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«Il compositore che l’Italia musicale aspettava da tempo»
Dopo il diploma in composizione presso il Conservatorio di Milano e su suggerimento di Amilcare Ponchielli, Puccini partecipa al concorso Sonzogno del 1883 con Le Villi, opera in un atto con una parte sinfonica come prescritto dal regolamento del concorso. In questa versione i numeri musicali sono: il preludio, il coro d’introduzione, il duetto Anna-Roberto, la preghiera, la Tregenda per sola orchestra, il preludio e scena di Guglielmo, la gran scena e duetto finale.
Il soggetto risale a una leggenda di origine slava che Heinrich Heine aveva narrato in un saggio sugli spiriti. Il tema venne poi reso noto al pubblico teatrale grazie alla trattazione che ne dettero Théophile Gautier e Vernoy de Saint-Georges in Giselle, ou Les Willis per il balletto di Adolphe Adam (1841). Sicuramente Ferdinando Fontana avrà conosciuto ambedue le fonti, ma pare più probabile che abbia tratto il suo argomento dal più recente racconto francese di Alphonse Karr Les Willis (1852).
L’esito del concorso fu negativo e il lavoro non venne preso in considerazione dalla commissione. Fu comunque organizzata da Ponchielli e dallo stesso Fontana una serata musicale in cui Puccini suonò e cantò le sue Willis per esponenti dell’élite intellettuale e artistica milanese, tra cui Arrigo Boito. Tutti rimasero così favorevolmente colpiti da raccogliere fondi per una rappresentazione pubblica e l’opera andò quindi in scena al Dal Verme il 31 maggio 1884 diretta da Giacomo Panizza (in orchestra uno dei contrabbassisti era Pietro Mascagni) con grande successo di pubblico e di critica, la quale definì il maestro «il compositore che l’Italia musicale aspettava da tempo». Per la successiva rappresentazione al Regio di Torino il 26 dicembre, l’opera, secondo la volontà dell’editore Ricordi, aveva assunto la struttura in due atti ed era stato italianizzato il titolo e aggiunti tre numeri musicali: la romanza di Anna («Se come voi piccina») nel primo atto, nel secondo la scena drammatica del tenore («Ecco la casa… Dio che orrenda notte») e la parte sinfonica con un intermezzo, “L’abbandono”. Nel gennaio 1885, durante le repliche alla Scala di Milano l’autore aggiunse la romanza di Roberto («Torna ai felici dì»). Nacque così forse la più lunga ‘scena ed aria’ per tenore mai apparsa sulle scene, Wagner escluso, naturalmente. Con ulteriori varianti al momento della stampa della partitura nel 1888 e dello spartito per canto e pianoforte del 1889, ben quattro furono le versioni in due atti: un lungo lavoro di revisione e di modifiche che denota il perfezionismo del compositore.
Verdi, che fu forse presente allo spettacolo al Regio di Torino, così scrisse: «[Puccini] segue le tendenze moderne, ed è naturale, ma si mantiene attaccato alla melodia che non è moderna né antica. Pare però che predomini in lui l’elemento sinfonico! Niente di male. Soltanto bisogna andar cauti in questo. L’opera è l’opera: la sinfonia è la sinfonia, e non credo che in un’opera sia bello fare uno squarcio sinfonico, pel sol piacere di far ballare l’orchestra».
Atto I. La famiglia e gli ospiti ballano durante la celebrazione del fidanzamento di Roberto e Anna. Roberto deve partire prima della cerimonia per raccogliere un’eredità e Anna teme di non rivederlo più. Roberto conforta Anna dicendole che andrà tutto bene e che si sposeranno quando lui tornerà da Magonza. Anna racconta a Roberto di aver sognato che lui morisse, ma Roberto dice ad Anna che non deve preoccuparsi che il suo amore venga meno e che può dubitare del suo Dio, ma non del suo amore per lei. La folla ritorna e Anna è ancora preoccupata per la partenza di Roberto. Roberto chiede allora a Guglielmo, il padre di Anna, di benedirli prima del suo viaggio e Roberto parte per Magonza.
Intermezzo. In città Roberto è incantato da una “sirena” e dimentica Anna che lo aspetta per tutta l’estate e l’autunno e in inverno muore per la sua assenza. Viene quindi spiegata la leggenda delle fate (Le Villi). Quando una donna muore di crepacuore, le fate costringono l’infedele a danzare fino alla morte.
