore, diventarono presto grandi successi: «Calor de nido», «Los Kosakos de Kazán», «La mujer rusa», «Noche hermosa», «Ucraniano de mi amor», «Rusita, rúsa divina», «Somos dos barcas», «A París me voy» sono titoli ancora oggi molto popolari. Originale il taglio di alcune scene, come quella in cui si susseguono quasi senza soluzione di continuità la grande aria «Vivía sola con mi abuelita» di Katiuska, il suo duetto con Sergio «¡Ya anocheció!», il quintetto dove ognuno per conto proprio pensa di risolvere i suoi problemi «esta noche», l’invocazione alla notte di Katiuska interrotta dal minaccioso coro dei soldati e poi dall’intervento di Pedro con quella briosa «La mujer rusa», appunto, intonata su un pimpante ritmo di danza!

Coprodotto dai teatri di Bilbao, Oviedo e Valladolid, giunge ora sulla scena del Teatro de la Zarzuela di Madrid a 162 anni dalla sua apertura, questa felice edizione di Emilio Sagi. Ridotti i due atti a uno solo, sfrondata la vicenda ed eliminati alcuni personaggi, la sua lettura cinematografica offre una nuova dimensione a una vicenda che è sempre stata sviluppata secondo una visione popolare e folclorica. Qui si capisce subito che Katiuska è una principessa dall’abito che porta e non c’è quindi il disvelamento di identità su cui gioca la vicenda, qui molto semplificata, ma l’attento lavoro attoriale e alcune geniali trovate, come il ballo degli stivali rossi o il cabaret parigino, fanno di questa una delle migliori regie di Sagi.

La protagonista ha lo stile di una star del cinema degli anni ’30, abito scintillante di lamé e colli di volpe (i costumi sono di Pepa Ojanguren) in grande contrasto sia con i civili rastrellati sia con i contadini. Semplice ed efficace la scenografia di Daniel Bianco, direttore del Teatro de la Zarzuela: in basso le rovine dell’impero zarista, in alto la cornice dorata, simbolo del passato imperiale. Il tutto è inclinato di 15 gradi così che la struttura comunica una sensazione di instabilità e incertezza, come le vicende dei personaggi in balia della rivoluzione.

Un cast di lusso per un’operetta è quanto rende la produzione inusuale. Sotto la guida sapiente di Guillermo García Calvo, in scena si contendono l’entusiasmo del pubblico Ainhoa Arteta (Katiuska), Carlos Álvarez (Pedro Stakov) e Jorge de León (Sergio). A parte qualche eccesso vocale la Arteta delinea una misteriosa e sensibile principessa russa incognita anche a sé stessa; Álvarez non lesina sui mezzi vocali ma sempre con una certa eleganza, il tenore Jorge de León completa il terzetto con qualche vibrato di troppo nella parte che Alfredo Kraus incise su disco diretto dallo stesso Sorozábal. Al di fuori dei tre interpreti di fama internazionale non sfigurano i locali Milagros Martín (una spiritosa Olga), Emilio Sánchez (Boni) e Antonio Torres (Bruno).

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La corte de Faraón

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Vicente Lleó, La corte de Faraón

«Ay, Ba… Ay, Ba… Ay, Babilonio que marea.
Ay, va… Ay, va… Ay, vámonos pronto a Judea»

Inizia come una parodia di Aida, continua come un pastiche biblico, prosegue come una rivista maliziosa. È La corte de Faraón, una delle cento zarzuelas di Vicente Lleó.

Compositore minore del genere, Vicente Lleó Balbastre è ora ricordato quasi solo per questa “opereta bíblica” in un atto e cinque quadri presentata al Teatro Eslava di Madrid il 21 gennaio 1910 con grande successo (700 rappresentazioni) su un libretto di Guillermo Perrín e Miguel de Palacios considerato talmente licenzioso che la rappresentazione pubblica fu bandita dal regime franchista fino al 1975. Su questa vicenda nel 1985 fu girato un film da José Luis García Sánchez con Ana Belén e Antonio Banderas.

