Henry James

The Turn of the Screw

Benjamin Britten, The Turn of the Screw (Il giro di vite)

★★★★☆

Bruxelles, Théâtre Royal de la Monnaie, 29 aprile 2021

(video streaming)

Horror in casa Bly

Non due, ma una moltitudine di fantasmi e inquietanti ombre del passato infestano casa Bly in questa produzione della Monnaie. Anche lo zio tutore sembra messo lì apposta per tormentare  l’istitutrice – non ha neanche un nome la povera donna che colleziona con ossessione borsette tutte uguali. Nella regia di Andrea Breth e nella scenografia di Reimund Orfeo Voigt il claustrofobico ambiente non ha aperture verso l’esterno e le prospettive cambiano in continuazione, come nei sogni: nulla è statico, tutto è in continuo movimento tramite pannelli scorrevoli, letti rotanti, armadi senza fondo e pianoforti collassati che diventano botole.

I costumi tardo-vittoriani di Carla Teti rimandano alla società rigida e sessuofobica che di lì a poco passerà sotto la lente impietosa del dottor Freud. Il tema della corruzione dell’infanzia  innocente da parte degli adulti, tema appena accennato nel racconto di Henry James e primario invece nella rivisitazione della librettista Myfanwy Piper e del compositore Benjamin Britten, in questa messa in scena della Breth è centrale: i bambini hanno perso ogni traccia di innocenza, Flora assume le pose scomposte delle ragazze dei dipinti di Balthus, Miles si suicida impiccato alle grucce dell’armadio. Il teatro dell’assurdo incontra l’horror: la perdita di orientamento del personaggio principale – «Lost in my labyrinth I see no truth, | only the foggy walls of evil press upon me» (Persa nel mio labirinto, non vedo alcuna verità, mi circondano soltanto le pareti nebbiose del male) canta l’istitutrice alla fine della prima scena del secondo atto – è efficacemente ricreata dalla regista tedesca materializzando sulla scena un incubo con le sue ossessionate ripetizioni: le mele di Mrs Grose, le borsette dell’istitutrice, le lettere, le multiple presenze dal viso patibolare e i doppi dei personaggi.

Visivamente intriganti sono gli altri rimandi iconografici suggeriti dalla regista e dallo scenografo: i freddi interni richiamano i quadri del pittore danese Vilhelm Hammershøi e gli omini con la bombetta ovviamente René Magritte. I gesti sono trattenuti ma i corpi assumono pose contorte, la drammaturgia non segue fedelmente il testo, ma ne dà un’interpretazione più ossessionante. In questa ambientazione tenebrosa le poche luci sono protagoniste, che si tratti dei gelidi neon sulle pareti o delle funeree candele nella scena del camposanto davanti alla chiesa.

All’angoscioso grigio e nero che vediamo in scena rispondono i colori dell’esigua orchestra da camera del teatro condotta con trasparenza e precisione da Ben Glassberg il quale così annota: «Benjamin Britten è talmente chiaro nella sua notazione che ogni sentimento emerge nella partitura con le sue sfumature. Il compositore mette in musica il testo in modo incomparabile e la sua scrittura indica il minimo cambiamento di accento all’interno della frase musicale mentre l’accompagnamento orchestrale rivela tutte le emozioni provate dai personaggi». La sua concertazione è al servizio di una partitura di estrema complessità dove la struttura musicale è quella di un tema e 15 variazioni: «Il dramma si articola in un prologo e sedici scene collegate tra loro da interludi strumentali. Il tema, che si ascolta subito dopo il prologo, comprende tutti i dodici gradi della scala cromatica in uno schema sequenziale basato su intervalli di quarta (usata spesso da Britten per alludere al diabolico). Inoltre nell’atto primo le tonalità delle variazioni e delle scene successive seguono un preciso itinerario ascendente che va dal la minore fino al La bemolle maggiore e procede per gradi congiunti attraverso le tonalità diesizzate. Nell’atto secondo le tonalità, disposte in ordine discendente, sono prevalentemente bemollizzate e fanno ritorno a La maggiore. Questa successione, di implacabile coerenza, suggerisce e accompagna il progressivo sviluppo della vicenda, che si avvita sempre più su sé stessa e si rivela tragicamente senza via d’uscita per la protagonista e i suoi giovani protetti», aveva scritto Giovanna Miggiani nel programma di sala della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia per la produzione del 25 giugno 2010.

Nella figura dell’istitutrice il soprano Sally Matthews rischiara questo grigio mondo con la sua voce luminosa e potente. Il mezzosoprano Carole Wilson è la governante della casa, mentre per Miles la regista stessa ha scelto il bravissimo Henri de Beauffort tra le voci bianche del coro giovanile della Monnaie. Al suo fianco Katharina Bierweiler si impegna nella complessità psicologica della sorella Flora. La dolente follia di Miss Jessel qui è efficacemente interpretata da Giselle Allen. Peter Quint trova in Julian Hubbard un interprete di grande intensità. La sua presenza inquietante rimarrà a lungo nella memoria di noi spettatori dello streaming disponibile su operavision. Per un di più di angoscia lo spettacolo è stato infatti registrato a teatro vuoto.

