Georg Friedrich Händel, Flavio, re de’ Longobardi
Bauyreuth, Markgräfliches Opernhaus, 17 settembre 2023
(video streaming)
Mai stata così divertente l’opera seria
Bayreuth, due teatri a meno di due chilometri dove hanno luogo due festival, a poche settimane di distanza, che più diversi non potrebbero essere. Sulla collina “sacra” nella sala del Festspielhaus, appositamente costruita, si celebra il rito dei Gesamtkunstwerk wagneriani, dieci titoli di un canone immutabile. Solo con la novità degli allestimenti – qui è il regno del Regietheater più spinto – si cerca di dire qualcosa di diverso. Al centro della cittadina, l’ineguagliabile gioiello del teatro margraviale dal 2020 è la sede del festival internazionale Bayreuth Baroque diretto da Max Emanuel Cenčić che ogni anno trae qualcosa di diverso dall’inesauribile fonte dell’opera seria settecentesca. Come quest’anno, quando viene proposto un lavoro non consueto di Händel, Flavio, re de’ Longobardi.
Su libretto di Nicola Francesco Haym, il testo è tratto dal Flavio Cuniberto di Matteo Noris già messo in musica da Gian Domenico Partenio (1681), Domenico Gabrielli (1688), Luigi Mancia (1696) e Alessandro Scarlatti (1702) prima di venire intonato dal “caro sassone” nel 1723 e rappresentato il 14 maggio di quell’anno allo Haymarket di Londra. Händel inizialmente pensava di intitolare il lavoro Emilia dal personaggio femminile che ha ben sei arie e un duetto mentre il personaggio eponimo solo tre numeri solistici. Händel terminò la composizione a sette giorni dalla prima rappresentazione e l’opera andò in scena otto volte. Altre quattro rappresentazioni, dirette dallo stesso compositore, ebbero luogo nel 1732 prima che il lavoro sparisse dai cartelloni, fino alla ripresa in tempi moderni nel 1967 a Gottinga. (1)
La vicenda si svolge in Lombardia nel VI secolo E.V. Il re Flavio (Autari) regna sui Longobardi e sull’Inghilterra. Ugone e Lotario sono i suoi due consiglieri. Il figlio di Ugone, Guido, deve sposare la figlia di Lotario, Emilia. Ugone ha anche una figlia, Teodata che il padre vorrebbe che cercasse di entrare alla corte come dama di compagnia per non passare la fanciullezza in solitudine, ma ignora che Teodata ha un amante segreto, Vitige, aiutante del re.
Atto I, Davanti alla casa dell’anziano Ugone, prima dell’alba, Vitige lascia la camera di Teodata. In seguito, nella casa di Lotario, ha luogo il matrimonio tra Guido ed Emilia, in presenza solo dei più stretti parenti. Gli sposi cantano la loro felicità, poi si separano in attesa delle celebrazioni che si svolgeranno di sera. Ugone presenta Teodata al re, dicendogli che ella brama di entrare al suo servizio come dama di compagnia. Incantato dalla bellezza di Teodata, Flavio acconsente e assegna Teodata come dama alla propria moglie, Ermelinda. Lotario invita il re ai festeggiamenti nuziali. Flavio riceve poi una lettera dell’anziano governatore d’Inghilterra che chiede di essere sollevato dal proprio incarico. Flavio pensa inizialmente di affidare l’incarico a Lotario, che già assapora la prospettiva, poi cambia idea in favore di Ugone, poiché vuole allontanare quest’ultimo, per poter corteggiare Teodata senza interferenze. Lotario si sente offeso e parte furioso. Flavio parla a Vitige della bellezza di Teodata, senza sapere che egli è l’amante della giovane e Vitige cerca di nascondere i propri sentimenti sostenendo che Teodata non è particolarmente bella. Nel cortile del castello Ugone incontra il figlio Guido, il quale gli dice di essere stato schiaffeggiato da Lotario. Ugone deve difendere il proprio onore, ma è troppo vecchio per poter brandire una spada, perciò chiede a Guido di combattere in sua vece. Guido è combattuto tra il sentimento di dovere verso il padre e l’amore per Emilia, ma proclama orgogliosamente la decisione di difendere l’onore della famiglia. Giunge Emilia, che non capisce per quale motivo Guido cerchi di sfuggirla: gli giura eterna fedeltà, ma nota il suo cambiamento d’umore.