Quadro 1. La grande piazza di Menfi in Egitto. Le celebrazioni sono in pieno svolgimento per il ritorno del generale Putifar, reduce dal suo trionfo in guerra. Lo stesso Faraone, in trono con la sua Regina e il suo coppiere, guida la folla con grida giubilanti. Il Sommo Sacerdote presenta Lota, una bella vergine di Tebe, che è stata scelta dalla Regina stessa per diventare la moglie del generale che «ritorna vincitor».  Putifar entra con una solenne fanfara, ma è evidentemente sconcertato dall’offerta di una sposa – al fatto non è estranea una certa invalidità personale che ha sofferto in seguito a una ferita che gli rende impossibile adempiere ai suoi doveri di marito avendolo una freccia colpito proprio lì… Tutti partono per celebrare il matrimonio all’interno del Tempio. Ismael, un mercante di schiavi, sta portando un giovane al mercato. Questi è José, un israelita venduto dai fratelli. I servi di Putifar Selhá e Setí hanno pietà del ragazzo e lo acquistano per farlo lavorare nelle cucine del loro padrone. Putifar e Lota riappaiono dopo la cerimonia. Putifar loda le virtù di sua moglie, ma la scena viene interrotta dai due servi che presentano il loro nuovo acquisto. Putifar è così impressionato dalle buone maniere e dall’apparenza di José che decide di tenere il ragazzo in veste di cameriere personale.
Quadro 2. La camera nuziale del palazzo di Putifar. Le celebrazioni rituali sono in corso, Raquel canta e un gruppo di schiavi danzano. José e Raquel presentano poi tre vedove di Tebe che danno consigli a Lota sui suoi doveri di moglie. José spoglia il suo padrone e si ritira con discrezione, lasciando soli gli sposi. Putifar, non potendo fare altro, sceglie di intrattenere la moglie con una lunga narrazione sulle sue prodezze militari. Prima che qualcosa di più personale possa accadere, una tromba annuncia il giorno e la chiamata alle armi per Putifar. Avvolgendosi l’armatura con sollievo, ordina a Lota di divertirsi in sua assenza conversando con il casto José. Lota sfrutta appieno il consiglio di Putifar. L’aveva visto nudo e ammirato il suo corpo. José respinge le attenzioni della donna come meglio può, spiegando che è più abituato a stare con le pecore che con le donne, ma alla fine la resistenza è inutile ed è costretto a fuggire lasciando il suo abito nelle mani di Lota. Lei grida e accusa José di aver tentato di violentarla.
Quadro 3. Il palazzo di Faraone. Il faraone è tra le braccia della moglie e dorme ubriaco. Viene intrattenuto da un languido coro di schiavi babilonesi e da un impertinente canto sulle tecniche d’amore delle babilonesi. Lota entra a chiedere giustizia con Selhá e Setí che trascinano José. La Regina ascolta la sua versione degli eventi, ma in qualche modo la dolce natura di José fa sì che Sua Maestà abbia una visione più mite della questione. Il faraone, disturbato nel suo sonno, non vuole avere nulla a che fare con l’affare e si allontana per continuare il suo sonnellino nei giardini sottostanti. La Regina si prende cura del caso e dopo aver inscenato una ricostruzione della presunta violazione decide di prendere José con sé. La moglie di Putifar non è molto contenta di questa decisone e ne deriva una discussione: José, conteso dalle due tigri, non ha modo di salvarsi se non gettandosi da una finestra.
Quadro 4. I giardini reali. José è atterrato sul faraone bruscamente risvegliato da uno strano sogno. Per salvarsi José si offre di interpretare il sogno per lui ed evoca una visione magica di tre belle spagnole che ballano il fandango, una danza del futuro. Incantato, il monarca mostra la sua gratitudine facendo di José il suo viceré e intendendo tenerlo sempre vicino. La stessa intenzione hanno le mogli trascurate.
Quadro 5. L’ingresso al Tempio di Apis. In una scena finale di grande brevità, ma considerevole sfarzo, il casto José si inginocchia davanti al Faraone ed è investito con tutta la dignità del Viceré, tra le grida giubilanti della folla che si prostra davanti alla statua del bue sacro le cui corna probabilmente adorneranno le teste del faraone e del generale Putifar.

Nella musica di Lleó non c’è solo la parodia dell’Aida di Verdi: Wagner, Saint Saëns e molti altri compositori seri e serissimi ne fanno le spese. La partitura è tanto maliziosa quanto lo sono i versi di Perrín e Palacios e si capisce come dopo la caduta del franchismo non ci sia teatro spagnolo che non abbia fatto a gara per produrre la propria versione con interpreti che sembrano usciti da una delle prime pellicole di Almodóvar.