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Owen Wingrave

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Benjamin Britten, Owen Wingrave

12 settembre 2020

Britten in bianco e nero e senza orchestra

Secondo adattamento musicale da Henry James: dodici anni dopo The Turn of the Screw (Il giro di vite), Britten lavora alla composizione di Owen Wingrave, un’altra opera con fantasmi. Lavoro destinato originariamente per la televisione, come la produzione di Channel 4 del 2001, anche questa di Grange Park Opera sceglie di farne un film per ottemperare alle norme sanitarie dettate dalla pandemia che ha fatto chiudere i teatri. Il direttore è James Henshaw ma l‘orchestra non c’è, la partitura è adattata per pianoforte, percussioni e tromba.

Ambientato nel presente dal regista Stephen Medcalf, il film è in gran parte girato in bianco e nero punteggiato da rari tocchi di rosso, come i bicchieri nella terribile scena della cena che conclude il primo atto. Solo l’ultima inquadratura vira al colore naturale. Gli interpreti cantano su una base preregistrata e frequente è l’utilizzo di primi piani. Il regista mantiene la vena di sottile comicità del lavoro, come quando vediamo per la prima volta la zia di Owen, Miss Wingrave, mentre gioca appassionatamente a un violento gioco di guerra al computer, o la signora Coyle che canta nel bagno nella scena della camera da letto alla fine del secondo atto.

Nella vicenda si fa un gran parlare della casa con la sua sala piena di quadri degli antenati di Owen e Medcalf rende la casa quasi un altro personaggio. Qui Paramore è una villa vittoriana suburbana, grande sì ma non grandiosa: la sala è solo un corridoio (che permette alcune splendide scene a più livelli) e le immagini degli antenati sono semplicemente un insieme di fotografie su un tavolo. Il tutto dà all’opera un’aria da soap-opera piena di black humour, come nella scena in cui Owen entra nello studio del nonno: noi sentiamo solo la voce di Sir Philip attraverso la porta, ma in questa versione anche gli altri personaggi origliano, rannicchiati nel corridoio. Sospesa la conclusione della vicenda: nel finale non vediamo mai la stanza e il corpo di Owen giace fuori come se si fosse gettato da una finestra. Fantasmi o no? 

Ciascuno dei cantanti offre un carattere ben definito: la signorina Wingrave di Susan Bullock sarebbe comica se gli effetti della sua malvagità non fossero così gravi; la Kate di Kitty Whately è meravigliosamente priva di autocoscienza ripetendo a pappagallo tutto ciò che gli altri dicono o pensano; sua madre, Madeleine Pierard, è l’immagine del tipico parente povero; il Letchmere di James Way è ingenuo e sconsiderato. I due personaggi più umani sono i Coyles, William Dazeley e Janis Kelly, e nei loro personaggi fanno emergere sia l’umanità sia la educata inefficacia che conduce al disastro. Richard Berkeley-Steele è il generale Wingrave. Convincente l’interpretazione di Ross Ramgobin, un Owen che rifugge l’ingenuità e la burla e le sostituisce con un’ardente testardaggine.

Medcalf ha utilizzato le stesse restrizioni per creare un film intenso le cui immagini danno una sensazione di claustrofobia. Un senso di restrizione viene anche dall’accompagnamento: la riduzione per pianoforte e percussioni sembra alquanto provvisoria e ci mancano i meravigliosi colori dell’orchestrazione originale di Britten.

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The Turn of the Screw

Benjamin Britten, The Turn of the Screw

★★★★★

Wormsley, Garsington Opera Pavilion, 13 luglio 2019

(live streaming)

«The ceremony of innocence is drowned»

Assieme a Peter Grimes è la più popolare delle opere di Britten per la sua particolare atmosfera, che ricrea magistralmente quella del racconto originario di Henry James, e la mirabile orchestrazione: nel 1954 fu la definitiva conferma di Benjamin Britten quale più importante musicista inglese dai tempi di Purcell e uno dei più apprezzati compositori di teatro del Novecento.

Per la trentesima stagione del Garsington Opera Festival The Turn of the Screw viene messo in scena su quel palcoscenico aperto sulla campagna inglese, con la luce del pomeriggio che filtra attraverso le grandi vetrate. Nella scenografia fissa di Christopher Oram i serramenti arrugginiti suggeriscono un grande e decadente winter garden vittoriano, un ambiente che non è né interno né esterno, una specie di serra che termina su uno specchio d’acqua, il lago del testo, su cui Miles vara la sua barchetta di carta. Su quell’acqua avanza Miss Jessel col suo ampio abito nero lasciando sul palcoscenico una scia bagnata, unica traccia della sua presenza nel mondo fisico.