Atto II. In una sala del castello, Flavio sta corteggiando Teodata. Irrompe Ugone, tanto angosciato da non riuscire a parlare chiaramente. Flavio lascia la stanza. Ugone inveisce, parlando della perdita dell’onore della famiglia. Teodata pensa che la sua relazione con Vitige sia stata scoperta e confessa tra le lacrime. L’angoscia di Ugone, all’apprendere la situazione della figlia, aumenta. Nella casa di Lotario, quest’ultimo dice ad Emilia che non intende consegnarla al figlio dell’odiato rivale e che perciò il matrimonio deve considerarsi nullo. Guido, giunto in cerca di Lotario, chiede ad Emilia di lasciarlo solo per un po’. Al castello, Flavio ordina al suo aiutante di condurgli Teodata. Vitige deve rivelare a Teodata quale infelice missione gli è stata richiesta e Teodata gli narra che Ugone è venuto a conoscenza della loro relazione segreta. Per prendere tempo, essi architettano un piano in cui Vitige fingerà di sollecitare l’amore di Teodata e lei si fingerà disponibile. Nel cortile della casa di Lotario, Guido sfida Lotario a duello. Lotario si fa beffe della sfida del giovane, ma la accetta. Nel combattimento, Lotario cade. Quando giunge Emilia, Lotario fa appena in tempo, prima di morire, a indicare in Guido il proprio assassino. Disperata, ella giura vendetta, ma è lacerata, poiché questo significa vendetta contro colui che ama.
Atto III. Al castello Emilia e Ugone chiedono al re di avere giustizia. Ella domanda la morte per l’assassino del proprio padre, mentre Ugone implora che sia risparmiata la vita al proprio figlio. Sopraffatto dagli eventi, Flavio chiede tempo per riflettere e li manda via. Vitige entra con Teodata, la cui presenza fa ammutolire Flavio. Egli cerca di farla corteggiare per proprio conto da Vitige, ma alla fine si fa avanti egli stesso, chiamandola “mia regina” e cercando di condurla alle proprie camere da letto. Vitige è oppresso dalla gelosia. Emilia è in lutto, per la morte del padre e per la fuga di Guido, ma ancora una volta giura implacabile vendetta. Guido appare e le porge la propria spada, cosicché lei possa ucciderlo. Emilia la prende, poi la lascia cadere e parte. Guido implora l’aiuto dell’amore. Vitige e Teodata litigano, accusandosi a vicenda di essersi spinti troppo oltre nell’inganno ordito ai danni del re. Poi si rendono conto che Flavio è entrato ed ha ascoltato tutto. Ammettono di essere amanti, con sconcerto di Flavio. Entra Guido, e supplica il re di essere messo a morte se Emilia lo odia ancora per la sua azione. Ugone poi confessa di avere incitato il figlio a commettere il delitto in propria vece. Flavio, finalmente consapevole della propria responsabilità di re, manda a chiamare Emilia e ordina a Guido di nascondersi e ascoltare ciò che accadrà. Flavio dice ad Emilia che Guido è stato ucciso, come lei aveva chiesto, e le offre di vederne la testa come prova. Emilia rifiuta e implora di essere uccisa a sua volta, poiché la su a vita senza Guido non ha significato. Guido esce dal proprio nascondiglio ed Emilia quasi sviene per la gioia. Guido le chiede perdono, e lei chiede un periodo di lutto. Flavio infine stabilisce che Vitige dovrà sposare «colei che agli occhi tuoi non piace”, cioè Teodata, e che Ugone verrà scacciato dal regno, ma per recarsi in Inghilterra e divenirne governatore. Tutti ringraziano il re e l’opera si chiude con un coro di riconciliazione.
Flavio è una delle opere di Händel dalla partitura più leggera, scritta per archi e continuo, con un uso parsimonioso dei fiati. Sebbene vi siano passaggi di intensità drammatica emergenti con forza, il tono generale è quello dell’understatement, della raffinatezza e persino dell’ironia, cosa che ha ben compreso Cenčić il quale è anche regista dello spettacolo. Il suo non è certo Regietheater, non c’è un konzept forte a cui la drammaturgia dell’opera si deve piegare. Le sue regie hanno però una vivacità e una cura per la recitazione tale che anche l’ultimo figurante ha un ruolo scenico ben individuato. Cenčić integra la commedia nel dramma in modo credibile, promuovendo l’immagine stereotipata che abbiamo dei monarchi assoluti come esigenti, egoisti e persino infantili, che vivono in un ambiente lussuoso e totalmente lontano dalla realtà. E così è il suo Flavio per il quale, ispirandosi chiaramente a Luigi XIV e a Versailles, ogni azione diventa uno spettacolo pubblico, una grandiosa affermazione della sua autorità e del suo potere assoluto e una parte del tessuto cerimoniale dello Stato. Persino i rapporti sessuali con la regina diventano un evento pubblico, un coucher du Roi con la corte che assiste ai suoi tentativi di copula con Madame aiutandosi visivamente per riuscire a espletare i doveri coniugali mentre Madame la vedremo in un altro momento consolarsi col nano di corte. La regina è chiaramente una parte importante della corte, ma viene solo menzionata nel libretto. Cenčić invece la introduce come personaggio muto, insieme alle sue dame di compagnia e al nano, senza dubbio come riferimento alla corte spagnola. La narrazione si inserisce così con successo nel contesto più ampio e credibile della vita di corte. Abbandonato il secolo VI dei fatti storici, l’ambientazione scelta è quella di una corte a cavallo dei secoli XVII e XVIII con i costumi perfettamente connotati di Corina Gramosteanu e la geniale scenografia di Helmut Stürmer, che con sei pannelli incernierati e su rotelle forma credibili ambienti d’epoca, eleganti e funzionali. Due lampadari di cristallo che scendono dall’alto, alcune poltrone e un letto a baldacchino per le imprese dell’erotomane monarca completano l’impianto in cui si sviluppano le 31 scene dell’opera. Ad aumentare la cerimonialità, un maggiordomo annuncia solennemente ogni volta con tre colpi di bastone i cambi di scena qui legati da brevi interludi orchestrali. Molti i gustosi momenti sparsi in uno spettacolo dove anche il trasporto del cadavere di Lotario è occasione di una divertente gag.