L’ambientazione esotica che nell’operetta (vedi Il paese del sorriso di Lehár) o nella zarzuela del género grande (come la Katiuska di Lleó) suggerisce il tono drammatico o malinconico, qui nella revista è motivo invece di parodia e comicità. La corte de Faraón è considerata quindi una “zarzuela arrevistada” perché della rivista ha tutte le caratteristiche e come tale viene messa in scena nel 2004 a Guadalajara diretta da Tulio Gagliardo e con l’irriverente regia e le ironiche coreografie di Carlos Vilán. La registrazione video è disponibile in rete.

El sueño de una noche de verano

Joaquín Gaztambide, El sueño de una noche de verano

★★★☆☆

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 10 febbraio 2019

(diretta streaming)

Nella zarzuela di Gaztambide la parodia dell’opera italiana

«Beber de todo vino, amar a toda bella | ese es grato destino, esa es la mejor estrella». Ecco il programma del gaudente Guillermo ne El sueño de una noche de verano, opera comica in tre atti che aveva debuttato al Teatro del Circo di Madrid nel febbraio 1852 – il teatro de la Zarzuela sarebbe stato inaugurato quattro anni dopo.

Il suo autore, Joaquín Romualdo Gaztambide (1822-1870), fu tra quelli che fecero rinascere la zarzuela in Spagna dopo l’occupazione di Napoleone, che aveva bandito l’opera italiana e imposto quella francese. Gaztambide fu infatti tra i fondatori della Sociedad Artistica per diffondere la zarzuela in tutto il paese. Con la sua Catalina e Jugar con fuego e Los diamantes de la corona di Barbieri negli anni ’50 dell’Ottocento la zarzuela risorgeva dopo i fasti dei secoli precedenti.

Col libretto di Patricio de la Escosura basato sull’opéra-comique Le songe d’une nuit d’été (1850) di Joseph-Bernard Rosier e Adolphe de Leuven, la zarzuela di Joaquín Gaztambide è ora sulla scena in un adattamento di Raúl Asenjo che ha riscritto il testo recitato. Della commedia di Shakespeare non c’è che il titolo. Si tratta di una vicenda di teatro nel teatro: come spiegato al Direttore del Cinema e del Teatro del Governo Spagnolo a sipario ancora chiuso, per portare la zarzuela al di fuori dei confini nazionali occorre un titolo “internazionale”, anzi “anglosassone”. Cosa c’è di meglio quindi del buon vecchio Shakespeare e della sua A Midsummer Night’s Dream in formato cinemascope con la regia nientemeno che di Orson Welles? Il tutto è solo un pretesto per riavvicinare la Principessa Isabella Tortellini al suo amoroso Guillermo del Moro e ottenere così il patrocinio finanziario della nobile dama per questa e altre produzioni.

Nella messa in scena di Marco Carniti siamo nell’Italia della Dolce vita, coeva alla Spagna franchista. Tra i personaggi c’è anche un certo Domingo, un ex tenore che ora canta da baritono, un Sabadete/Sabatini sovrappeso e col fazzolettone per detergersi il sudore. Nella prima parte vediamo l’arruolamento dei personaggi nella trattoria con vista sulla scalinata di Trinità dei Monti, nella seconda siamo nella magia del bosco ricreata nella scenografia di Nicolás Boni con i costumi di Jesús Ruiz.

Pur nella sua specificità iberica la musica di Gaztambide attinge a man bassa da Donizetti nelle cabalette ed è quasi una citazione de La fille du régiment il duetto del primo atto con Isabella e Guillermo. Il direttore Miguel Ángel Gómez-Martínez a capo dell’orchestra del teatro dipana le piacevoli melodie con grande verve. Viene assecondato da un vivace cast da cui emerge il Guillermo/William Shakespeare di Santiago Ballerini, tenore di gran bella voce, ottima tecnica, acuti luminosi e buona presenza scenica che piacerebbe ammirare in un repertorio “serio”. Isabel è Raquel Lojendio, soprano di temperamento che si esibisce anche nella danza sulle punte. Cantanti e attori, tutti si adeguano alla regia spiritosa e brillante di Carniti, che si diverte a mescolare Shakespeare, Falstaff, canzoni pop italiane e varie citazioni operistiche.