Dopo un intervallo di un’ora e mezza, il sole è calato e la scena è nella penombra. Assieme alle candele ora entrano in azione le suggestive luci di Malcom Rippeth. Dopo la leggerezza del primo atto con i suoi giochi innocenti sotto la luce del sole, nel secondo si entra nel dramma della vicenda e l’illuminazione vi gioca un ruolo decisivo. Presenze sinistre presto offuscano l’ottimistico inizio e mentre cala la notte nei giardini fuori dall’auditorium, così anche le forze oscure del male vincono i valorosi sforzi della istitutrice e della governante per proteggere i due bambini. La stessa casa si dimostra fragile: una parte del pavimento è crollata ed è stata invasa dall’acqua – il che dà un ulteriore significato a «The ceremony of innocence is drowned» cantato dai due spettri. La regia di Louisa Muller accumula sapientemente la tensione con piccoli particolari inquietanti e gioca abilmente sulla dualità tra mondo fisico e mondo spirituale, tra realtà e teatro. Questi ultimi si mescolano magicamente qui nel padiglione immerso nel verde con i suoi pannelli scorrevoli trasparenti che proteggono ma non isolano completamente dall’esterno.

La partitura meravigliosamente strutturata e piena di suspense è resa con limpida precisione e intensa partecipazione da Richard Garnes a capo della Garsington Opera Orchestra. Magistralmente concertati i sei interpreti si rivelano eccellenti. Intensa e di giusta presenza scenica Sophie Bevan è l’istitutrice, l’unico personaggio senza un nome proprio. Zio dei bambini nel Prologo e poi Peter Quint, Ed Lyon sfodera il suo charme e la sua elegante vocalità, mentre come Miss Jessel c’è una straordinaria Katherine Broderick piena di una passione che la morte non ha sopito. Magnifici i due giovani cantanti Adrianna Forbes-Dorant (Flora) e Leo Jemison (Miles), quest’ultimo fa rimpiangere ancora una volta la mancanza di voci bianche maschili al di qua delle Alpi. Kathleen Wilkinson è un’efficace Mrs Grose.

Spettacolo estremamente intrigante e magnifica la ripreso in video ora disponibile su youtube.

 

The Turn of the Screw

Benjamin Britten, The Turn of the Screw

★★★★★

Leeds, Grand Theatre, 21 febbraio 2020

(live streaming)

«An amusette to catch those not easily caught» (1)

Opera North riprende il fortunato allestimento che Alessandro Talevi aveva realizzato dieci anni fa per lo stesso Grand Theatre di Leeds. L’opera inizia davanti al sipario con il Prologue, ma anche la prima scena è ancora al buio allorché vediamo solo la schiena dell’Istitutrice in viaggio verso casa Bly. L’ingresso in scena dei bambini eccitati per il suo arrivo è un’esplosione di luce, ma è l’unico momento luminoso, in quanto saranno le ombre e il buio a dominare in seguito. Finalmente distinguiamo l’ambiente: una camera da letto, la tappezzeria alle pareti, i vecchi mobili, un inquietante  cavallo a dondolo, una grande finestra vetrata. Il letto a baldacchino in mezzo alla stanza sarà presenza costante per tutta la vicenda: forse è tutto solo un sogno della donna, ci suggerisce il regista.

Non c’è lago, non c’è torre, non c’è chiesa e tutti gli ambienti di casa Bly sono concentrati in questa camera, che fu anche quella di Miss Jessel. Solo per brevi istanti si ha una visione dell’esterno notturno con la luna, un bosco naïf, la torre, la nebbiolina del lago, ma presto si ritorna nella claustrofobica intimità di un’atmosfera domestica e vittoriana magnificamente realizzata da Madeleine Boyd che si occupa anche degli accurati costumi. L’ambientazione ricorda quella da lei ideata per lo Zauberflöte dello stesso Talevi, qui però le ombre e il gioco luci di Matthew Haskins hanno un ruolo ancora più cruciale.

Le didascalie del libretto prevedono effetti di dissolvenza nei cambiamenti di scena, qui invece le transizioni si susseguono con continuità, accentuando così la tensione della vicenda – e con la costante presenza dell’Istitutrice. Infatti, anche il colloquio tra Peter Quint e Miss Jessel avviene in presenza dell’Istitutrice, di spalle sul letto, il che conferma l’idea registica che le “apparizioni” siano un frutto della sua mente: «I know nothing of evil, yet I fear it, I feel it, worse, imagine it». Nel racconto di James, l’esperienza da parte del lettore di Miss Jessel e Peter Quint avviene attraverso la narrazione dell’Istitutrice mentre nell’opera di Britten il pubblico può vedere direttamente i “visitatori” poiché gli attori sono inevitabilmente presenti fisicamente sul palco e questa presenza rischia di ridurre l’ambiguità originale sul fatto che le apparizioni siano reali o immaginate dall’Istitutrice. Vero è che l’incapacità di Mrs Grose di vedere i visitatori in entrambe le versioni crea dubbi sulla sanità mentale dell’Istitutrice: «[T]his house is poisoned, the children mad – or that I am!». La scelta di Talevi rende brillantemente conto di questa ambiguità.

