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Benjamin Britten, The Turn of the Screw
★★★★★
Leeds, Grand Theatre, 21 febbraio 2020
(live streaming)
«An amusette to catch those not easily caught» (1)
Opera North riprende il fortunato allestimento che Alessandro Talevi aveva realizzato dieci anni fa per lo stesso Grand Theatre di Leeds. L’opera inizia davanti al sipario con il Prologue, ma anche la prima scena è ancora al buio allorché vediamo solo la schiena dell’Istitutrice in viaggio verso casa Bly. L’ingresso in scena dei bambini eccitati per il suo arrivo è un’esplosione di luce, ma è l’unico momento luminoso, in quanto saranno le ombre e il buio a dominare in seguito. Finalmente distinguiamo l’ambiente: una camera da letto, la tappezzeria alle pareti, i vecchi mobili, un inquietante cavallo a dondolo, una grande finestra vetrata. Il letto a baldacchino in mezzo alla stanza sarà presenza costante per tutta la vicenda: forse è tutto solo un sogno della donna, ci suggerisce il regista.
Non c’è lago, non c’è torre, non c’è chiesa e tutti gli ambienti di casa Bly sono concentrati in questa camera, che fu anche quella di Miss Jessel. Solo per brevi istanti si ha una visione dell’esterno notturno con la luna, un bosco naïf, la torre, la nebbiolina del lago, ma presto si ritorna nella claustrofobica intimità di un’atmosfera domestica e vittoriana magnificamente realizzata da Madeleine Boyd che si occupa anche degli accurati costumi. L’ambientazione ricorda quella da lei ideata per lo Zauberflöte dello stesso Talevi, qui però le ombre e il gioco luci di Matthew Haskins hanno un ruolo ancora più cruciale.
Le didascalie del libretto prevedono effetti di dissolvenza nei cambiamenti di scena, qui invece le transizioni si susseguono con continuità, accentuando così la tensione della vicenda – e con la costante presenza dell’Istitutrice. Infatti, anche il colloquio tra Peter Quint e Miss Jessel avviene in presenza dell’Istitutrice, di spalle sul letto, il che conferma l’idea registica che le “apparizioni” siano un frutto della sua mente: «I know nothing of evil, yet I fear it, I feel it, worse, imagine it». Nel racconto di James, l’esperienza da parte del lettore di Miss Jessel e Peter Quint avviene attraverso la narrazione dell’Istitutrice mentre nell’opera di Britten il pubblico può vedere direttamente i “visitatori” poiché gli attori sono inevitabilmente presenti fisicamente sul palco e questa presenza rischia di ridurre l’ambiguità originale sul fatto che le apparizioni siano reali o immaginate dall’Istitutrice. Vero è che l’incapacità di Mrs Grose di vedere i visitatori in entrambe le versioni crea dubbi sulla sanità mentale dell’Istitutrice: «[T]his house is poisoned, the children mad – or that I am!». La scelta di Talevi rende brillantemente conto di questa ambiguità.
Un’altra differenza tra l’opera e il racconto è il fatto che in Britten i visitatori hanno voce e la librettista ha dovuto scrivere dei dialoghi inesistenti in James. Là i visitatori erano spettri senza voce le cui intenzioni dovevano essere indovinate dal lettore, qui le apparizioni esprimono apertamente i loro propositi e si rivolgono direttamente ai bambini, i quali sembrano aver superato l’età dei giochi, che qui hanno qualcosa di misteriosamente malizioso: Flora gioca con le bambole in maniera tutt’altro che innocente e allestisce un morboso teatrino di marionette per inscenare la vicenda di Miss Jessel, mentre Miles danza selvaggiamente al suono del pianoforte e si spoglia davanti alla finestra per poi infilarsi nel letto dell’Istitutrice invitandola a raggiungerlo. Con questa disturbante immagine si conclude l’atto primo di una produzione che mescola sapientemente sessuofobia vittoriana e psicoanalisi freudiana – nel finale Flora e Miles sono vestiti esattamente come Miss Jessel e Peter Quint! – con l’intrigante musica di Britten e ci si dimentica che sono solo tredici gli strumentisti, qui sapientemente diretti da Leo McFall che mette in luce la particolare orchestrazione di questo lavoro.
Spettacolare il cast: perfetta l’Istitutrice di Sarah Tynan e sensibile la Mrs Grose di Heather Shipp, le due figure delle apparizioni sono affidate con grande efficacia a Nicholas Watts (Quint e Prologue) ed Eleanor Dennis (Miss Jessel), ma è nei personaggi dei bambini che si raggiunge l’eccellenza sia vocale sia attoriale. Jennifer Clark e Tim Gasiorek (quest’ultimo ha 11 anni!) delineano una Flora e un Miles indimenticabili per maturità ed intensità espressiva, dove l’ambiguità e l’ironia nascondono uno struggente rimpianto per l’innocenza perduta.
(1) È la definizione di Henry James del suo lavoro: «A piece of ingenuity pure and simple, of cold artistic calculation, to catch those not easily caught» (Un pezzo di ingegno puro e semplice, di freddo calcolo artistico, un trastullo per chi non è facile da catturare)
⸪