Château Margaux / La viejecita

Manuel Fernández Caballero, Château Margaux / La viejecita

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 25 marzo 2017

La radio rende omaggio alla Zarzuela, o viceversa?

Libero adattamento del regista Lluís Pascual di queste due operette di Caballero, del 1887 e del 1897 su libretti di José Jackson Veyán e Miguel Echegaray rispettivamente, in un unico spettacolo in cui nella prima parte si ricrea un programma radiofonico del dopoguerra di una competizione canora in cui si utilizzano i numeri musicali di Château Margaux, mentre nella seconda si propone una rappresentazione de La viejecita.

Il titolo della prima zarzuela fa riferimento al famoso vino le cui virtù vengono esaltate nel valzer finale dalla protagonista in preda a ebrezza alcolica: «no hay vino para mí, ¡no! | como el Château Margaux. […] Quiero bailar, quiero reír, | de la botella voy a dar fín». Si tratta di un pezzo molto famoso e spesso proposto in concerto. Assieme a divertenti inserti pubblicitari d’epoca, la prima parte conduce al più compiuto atto unico in cui uno spasimante si traveste da ricca vedova argentina (ben otto anni prima, quindi, della Vedova allegra di Lehár), la “viejecita” appunto, per corteggiare, ad una festa a cui non è stato invitato, la donna che ama. Nell’originale per questo personaggio era prevista una voce femminile, quella del famoso contralto caratterista Lucrecia Arana. Qui invece è interpretato da un uomo, Borja Quiza.

In questo spettacolo al Teatro de la Zarzuela si conferma la regola che anche all’operetta occorrono voci impeccabili, e qui quella di Ruth Iniesta lo è quando dipana le agilità con grande facilità o quando si inerpica su per acuti vertiginosi. Comprimari all’altezza della situazione come d’obbligo.

Doña Francisquita

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Amedeu Vives, Doña Francisquita

★★★★☆

Tolosa, Théâtre du Capitole, 28 dicembre 2014

(video streaming)

Lope de Vega diventa una zarzuela quattrocento anni dopo 

A solo un centinaio di chilometri dalla frontiera spagnola, Tolosa si trova idealmente rivolta verso quel sud che aveva tanto intrigato i compositori francesi dell’Ottocento. Oggi il suo Théâtre du Capitole ospita una zarzuela coprodotta con il Teatro de la Zarzuela di Madrid e il Colón di Buenos Aires. Si tratta di Doña Francisquita del catalano Amadeu Vives che con il suo successo al teatro Apolo di Madrid il 17 ottobre 1923 aveva ridato nuova vita al genere rinverdendone i fasti.

Elegante e piacevolissimo, il lavoro di Vives è un susseguirsi di melodie orecchiabili che si dipanano in arie soliste e pezzi d’insieme che hanno spesso seguito una via propria nei recital dei cantanti spagnoli, come la romanza «Como el humo se sabe” cantata da Alfredo Kraus, grande interprete di questa zarzuela, o il “duo de Aurora y Fernando”, per non parlare del fandango del terzo atto, trascinante pezzo strumentale e irresistibile numero coreografico.

La vedova Doña Francisca ambisce a diventar la moglie di Don Matías che però è invaghito della figlia, Francisquita, la quale ama Fernando, il figlio di Don Matías, che però è già preso da Aurora, attrice, che lo fa ingelosire con Lorenzo. Anche senza diagramma, si capisce che questo poligono aperto è la trama ideale per una vicenda di zarzuela, ma il soggetto dello spiritoso libretto di Federico Romero e Guillermo Fernández-Shaw è in realtà quello della commedia La discreta enamorada del maestro del secolo d’oro del barocco Lope de Vega, il più prolifico autore della letteratura di tutti i tempi (solo di commedie si conta ne abbia scritte circa 500!). Francisquita è una ragazza tutt’altro che ingenua che vede inizialmente nella corte del maturo Don Matías la possibilità di elevazione sociale così da essere chiamata anche lei “doña Francisquita” e solo alla fine dell’opera cede al sentimento. I tre atti si svolgono tutti nella stessa giornata.