Un’altra differenza tra l’opera e il racconto è il fatto che in Britten i visitatori hanno voce e la librettista ha dovuto scrivere dei dialoghi inesistenti in James. Là i visitatori erano spettri senza voce le cui intenzioni dovevano essere indovinate dal lettore, qui le apparizioni esprimono apertamente i loro propositi e si rivolgono direttamente ai bambini, i quali sembrano aver superato l’età dei giochi, che qui hanno qualcosa di misteriosamente malizioso: Flora gioca con le bambole in maniera tutt’altro che innocente e allestisce un morboso teatrino di marionette per inscenare la vicenda di Miss Jessel, mentre Miles danza selvaggiamente al suono del pianoforte e si spoglia davanti alla finestra per poi infilarsi nel letto dell’Istitutrice invitandola a raggiungerlo. Con questa disturbante immagine si conclude l’atto primo di una produzione che mescola sapientemente sessuofobia vittoriana e psicoanalisi freudiana – nel finale Flora e Miles sono vestiti esattamente come Miss Jessel e Peter Quint! – con l’intrigante musica di Britten e ci si dimentica che sono solo tredici gli strumentisti, qui sapientemente diretti da Leo McFall che mette in luce la particolare orchestrazione di questo lavoro.

Spettacolare il cast: perfetta l’Istitutrice di Sarah Tynan e sensibile la Mrs Grose di Heather Shipp, le due figure delle apparizioni sono affidate con grande efficacia a Nicholas Watts (Quint e Prologue) ed Eleanor Dennis (Miss Jessel), ma è nei personaggi dei bambini che si raggiunge l’eccellenza sia vocale sia attoriale. Jennifer Clark e Tim Gasiorek (quest’ultimo ha 11 anni!) delineano una Flora e un Miles indimenticabili per maturità ed intensità espressiva, dove l’ambiguità e l’ironia nascondono uno struggente rimpianto per l’innocenza perduta.

(1) È la definizione di Henry James del suo lavoro: «A piece of ingenuity pure and simple, of cold artistic calculation, to catch those not easily caught» (Un pezzo di ingegno puro e semplice, di freddo calcolo artistico, un trastullo per chi non è facile da catturare)

Owen Wingrave

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★★★★☆

L’opera per la televisione di Britten

Assieme al War Requiem (1961), nel 1970 Owen Wingrave è la più appassionata voce antimilitarista del secolo passato scritta quasi in risposta alla guerra del Viet Nam. L’atmosfera da thriller di The Turn of the Screw (1954) è ripresa da Britten in questo lavoro tratto anche lui da un racconto del 1892 di Henry James e su libretto di quella Myfanwy Piper che scriverà per il compositore inglese anche il testo della sua ultima opera, Death in Venice.