Il tono registico non reggerebbe se sul palcoscenico non ci fossero interpreti che sanno stare con ironia al gioco e qui tutti, dal primo all’ultimo, dimostrano un’efficace presenza scenica. È il caso del personaggio del titolo, affidato al giovane controtenore Rémy Brès-Feuillet che ritrae un dissoluto ed egoista re Flavio dimostrando grande abilità nel giocare con la comicità del ruolo. Adeguatamente prepotente, sprezzante e socialmente inconsapevole degli effetti delle sue azioni su coloro che lo circondano, è il più delle volte in camicia da notte o anche senza quando è immerso in una tinozza per il bagno. Il canto elegante, con piacevoli ornamentazioni e una coloratura versatile sono i punti di forza della sua performance vocale.
Personaggio con il maggior numero di numeri musicali a disposizione, è comprensibile che inizialmente Händel volesse titolare Emilia il suo lavoro. Julija Ležneva conclude tutti e tre gli atti, i primi due con cadenze, variazioni inusitate e trilli infiniti realizzati con sommo agio assieme a grande espressività guadagnandosi gli applausi più nutriti della serata. È ancora lei a iniziare teatralmente il terzo con una delle tre arie di furore di cui è ricca l’opera, le altre due essendo quelle di Vitige, «Sirti, scogli, tempeste, procelle» e Guido, la famosa «Rompo i lacci, e frango i dardi» in cui Max-Emanuel Cenčić, non pago di essere direttore del festival e regista dello spettacolo, si fa interprete con i suoi ragguardevoli mezzi vocali, una tecnica invidiabile e una padronanza di questo repertorio che pochi possono avere. Terzo controtenore in scena è Yuriy Mynenko, inappuntabile Vitige dalla sottile vena ironica mentre con il suo caldo registro il mezzosoprano Monika Jägerová disegna una sensuale e vivace Teodata. Il baritono Sreten Manojlović (Lotario) e il tenore Fabio Trümpy (Ugone) completano degnamente il cast. Alla guida del pregevole Concerto Köln Benjamin Bayl risponde con sensibilità alle intenzioni dell’autore con una lettura chiara e dettagliata ma sempre sensibile al dramma, soprattutto nel cogliere i momenti più drammatici dell’opera.
Dopo Carlo il Calvo di Porpora e Alessandro nell’Indie di Vinci, questo lavoro poco conosciuto di Händel ha portato Cenčić a essere l’indiscusso realizzatore di un repertorio glorioso che ancora tanti tesori cela nei suoi forzieri. Non mancheranno certo titoli nuovi da scoprire per le future edizioni di Bayreuth Baroque.
(1) Ecco la struttura dell’opera:
Ouverture
Atto primo
I.01 Ricordati, mio ben, duetto (Teodata, Vitige)
I.02 Quanto dolci, quanto care (Emilia)
I.03 Bel contento già gode quest’alma (Guido)
I.04 Benché povera donzella (Teodata)
I.05 Se a te vissi fedele, fedele ancor sarò (Lotario)
I.06 Di quel bel che m’innamora (Flavio)
I.07 Che bel contento sarebbe amore(Vitige)
I.08 L’armellin vita non cura (Guido)
I.09 Amante stravagante più del mio ben non v’è (Emilia)
Atto secondo
II.01 Fato tiranno e crudo, ogn’or a danni miei (Ugone)
II.02 S’egli ti chiede affetto (Lotario)
II.03 Parto, sì, ma non so poi (Emilia)
II.04 Rompo i lacci, e frango i dardi (Guido)
II.05 Chi può mirare e non amare (Flavio)
II.06 Con un vezzo, con un riso (Teodata)
II.07 Non credo instabile chi mi piagò (Vitige)
II.08 Ma chi punir desio? l’idolo del cor mio (Emilia)
Atto terzo
III.01 Da te parto, ma concedi che il mio duolo (Emilia)
III.02 Corrispondi a chi t’adora, arioso (Vitige)
III.03 Starvi a canto e non languire (Flavio)
III.04 Che colpa è la mia, se Amor vuol così? (Teodata)
III.05 Sirti, scogli, tempeste, procelle (Vitige)
III.06 Oh Guido! oh mio tiranno, recitativo (Emilia)
III.07 Squarciami il petto – Amor, nel mio penar deggio sperar, recitativo e aria (Guido)
III.08 Ti perdono, o caro bene, duetto (Emilia, Guido)
III.09 Doni pace ad ogni core, coro
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