Atto primo. In una piccola piazza dove c’è una chiesa, si terrà un matrimonio a cui parteciperanno Fernando e il suo amico Cardona. Lì incontrano Aurora “la Beltrana”, un’artista del Teatro de la Cruz, e la sua amica Irene. Fernando prova una grande passione per Aurora, alla quale lei risponde sempre con un freddo disprezzo. Tutto questo è contemplato da Francisquita, che ama segretamente Fernando ma non sa come dichiararsi. Il padre di Fernando, Don Matías, viene a trovarla e solleva il sospetto che voglia chiedere la mano della madre di Francisquita, Doña Francisca. Alla fine si scopre che lo scopo della sua visita è chiedere la mano di Francisquita. Decide di escogitare un piano per conquistare l’amore di Fernando. Cardona nota le buone intenzioni di Francisquita e decide di aiutarla, cercando di far capire a Fernando il suo amore per lei. Quando viene a sapere che suo padre ha chiesto la mano di Francisquita, è sorpreso dalla sua richiesta e cerca di scoprire le sue intenzioni.
Atto secondo. Un ballo si tiene in un’area picnic vicino al prato del canale, dove si riuniscono numerose persone in costume, amici, gruppi di musicisti e Aurora e la sua corte di ammiratori. Fernando assiste al ballo, cercando un momento per parlare con Francisquita. Quando ci riesce, cerca di strapparle il motivo della sua decisione, ma lei risponde solo che l’unica cosa che può dirgli è il conforto che può offrirgli diventando sua madre. D’altra parte, Aurora cerca di conquistare di nuovo il cuore di Fernando, ma lui mostra il suo disprezzo. Più tardi si avvicina a Don Matías per rendere omaggio alla futura famiglia e ne approfitta per fare una discreta dichiarazione a Francisquita. Arriva la cofradía de la bulla e si tiene un ballo, occasione di cui Aurora approfitta per lanciare una sfida, che consiste nel fatto che chi sconfiggerà Lorenzo, il suo amante, vincerà la sua mano nel ballo. Lei cerca di coinvolgere Fernando, ma alla fine Don Matías si presenta, vince il premio e balla con Aurora, mentre Fernando balla con Francisquita.
Atto terzo. Prima scena. In una piccola strada, si sentono voci di balli di carnevale. Francisquita discute con Don Matías la richiesta di Fernando di andare alle danze dei coltelli, così Don Matías decide di non andare. Cardona discute con Aurora la presenza di Fernando al ballo dei coltellinai con Francisquita, cosa che lo porta ad un attacco di gelosia, parlando con il suo amante Lorenzo e raccontandogli tutto, cosa che lo fa andare a casa di Don Matías e sfidare Fernando ad un duello al ballo, a cui Don Matías alla fine decide di andare. Seconda scena. Nel cortile dei coltellinai, la danza si svolge con grande animazione. Aurora decide di spiegare tutto, ma Cardona la interrompe e commenta a Lorenzo l’amore di Fernando per Francisquita. Don Matías arriva in cerca di suo figlio e Lorenzo gli rivela tutta la verità. Quando vede arrivare Francisquita mano nella mano con Fernando, scoppia in un impeto di indignazione e chiede spiegazioni. Entrambi gli raccontano umilmente tutto, scusandosi. Alla fine, Don Matías rinsavisce e rompe il fidanzamento, ed esorta tutti a brindare alla felicità della futura coppia, che riempirà la sua casa di gioia.

La storia è ambientata da Emilio Sagi a metà Ottocento e gli eleganti costumi di Franca Squarciapino aggiungono il loro tocco di colore alle belle scenografie di Ezio Frigerio che giocano sulla profondità, le luci e le ombre di un angolo caratteristico di Madrid nel primo atto (sul fondo una piazza in pieno sole in cui si svolgono le vivaci scene di carattere e in primo piano, separato da pilastri, un porticato ombroso per le schermaglie dei personaggi principali); una terrazza al tramonto con il panorama rosato della città per il secondo; un patio immerso nella luce blu per la scena notturna del terzo atto. Splendido il gioco luci di Eduardo Bravo.

Sagi muove con abilità le affollate scene del carnevale madrileno con i balli, i travestimenti e le maschere che contrappuntano o sostengono i numerosi duetti e concertati di cui è farcita l’opera.