Atto 1. Preludio. Rappresentazione dei ritratti della famiglia Wingrave a Paramore, la casa ancestrale dei Wingrave. Scena 1. Al “centro di addestramento” militare di Coyle a Bayswater, Coyle sta istruendo Owen Wingrave e Lechmere sulla guerra ed il comando in battaglia. Owen parla a Coyle del suo disprezzo per la guerra e che è contrario alla storia familiare dei Wingraves come soldati. Coyle risponde che Owen deve cambiare il suo atteggiamento e lo avverte che la sua famiglia disapproverà. Owen resta della sua idea. Rimasto solo Coyle si chiede come darà questa notizia alla famiglia di Owen. Scena 2. La scena si interseca tra Hyde Park e la residenza londinese di Miss Wingrave. A Hyde Park Owen pensa di essere forte, non debole, nella sua posizione di disprezzo per la guerra. A casa di Miss Wingrave, lei e Coyle discutono di Owen. La signorina Wingrave afferma che Owen cambierà idea una volta tornato dalla sua famiglia a Paramore. Scena 3. Di ritorno allo stabilimento di Coyle, Lechmere, Coyle e la signora Coyle parlano di quelle che ritengono essere le “strane idee” di Owen sui soldati e la guerra. Lechmere dice che aiuterà a “persuaderlo”. Owen lo sente e sottolinea che non sarà persuaso. Coyle dice a Owen che tornerà ai Paramore. Owen ricorda l’amore per la guerra di suo nonno, la morte di suo padre in battaglia e la morte di sua madre con un fratello nato morto. Scena 4. At Paramore, Mrs Julian, her daughter Kate and Miss Wingrave await Owen’s arrival, themselves distressed by the news of Owen, and determined to bring him back into the Wingrave traditions. They leave the ancestral hall where the portraits of the Wingrave ancestors hang, so that Owen arrives to no greeting from his family or loved ones, but only from the portraits. One by one, Mrs Julian, Kate and Miss Wingrave enter the hall and denounce Owen. Owen tries to respond, but finds no support. He then goes to meet his grandfather, Sir Philip. Scena 5. Nel corso di una settimana, Sir Philip, Kate, Miss Wingrave e Mrs Julian esprimono continuamente il loro disprezzo per Owen. La signora Julian alla fine dice a Owen che “non è degno dei Paramore”. Scena 6. I Coyle sono arrivati a Paramore. La signora Coyle è scioccata dal trattamento riservato a Owen dalla sua stessa famiglia. Lo stesso Coyle confessa il suo disagio e accenna ai fantasmi della casa, agli antenati dei Wingrave del passato. Owen saluta calorosamente i Coyles, con la presenza anche di Lechmere. Quando Coyle fa notare che Owen si è creato questo problema, Owen risponde che Coyle gli ha insegnato a “usare la mia mente” ed a capire la guerra “troppo bene”. Coyle rivela che non è andato a trovarlo dietro una chiamata amichevole, ma piuttosto per cercare di convincere Owen a rinunciare al suo nuovo modo di pensare. Coyle osserva ironicamente che Owen è “un combattente”, nonostante il suo nuovo pacifismo. Scena 7. L’intera famiglia Wingrave, con i Coyles e Lechmere, è a cena. Sir Philip e Miss Wingrave esigono da Owen obbedienza alla tradizione di famiglia. La signora Coyle è la più comprensiva nei confronti di Owen degli altri personaggi e afferma che Owen ha degli “scrupoli”. I Wingraves, Kate e la signora Julian mettono in ridicolo gli “scrupoli” di Owen. Alla fine della scena, Owen afferma con rabbia che avrebbe reso la guerra un crimine.
Atto 2. Prologo. Un cantastorie canta un episodio familiare passato quando uno dei ragazzi Wingrave non si era battuto con un altro ragazzo quando era stato sfidato. Il padre portò suo figlio in una stanza, lo colpì e uccise. Più tardi il padre era stato trovato morto nella stessa stanza, “senza una ferita”. Scena 1. Owen e Coyle sono nella sala degli antenati a Paramore, ricordando questa storia e camminando nella stessa stanza in cui si erano verificate le due morti. Kate non riesce ancora ad accettare le affermazioni di Owen. Sir Philip richiede un incontro privato con Owen. Coyle nota la somiglianza tra Sir Philip e il vecchio della storia e tra Owen e il ragazzo. Owen emerge dall’incontro con Sir Philip affermando di essere stato diseredato. La signora Julian piange a questa notizia e rivela che aveva sperato che Kate e Owen si sarebbero sposati per poter preservare il loro status sociale. Lechmere quindi interviene per offrirsi a Kate. Kate lo incoraggia momentaneamente e chiede a Lechmere se per lei potrebbe dormire nella “stanza infestata dai fantasmi”. Lechmere dice che l’avrebbe fatto. Owen fa un cenno per accendere le candele delle signore, ma Miss Wingrave lo snobba deliberatamente e si rivolge a Lechmere per questo compito. Rimasto solo dopo che Coyle ha dato la buonanotte, Owen parla da solo nella sala degli antenati, dicendo a se stesso di aver trovato la sua forza nella pace piuttosto che nella guerra. Kate torna nella sala, inizialmente ignara della presenza di Owen. Cantano un duetto della loro vita precedente. L’angoscia di Kate per il pensiero pacifista di Owen riemerge. Quando menziona Lechmere, Owen la rimprovera per il suo flirt con lui. Kate risponde che Owen è un codardo, il che fa sì che la rabbia di Owen diventi più forte. Lui risponde che non è un codardo e lei chiede prove. Dopo che lui le chiede quale prova vuole, lei gli chiede di dormire nella “stanza stregata”. Owen inizialmente rifiuta, ma dopo un’ultima osservazione provocatoria da parte di Kate, Owen è d’accordo e dice anche che può chiuderlo a chiave nella stanza. Scena 2. La scena inizia nella camera da letto dei Coyle, dove la signora Coyle riflette sul comportamento civettuolo di Lechmere e sulla caparbietà di Kate. Coyle nota che all’inizio della serata, Owen sembrava “rassegnato” e “in pace”. Più tardi, Lechmere, incapace di dormire, fa visita a Coyle. Dice a Coyle di aver sentito la provocazione di Kate nei confronti di Owen di dormire nella “stanza stregata”. La signora Coyle esprime preoccupazione per la sicurezza di Owen, ma Coyle trova una cupa soddisfazione nel fatto che questo atto dimostrerà che la famiglia Wingrave si sbaglia su Owen. Proprio mentre Coyle sta per controllare Owen, Kate piange dall’esterno della “stanza infestata”. I Coyles e Lechmere si precipitano da lei, raggiunti presto dalla signora Julian e dalla signorina Wingrave. Kate ora si rammarica della sua sfida a Owen, ma è troppo tardi: quando Sir Philip appare e apre la porta della stanza, vedono Owen morto, disteso sul pavimento. L’opera si chiude con il cantastorie che intona la fermezza del ragazzo Wingrave contro il suo avversario.

Scritta per la televisione inglese (curiosamente Britten odiava la televisione e diventò possessore di un apparecchio televisivo solo nel 1973 quando la DECCA gliene fece regalo per il suo 60° compleanno) fu registrato nel novembre 1970 e la BBC2 lo trasmise il 16 maggio 1971. In seguito conobbe anche rappresentazioni sceniche come quella dell’Opera di Santa Fe nel 1974 e di Glyndebourne nel 1997.

