foto © Daniele Ratt – Teatro Regio Torino
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Giacomo Puccini, Le Villi
Torino, Teatro Regio, 20 aprile 2024
«La brevità, gran pregio!»
Lo dirà Rodolfo ne La bohème, ma già nel suo primo lavoro per il teatro il giovane compositore sembra voler fare sua la massima. La brevità è comunque tra i requisiti richiesti per partecipare al Concorso Sonzogno del 1883 in cui vinceranno due titoli oggi del tutto dimenticati, mentre il lavoro di Puccini diventerà un trampolino di lancio per la sua carriera teatrale. Il concorso prevedeva un atto unico con una parte sinfonica e Puccini ottempera: Le Willis del concorso si strutturano con preludio, coro d’introduzione, duetto Anna-Roberto, preghiera, Tregenda per sola orchestra, preludio e scena di Guglielmo, gran scena e duetto finale.
Cupa storia di vendetta fantasma, come quella del balletto Giselle, qui è Anna a essere abbandonata dall’infedele Roberto che, partito per raccogliere l’eredità di una «vecchia di Magonza […] avara matrina», dilapida la fortuna irretito da «una sirena | [che] i vecchi e i giovinetti affascinava [e che] trasse Roberto all’orgia oscena». «In cenci abbandonato» il giovane ritorna, ma diviene vittima delle Villi, le figure leggendarie delle fidanzate abbandonate e morte, tra cui il fantasma di Anna che si vendica: «con lui danza e ride e, colla foga del danzar, l’uccide».
Sfortunato al concorso, l’atto unico ebbe però successo di pubblico e di critica la sera del 31 maggio 1884 al Teatro Dal Verme. Per la successiva rappresentazione a Torino l’editore Ricordi suggerì di rielaborare il lavoro e così, con il titolo italianizzato e in due atti, Le Villi andò in scena al Teatro Regio il 26 dicembre 1884. Furono anche aggiunti tre numeri musicali: la romanza di Anna («Se come voi piccina io fossi») nel primo atto, nel secondo la scena drammatica del tenore («Ecco la casa… Dio, che orrenda notte») e l’intermezzo sinfonico “L’abbandono”. Nel gennaio 1885, durante le repliche alla Scala l’autore aggiunse la romanza di Roberto («Torna ai felici dì»), che da allora è il pezzo più conosciuto dell’opera.
Centoquarant’anni dopo, Le Villi ritorna dunque sulle scene del teatro che in questa stagione ha più investito per celebrare il compositore di Lucca, con ben sette titoli operistici su tredici. Alla guida dell’orchestra del teatro c’è Riccardo Frizza che deve tenere in equilibrio il melodismo e il sinfonismo, elementi entrambi presenti. E sappiamo quanto il “problema del sinfonismo” fosse critico per chi scriveva musica in quegli anni, con l’accusa di wagnerismo appena si concedeva più spazio all’orchestra invece che alle voci dei cantanti. In poco più di un’ora, l’opera vive di atmosfere differenti: dal suadente Preludio al tono festoso del fidanzamento, alla malinconia tesa di fremiti dell’addio dei due giovani nel primo atto, tutto è reso col giusto colore e l’efficace colore orchestrale. Ancora più vario il secondo atto dopo i due intermezzi sinfonici che dipingono prima “L’abbandono” e poi “La tregenda” in cui una voce recitante racconta della leggenda delle fidanzate morte e assetate di vendetta a cui segue la scena del padre Guglielmo che piange la perdita della figlia, e subito dopo l’arrivo di Roberto e del suo incontro col fantasma di Anna. Frizza mette in luce la lussureggiante orchestrazione che molto deve alla musica francese – “Massenet italiano” venne definito Puccini – e la teatralità di un finale che diventa una convulsa ridda infernale, una corsa verso la morte.
Nel secondo cast si fanno valere le voci di Laura Giordano, una lirica Anna in preda a tristi presentimenti nella romanza «Se come voi piccina» con cui la ragazza si rivolge ai fiori, per poi diventare spietata in «Tu dell’infanzia mia», quando da morta rinfaccia a Roberto il suo tradimento. Il giovane soprano siciliano rende con molta sensibilità e appropriato fraseggio il carattere della fanciulla. Arrivato a sostituire quasi all’ultimo momento uno dei due tenori, Raffaele Abete si impegna generosamente in una parte dalla vocalità impervia che risolve con una voce di bel timbro e facilità di acuti. Sua è la pagina più nota dell’opera, la romanza «Torna ai felici dì», forse il momento più pucciniano di un lavoro che solo a tratti fa intravedere il futuro genio. Gëzim Myshketa è un umanissimo Guglielmo, anche lui ha a disposizione uno dei momenti più importanti, quando ripensa con dolore alla figlia persa. La scena è resa con molta efficacia dal baritono albanese che vi dispiega la sua bella voce timbrata. Tre soli i cantanti solisti, il resto è affidato al coro, come sempre magistralmente istruito da Ulisse Trabacchin.
Pier Francesco Maestrini ambienta la vicenda in epoca vittoriana e la «modesta casa» di Guglielmo diventa una lussureggiante serra giardino in cui invece di montanari e montanare si muovono ricchi borghesi negli elegantissimi costumi di Luca Dall’Alpi. Il regista punta sui colori e sulla sericità delle stoffe per appagare la vista mentre i fiori fuori scala sembrano un omaggio ai dipinti del piemontese Romano Gazzera. La scenografia di Guillermo Nova e le luci di Bruno Ciulli costruiscono un mondo che per i colori rutilanti e i particolari surreali dei fiori giganti strizza l’occhio al fantasy – un genere da lui proposto già ne La campana sommersa di Respighi prodotta a Cagliari. Suggestive risultano anche le immagini video dello stesso Nova. L’opulenza della scena contrasta però con la semplicità della vicenda narrata, didascalica nei suoi propositi. Scontata è la banalità della scena in cui si narra della perdizione di Roberto, dove il palcoscenico è occupato dall’enorme dipinto di una donna nuda in una cornice dorata mentre danzatrici con i movimenti coreografici di Michele Cosentino fanno del loro meglio per rappresentare le lusinghe della carne tentatrice. Ancora meno convincente è il finale in cui le Villi si trasformano in Baccanti inferocite per sbranare non Orfeo ma il povero Roberto e offrirne il cuore sanguinolento alla spietata fidanzata cadavere. Un momento di grand guignol fuori contesto dalla romantica storia. Ma al pubblico non foltissimo del sabato pomeriggio è piaciuto e non sono mancati gli applausi.
Bozzetto della scenografia
⸪