I giovani cantanti spagnoli dimostrano personalità vocale anche se talora acerba, come il Fernando di Joel Prieto, ma buone capacità attoriali in questa alternanza di canto, recitazione e anche danza. Vives riserva alla protagonista Francisquita la parte vocale più ardua che Elisandra Melián disimpegna con facilità. A tratti scardinato il coro del Capitole, più precisa l’orchestra sotto la bacchetta di Josep Caballé Domenech.

Luisa Fernanda

Federico Moreno Torroba, Luisa Fernanda

★★★★☆

Madrid, Teatro Real, luglio 2006

(registrazione video)

L’ultima romantica zarzuela grande

Dalla prima del 26 marzo 1932 al Teatro Caldeón di Madrid, Luisa Fernanda è andata in scena più di diecimila volte! I librettisti Federico Romero e Guillermo Fernández Shaw hanno fornito i testi di oltre 70 delle più importanti opere del novecento spagnolo, ma qui i loro personaggi si muovono con agio tra la sofisticata capitale e la semplice vita agreste, tra aneliti romantici e ripiegamenti melanconici, tra commedia elegante e aspirazioni rivoluzionarie.

La vicenda, ambientata nel 1868 allorquando il regime di Isabella II di Castiglia è minacciato da movimenti rivoluzionari repubblicani, è pretesto per una serie di momenti musicali e arie seducenti in cui la vena melodica la vince su sottigliezze armoniche e complessità compositive – l’orchestra quasi sempre si limita a raddoppiare con i suoi strumenti la linea di canto. Pur ridotti, i dialoghi parlati sono preminenti e in un certo modo rendono ancora più attese le suadenti melodie.