Questa produzione del 2001 di Channel 4 è diretta con sicura professionalità dalla regista Margaret Williams che ambienta la vicenda negli anni ’50. Gli interni sono girati in un maestoso ma inquietante castello, nel testo la tenuta di Paramore, pieno dei minacciosi ritratti degli antenati di Owen Wingrave, l’ultimo rampollo orfano dei genitori e predestinato come tutti i maschi della casa alla carriera militare.

La tecnica cinematografica permette di giocare sui cambi di scena – gli esterni ci portano nei parchi londinesi e nella campagna inglese – e sulla recitazione degli attori/cantanti, qui di grande livello da Dame Josephine Barstow, la terrificante zia, a Martyn Hill, il nonno militarista. Su tutti svetta la magnifica interpretazione di Gerald Finley, il Wingrave che rifiuta di seguire la tradizione famigliare a fornire militari da immolare per la patria, padre compreso. La sua decisione è aspramente criticata dai membri della famiglia che arrivano a diseredarlo del patrimonio. Owen non trova sostegno neppure nella fidanzata Kate, uno dei personaggi più antipatici della storia dell’opera, che accusandolo di codardia lo sfida a dimostrare il suo coraggio passando una notte nella stanza maledetta del castello, infestata da fantasmi da quando fu commesso un omicidio nel lontano passato. Owen acconsente, ma al mattino seguente è trovato morto.

Kent Nagano alla testa della Deutsches Symphony Orchestra dà magnificamente vita a questa raffinata partitura in cui la percussione trattata come un’orchestra gamelan sembra alludere a una libertà e a una felicità lontane.

Nessun extra e assenza di sottotitoli in italiano nel disco della ArtHaus.

The Turn of the Screw

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★★★★☆

«È una strana storia, scritta con inchiostro sbiadito…» (1)

«Se la presenza di un bambino dà all’effetto un altro giro di vite, che dire allora di due bambini?». Così dice il narratore in questo romanzo breve di Henry James (1898) agli amici davanti al caminetto la vigilia di Natale mentre si appresta a raccontare loro un’altra storia di fantasmi. E qui i fantasmi sono due, ma cantano e sono ben visibili agli spettatori che nel 1954 assistono alla Fenice alla prima dell’opera commissionata all’autore dalla Biennale di Venezia nel quadro del XVIII Festival Internazionale di Musica Contemporanea e che Britten ha tratto dal racconto di James. Nel ruolo di Miles in scena c’era un dodicenne David Hemmings, che diventerà celebre nel ruolo del fotografo nel film di Antonioni Blow-up (1960).

L’opera è formata da un prologo e due atti nella forma musicale di un tema con quindici variazioni per un’orchestra da camera ricca soprattutto di effetti timbrici, piuttosto che spunti melodici. Scritta per un organico ridotto, tredici esecutori, l’opera nei paesi anglosassoni è spesso rappresentata da studenti o compagnie amatoriali. Britten vi sviluppa uno dei suoi temi più cari: la corruzione dell’innocenza da parte degli adulti, qui la perversa influenza degli spiriti di un uomo e di una donna morti su due fratelli, Miles e Flora.