Atto II. Il padre di Anna, Guglielmo, ritiene Roberto responsabile della morte di Anna e invita le Villi a vendicarsi di Roberto. Le Villi invocano il fantasma di Anna e attirano Roberto nella foresta. Roberto, ormai squattrinato e abbandonato dalla seduttrice, ritorna quando gli giunge la notizia della morte di Anna. Sperando di essere perdonato, le Villi perseguitano Roberto mentre piange la perdita dei giorni della sua giovinezza. Roberto trova poi l’ultimo fiore rimasto vivo nell’inverno e cerca di trovare la speranza che Anna viva, ma viene respinto dalle Villi quando cerca di bussare alla porta della casa di Guglielmo. Roberto cerca allora di pregare per ottenere il perdono, ma scopre di non poterlo fare a causa della maledizione lanciata dalle Villi. Mentre Roberto maledice il suo destino, Anna gli appare e gli racconta le sofferenze che ha dovuto sopportare. Roberto implora il perdono e anche lui sente il dolore di Anna bruciare nel suo cuore. Ma Roberto non viene perdonato e Anna chiama le Villi, che maledicono Roberto con grida di “traditore”. Lì, le Villi e Anna danzano con Roberto fino a quando questi muore per sfinimento ai piedi di Anna.
«Opera-ballo, articolata in dieci ‘numeri’ ben distinti, Le Villi rivela l’influenza wagneriana più per l’impianto drammaturgico generale che per la sintassi musicale, nell’impiego di temi-guida e nell’abbondante presenza di pagine sinfoniche. Oltre agli elementi che ancora denotano una fase di apprendistato, già possiamo intravvedere alcune caratteristiche peculiari dello stile maturo del musicista, sia per l’uso abbondante di quinte vuote, figurazioni ostinate e lunghi pedali armonici, sia per il brusco mutamento della ‘temperatura’ musicale, grazie a rapidi accostamenti di pannelli contrastanti e all’impiego drammatico dell’orchestra; anche il linguaggio armonico (accordi di settima sui gradi ‘deboli’ della scala, accordi di nona e di tredicesima) è sicuramente più ardito di quello abituale ai suoi contemporanei. I continui richiami tematici, di cui è pervasa l’opera, costituiscono inoltre dei nessi semantici che garantiscono una coesione drammatica, superando la frammentarietà della struttura a numeri». (Maria Menichini)
Il successo delle sue opere della piena maturità portò inevitabilmente a ridurre gli allestimenti de Le Villi, anche se nel 1917 lo stesso autore considerò l’ipotesi di riesumare la sua prima opera (e quindi, probabilmente, di rivederne la partitura) per abbinarla al Tabarro, l’opera in un atto che aveva da poco terminato e che da sola non bastava a coprire lo spazio di una serata teatrale. Il Maggio Musicale fiorentino nell’ottobre 2018 mette in scena l’opera-ballo assieme a Ehi, Gio’, di Vittorio Montalti, ma nella registrazione in DVD della Dynamic è però presente solo il lavoro di Puccini.
Neanche l’attenta direzione di Marco Angius riesce a dare senso drammaturgico a questa leggenda romantica che ha il fattore più debole nel libretto. E se il compito del regista nel dare plausibilità alla vicenda e nel cercare di coinvolgere il pubblico di oggi qui è arduo, la lettura di Francesco Saponaro neppure lontanamente ci prova. Di certo non aiuta e la sua ambientazione negli anni ’60, coi ballerini che si dimenano nel twist, che la rende ancora meno accettabile. Restano i cantanti, e questa forse sarebbe stata l’occasione per mettere in campo voci che si facessero ricordare, ma purtroppo non è il caso di Elia Fabbian (Guglielmo Wulf), Leonardo Caimi (Roberto) e Maria Teresa Leva (Anna), che hanno grossi problemi di intonazione e di sostegno dei suoni.
No, questa prima opera – ma neanche la seconda, Elgar – non aggiunge nulla a quello che già sapevamo di Puccini.
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- Le Villi, Cilluffo/Lloyd-Evans, Londra, 21 luglio 2022
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