Atto I. Nella Plazuela de San Javier, la vita ruota intorno alla locanda gestita da Mariana. Luisa Fernanda, una bella e giovane ospite della locanda, è da tempo innamorata di Javier, un soldato che si considera il suo fidanzato, ma che viene a trovarla sempre meno, soprattutto dopo la sua promozione a colonnello. In un momento in cui Luisa Fernanda è andata in chiesa, appare Javier, solo per essere rimproverato da Mariana per la sua informalità. Come se non bastasse, Aníbal, un altro ospite della locanda, le fa un entusiastico ma sconclusionato discorso liberale, ideologia di cui è un fervente seguace. Quest’ultima conversazione finisce quando Aníbal si rende conto che la duchessa Carolina, che vive di fronte alla locanda e ha un’ideologia dichiaratamente monarchica, è alla finestra e potrebbe sentirli. Mariana preferirebbe che Luisa Fernanda, invece di continuare a seguire Javier, si occupasse delle richieste di Vidal Hernando, un ricco possidente dell’Estremadura che la desidera, anche se è molto più vecchio di lei. Luisa Fernanda non cede e dice a Vidal che è innamorata di un altro uomo. Vidal non perde la speranza e quando apprende da Aníbal che Javier potrebbe abbracciare la causa liberale, si dichiara monarchico, meno per convinzione personale che per inimicarsi il suo antagonista. Javier ritorna di nuovo alla ricerca di Luisa Fernanda, ma incontra Carolina che, con le sue arti e il suo fascino, lo allontana da Luisa e lo attrae alla causa monarchica. Nogales, Aníbal e Vidal si stupiscono di ciò, e quest’ultimo cambia prontamente idea, dichiarandosi liberale. Luisa Fernanda sviene quando lo scopre, non a causa della politica, tra l’altro.
Atto II. Sul Paseo de la Florida, vicino alla cappella di San Antonio e al chiosco di Bizco Porras, Mariana e Rosita hanno allestito un tavolo durante la festa di San Antonio. L’atmosfera è festosa, e molte giovani ragazze vengono all’eremo con l’idea di trovare un fidanzato. Javier e Carolina vi appaiono, in chiara sintonia politica e romantica. Mariana, una chafardera, non perde tempo a mettere al corrente Luisa Fernanda e suo padre, Don Florito, di questo fatto. Nel frattempo, Bizco Porras si occupa degli affari e Aníbal è di poco aiuto. La duchessa si occupa del tavolo delle offe
rte e cerca anche di sedurre il nuovo arrivato Vidal, per attirarlo alla sua causa monarchica. Se la cava raccontando la storia di un uomo del suo villaggio che pensava di essere una rondine e cadde da un ramo mentre cercava di volare (chi pensa di essere qualcosa che non è, si schianta). Quando Luisa Fernanda e Javier finalmente si incontrano, Javier è geloso che lei sia seduta con Vidal e il suo atteggiamento la infastidisce così tanto che rompe la loro relazione e sceglie Vidal. La situazione è tesa tra i due pretendenti. Nel frattempo, la duchessa Caroline è insoddisfatta del ricavato del tavolo, così decide di mettere all’asta un ballo con lei tra i signori presenti. Vidal vince l’asta con una forte offerta rispetto a quella precedente di Javier, ma poi cede offensivamente la danza vincente a lui. Questo ha appena fatto arrabbiare Javier, al punto che lancia il suo guanto a Vidal. Quest’ultimo lo raccoglie, ma rimanda la disputa ad un altro momento. Pochi giorni dopo c’è uno scoppio rivoluzionario, al quale partecipano Nogales, Aníbal e Vidal Hernando della parte liberale. Mariana e Luisa Fernanda sono rimaste a recitare il rosario alla locanda. Nonostante il coraggio di Vidal, i ribelli sono pochi e vengono presto sconfitti dall’esercito e Aníbal viene ferito. Javier cerca di arrestare Vidal per questi eventi, ma Luis Nogales si dichiara il capo degli insorti e viene arrestato. Luisa Fernanda vede Javier abbracciare Carolina, il che, insieme al coraggio dimostrato da Vidal, le fa finalmente accettare la sua proposta di matrimonio e trasferirsi in Estremadura.
Atto III. La Rivoluzione Gloriosa ha finalmente trionfato e l’azione si sposta a La Frondosa, la tenuta di Vidal Hernando in Estremadura, vicino a Piedras Albas (Cáceres), dove Luisa Fernanda e suo padre, così come Mariana e Aníbal, si rifugiano in attesa che le acque si calmino nella capitale. La regina è stata detronizzata. La duchessa Carolina è fuggita in Portogallo e Javier è scomparso, presunto morto nella battaglia di Alcolea. Vidal riceve complimenti e congratulazioni dai suoi contadini e c’è un grande senso di felicità nel prato. I preparativi per il matrimonio sono in pieno svolgimento e Aníbal viene mandato a prendere l’abito da sposa di Luisa Fernanda. Aníbal trova Javier vivo e lo porta nel prato. Anche se Luisa Fernanda insiste nel mantenere la sua parola e sposare Vidal, lui si rende conto che, nonostante la sincerità della sua volontà, lei non lo amerà mai veramente, poiché porta ancora nel suo cuore il vecchio amore per Javier. Vidal rinuncia quindi al matrimonio e dolorosamente permette al pentito Javier di portare finalmente via con sé Luisa Fernanda assieme al cuore spezzato di Vidal, del quale però la giovane donna non ha nulla da temere, perché “un cuore che perdona non è un pesante fardello”.

Musicalmente l’opera esprime gli ideali compositivi dell’autore, inseriti nel più ampio movimento del ‘casticismo’, il tentativo di promuovere la tradizione del nazionalismo popolare. Torroba si conferma comunque musicista internazionale: le sue melodie hanno sì la grazia dello spirito ispanico, ma anche della commedia viennese e del verismo italiano. La sua opera compositiva copre un arco temporale ragguardevole, dalla Virgen de mayo (1925) al Poeta (1980), composta alla bella età di 99 anni!

L’edizione dal teatro Real di Madrid è coprodotta con Washington e Los Angeles e porta le firme del regista Emilio Sagi, del direttore Jesús López Cobos e tra gli interpreti c’è un tale Plácido Domingo, i cui genitori parteciparono alle tournées che Torroba condusse nelle americhe negli anni ’30 e ’40.

Di ottimo livello gli interpreti: Mariola Cantarero (Duchessa Carolina), Nancy Herrera (Luisa Fernanda), José Bros (Javier Moreno), Raquel Pierotti (Mariana), ma l’attenzione è tutta puntata sulla star assoluta, quel Plácido Domingo che torna alle origini regalando al pubblico di Madrid la sua lussuosa giovanile presenza e la sua voce ancora gloriosa. Elegantissima la regia di Sagi, che si avvale di una scenografia tutta in bianco e nero come i costumi di Pepa Ojanguren.