Prologo. Una voce narrante informa dell’antefatto, ovvero l’assunzione dell’Istitutrice a custodia dei due bambini Flora e Miles nella residenza di Bly, da parte di un parente-tutore che però non vuol per nessuna ragione essere importunato. Dapprima esitante per la clausola bizzarra e inconsueta, l’Istitutrice finisce poi per accettare.
Atto primo. (Tema della serie di variazioni che fanno da interludi sinfonici fra le scene, ‘Quick’). Scena prima (‘Il viaggio’). L’Istitutrice, in viaggio verso Bly, esprime i suoi dubbi e le sue ansie prima dell’incontro con i due bambini (prima variazione-interludio, ‘Slow’). Scena seconda (‘Il benvenuto’). La governante Mrs. Grose, tempestata dalle domande di Miles e Flora, attende l’arrivo della nuova Istitutrice. Costei arriva finalmente a Bly, e Mrs. Grose le descrive l’ottima natura dei due ragazzi. L’Istitutrice è felice per il calore con cui viene accolta (seconda variazione-interludio, ‘With movement’). Scena terza (‘La lettera’). L’Istitutrice riceve un’incredibile missiva da parte della scuola di Miles, che la informa dell’espulsione del ragazzo per motivi disciplinari. Osserva Miles e ritiene che si tratti di un orrendo errore di valutazione e decide con l’appoggio di Mrs. Grose di non informare nessuno dell’accaduto (terza variazione-interludio, ‘Very slow and quiet’). Scena quarta (‘La torre’). Mentre l’Istitutrice passeggia tranquilla nel parco, assiste all’apparizione di uno strano individuo sulla torre. Si rende conto ben presto che si tratta d’uno sconosciuto e si allontana molto agitata. Entrano quindi i due bambini (quarta variazione-interludio, ‘Very quick and heavy’). Scena quinta (‘La finestra’). Flora e Miles giocano e cantano una nursery rhyme (“Tom, Tom the Piper’s son”) in una stanza della villa. Entra l’Istitutrice che vede attonita alla finestra l’immagine di un uomo che poi scompare. Ella cerca di saperne di più e descrive nella massima agitazione l’uomo a Mrs. Grose, che immediatamente riconosce dalle sue parole Peter Quint, un servitore della villa legato da un torbido legame a Miss Jessel, la precedente istitutrice, e anche ai bambini. L’orrore s’impossessa della nuova arrivata quando capisce che tanto Quint quanto Jessel sono morti: capisce che su Bly incombe una maledizione e che Quint è tornato a cercare il piccolo Miles. D’accordo con Mrs. Grose, l’Istitutrice decide di proteggere i piccoli da quelle presenze demoniache, in modo che non si accorgano di nulla (quinta variazione-interludio, ‘Brisk’, fuga). Scena sesta (‘La lezione’). L’Istitutrice sta dando ai ragazzi una lezione di latino, e Miles si dimostra preparatissimo. All’improvviso, il ragazzo si mette a cantare in modo stralunato una canzoncina basata sui diversi significati latini della parola «malo» (“Malo, malo, I would rather be”), che rivela per la prima volta il turbamento interno di Miles (sesta variazione-interludio, ‘Very slow’). Scena settima (‘Il lago’). È mattina e l’Istitutrice è con i ragazzi in riva al lago del parco. Flora canta una ninna nanna alla sua bambola (“Go to sleep, my dolly dear”) e all’improvviso si manifesta, sull’altra riva del lago, il fantasma di Miss Jessel, che subito si dissolve. L’Istitutrice è disperata: capisce che i bambini fanno finta di non vedere né sentire, ma sono perfettamente complici con i due spettri che vengono a cercarli (settima variazione-interludio, ‘Slow’). Scena ottava (‘Di notte’). Con un canto seducente Quint attira Miles a sé e allo stesso modo Jessel chiama Flora. Si chiarisce il rapporto di possessione fra i quattro (“On the paths, in the woods”). I fantasmi si dissolvono all’arrivo nella camera da letto dell’Istitutrice e di Mrs. Grose. I ragazzi non stavano dormendo e sono chiaramente in uno stato ancora confusionale. Miles ripete all’Istitutrice: «Sono cattivo, sono cattivo».
Atto secondo. Scena prima (ottava variazione-interludio, ‘Slow’). Quint e Jessel si confermano nella loro intenzione di dominare le anime dei due ragazzi, in un duetto infernale (“The ceremony of innocence is drowned”). Frattanto, l’Istitutrice si lascia andare alla sua desolazione (“Lost in my labyrinth”; nona variazione-interludio, ‘Gently moving’). Scena seconda (‘Le campane’). Davanti alla chiesa, fuori scena si sentono le voci di Miles e Flora cantare un salmo, che dapprima sembra innocuo e poi man mano si trasforma in qualcosa di prossimo al blasfemo. «Stanno dicendo cose orrende», s’accorge l’Istitutrice e Mrs. Grose le suggerisce di scrivere allo zio tutore dei ragazzi. Ella sa di non poterlo fare. Poi Miles la provoca, sostenendo di sapere ciò che ella pensa e l’Istitutrice decide di abbandonare quel luogo demoniaco (decima variazione-interludio). Scena terza (‘Miss Jessel’). Tornata in casa, l’Istitutrice scopre al suo posto in aula la signorina Jessel, con la quale ha uno scambio drammatico. La creatura immateriale si dilegua e l’Istitutrice decide di scrivere al tutore (undicesima variazione-interludio, ‘A little slower’). Scena quarta (‘La camera da letto’). Miles intona sinistramente la sua canzone “Malo, malo” nella sua camera illuminata da una candela. Entra l’Istitutrice, che lo informa della lettera e cerca di riguadagnare la fiducia del ragazzo. Quint è però in agguato e ancora dirige la volontà di Miles: si spegne la candela e Miles s’autoaccusa del fatto (dodicesima variazione-interludio, ‘Quick and urgent’). Scena quinta (‘Quint’). Il fantasma del cameriere spinge Miles a rubare la lettera dell’Istitutrice (tredicesima variazione-interludio, ‘Easy and graceful’). Scena sesta (‘Il pianoforte’). Miles sta studiando il pianoforte e il suo modo di suonare è ammirato da Mrs. Grose e dall’Istitutrice. La governante poi s’addormenta e Flora ne approfitta per uscire. È troppo tardi quando l’Istitutrice si accorge della fuga e si rende conto che Miles ha suonato soltanto per distrarre la loro attenzione e dar modo alla sorella di assentarsi e incontrarsi con Miss Jessel. Rimasto solo, Miles si trasforma da principiante della tastiera in un diabolico virtuoso (quattordicesima variazione-interludio, ‘Triumphant’). Scena settima 
(‘Flora’). L’Istitutrice ritrova Flora insieme a Miss Jessel: cerca di ottenere da lei una confessione riguardo alla presenza dello spettro, ma Flora ostinatamente nega. Mrs. Grose, che non riesce a vedere nulla di quanto sta accadendo, comincia a pensare che la mente dell’Istitutrice sia compromessa: quest’ultima sente ormai d’aver fallito ogni tentativo di salvare i due ragazzi (quindicesima variazione-interludio, ‘Very slow’). Scena ottava (‘Miles’). Mrs. Grose si rende finalmente conto che sta succedendo qualcosa di estremamente grave e dà ragione all’Istitutrice. Si decide allora di inviare Flora dallo zio accompagnata dalla governante. A questo punto, l’Istitutrice rimane sola con Miles: è l’ultimo, drammatico confronto. Miles, amorevolmente guidato dall’Istitutrice, ammette d’aver rubato la lettera, benché Quint sia presente e lo inciti a negare. L’Istitutrice, in un autentico duello con lo spettro, riesce anche a far rivelare al ragazzo il nome del suo infernale compagno: «Peter Quint, you devil!». Invano, crede d’aver vinto: nelle sue braccia non resta che il corpo senza vita del piccolo Miles. Straziata e sconfitta, l’Istitutrice canta la canzone del ragazzo, “Malo, malo”, come una disperata trenodia.

Ecco come la librettista Myfanwy Piper racconta il suo approccio al racconto di James: «I tre libretti che ho scritto per Benjamin Britten [The Turn of the Screw, Owen Wingrave, Death in Venice] erano tutti basati su opere di grande livello letterario […] Ma nel lavoro di adattamento ho scoperto che, sebbene le difficoltà presentate da ciascuno fossero molte e diverse, nessuna era dovuta alla ricchezza dell’originale: la ricchezza era piuttosto un aiuto. C’era una particolare attitudine per Britten nell’idea di trasformare The Turn of the Screw in un’opera, non solo per via del soggetto; corruzione e innocenza e il loro effetto reciproco, ma a causa dei mezzi stilistici di Henry James. […] È stata la schiacciante importanza delle parole che ha fatto pensare a tutti quanto sarebbe stato difficile, se non impossibile, trasformare la storia in un’opera. Ma fu proprio questo a renderlo così adatto a Britten. Egli aveva grande rispetto e amore per le parole».

Ciononostante, gran parte del libretto dell’opera non si trova nel testo di Henry James. Le aggiunte di Britten e Piper traggono ispirazione da fonti ad ampio raggio: le canzoncine dei bambini trovano le loro fonti in filastrocche come “Lavender’s Blue” e “Tom, Tom, the Piper’s Son”; il testo di “Malo”, l’aria di incantesimo di Miles, è un mnemonico per studenti di latino che gioca sui diversi significati della parola («Malo: preferirei essere | Malo: in un melo | Malo: piuttosto che un ragazzaccio | Malo: nelle avversità”»); la frase «la cerimonia dell’innocenza è finita», ripetuta da Peter Quint e Miss Jessel nella scena II del secondo atto, è tratta dalla poesia di W. B. Yeats The Second Coming (2).

È stato spesso discusso se le apparizioni nel racconto siano reali o no. Questa ambiguità sta nel nucleo del testo, ma può essere ritrovata in molte delle opere di Britten, rendendo il racconto particolarmente adatto al suo trattamento operistico. Britten e Piper sono stati attenti a non interpretare la storia e imporre un significato, ma piuttosto a spostare l’ambiguità del racconto su un altro mezzo e lasciarlo alle generazioni successive per esplorarlo e interpretarlo come ritengono opportuno.

Premesso che chi scrive generalmente non apprezza i film-opera (e ha sempre considerato il Don Giovanni di Losey una delle ver­sioni più insopportabili del capolavoro mozartiano), questa è una produzione cinematografica della BBC che coglie comunque al meglio l’atmosfera inquie­tante del lavoro, sia negli interni di casa Bly sia negli esterni autunnali della campagna inglese. La regista Katie Mitchell utilizza effetti filmici quali ralenti, dissolven­ze, montaggi incrociati, primis­simi piani. È un linguaggio completamente diverso dalla conven­zione/finzione dell’opera in scena, ma qui è usato in maniera funzionale alla vicenda che narra.

Tutti ottimi i cantanti, che si dimostrano anche eccellenti attori. Richard Hickox dirige con competenza la City of London Sinfonia Orchestra.

Molte altre sono le versioni video di quest’opera e alcune notevoli, ma questa non sfigura nel confronto.

(1) Così recita il primo verso del libretto della Myfanwy Piper.

(2) Turning and turning in the widening gyre
The falcon cannot hear the falconer;
Things fall apart; the centre cannot hold;
Mere anarchy is loosed upon the world,
The blood-dimmed tide is loosed, and everywhere
The ceremony of innocence is drowned;
The best lack all conviction, while the worst
Are full of passionate intensity.

Surely some revelation is at hand;
Surely the Second Coming is at hand.
The Second Coming! Hardly are those words out
When a vast image out of Spiritus Mundi
Troubles my sight: somewhere in sands of the desert
A shape with lion body and the head of a man,
A gaze blank and pitiless as the sun,
Is moving its slow thighs, while all about it
Reel shadows of the indignant desert birds.
The darkness drops again; but now I know
That twenty centuries of stony sleep
Were vexed to nightmare by a rocking cradle,
And what rough beast, its hour come round at last,
Slouches towards Bethlehem to be born?