Tosca

 

foto © Luna Simoncini

Giacomo Puccini, Tosca

★★★☆☆

Macerata, Arena Sferisterio, 22 luglio 2022

bandiera francese.jpg  Ici la version française

Tosca, la donna che  visse due volte

Inaugurazione all’Arena Sferisterio del Macerata Opera Festival con Tosca, un nuovo allestimento che era in standby da due anni a causa delle vicende pandemiche e che solo oggi ha visto la luce.

Il puntuale contesto storico dell’opera di Sardou nel libretto di Giacosa e Illica – preciso fino alla data, il 17 giugno 1800, subito dopo la battaglia di Marengo il cui esito consolidava il potere di Napoleone – fa da sfondo a una vicenda di passioni amorose che alla fine vede la morte violenta di tutti e tre i personaggi. Questo quadro storico è stato spesso dribblato da certi registi che hanno preferito ambientare la vicenda in tempi diversi come quelli del Fascismo (Jonathan Miller), c’è chi si è spinto agli Anni di Piombo (Barbara Wysocka) o alla nostra contemporaneità (Calixto Bieito). Valentina Carrasco sceglie l’America maccartista dei primi anni ’50 della caccia alle streghe del comunismo, ma mantiene i riferimenti storici in quanto questi sono il soggetto di un film in costume che viene girato all’epoca e in cui la cantante Floria Tosca è una delle interpreti.

In scena abbiamo a sinistra la roulotte di Scarpia, che è produttore della casa cinematografica ma anche agente di controllo delle “attività antiamericane” – vedremo infatti l’arresto del sagrestano “regista” e di altri lavoratori del film e si spiega così anche l’arresto dell’attore Cavaradossi – a destra il set cinematografico con la ricostruzione degli ambienti nei colori saturi del technicolor, mentre la realtà è grigia, in bianco e nero, come gli spezzoni documentari che vengono proiettati o le scene riprese in tempo reale da una telecamera mobile. E qui ci sono cose inutili come la vista delle torture a Cavaradossi – con l’involontario (?) omaggio a Buñuel del rasoio e dell’occhio di Un chien andalou – e altre più intriganti, come la ripresa fatta da Scarpia del «Vissi d’arte» di Tosca, o di humour nero, come quando Tosca finisce lo stesso Scarpia a colpi di cinepresa dopo averlo debitamente accoltellato: il voyeur viene punito con la sua stessa arma. Con il video è realizzato anche il teatrale suicidio della donna: dopo la fucilazione – vera, finta? qui comunque l’attore ci rimette la pelle! – Tosca scompare dietro la gigantografia di Castel sant’Angelo, sullo schermo la vediamo salire delle scale di legno e poi precipitare nel vuoto (questa volta chiaro omaggio allo Hitchcock di Vertigo, in italiano La donna che visse due volte) per poi giacere priva di vita sul palcoscenico.

L’espediente del “teatro nel teatro” talora funziona a fatica e non è sempre drammaturgicamente efficace: alcune cose sono inutili (la relazione di Scarpia con l’attrice che interpreta la marchesa Attavanti, con conseguente prole), altre sono inspiegabili. È condivisibile l’idea di «conservare epoca e arredi senza essere in quell’epoca e in quei luoghi, di avere quadro, cappella e acquasantiera senza essere in chiesa» come dice la regista intervistata da Jacopo Pellegrini sul programma di Sala, ma è la realizzazione che non sempre convince. Soprattutto è il primo atto il meno riuscito, il secondo e il terzo funzionano meglio. Scarsa la regia attoriale, con i cantanti lasciati a loro stessi senza una precisa indicazione interpretativa. Lo scenografo Samal Blak dissemina lo sterminato palcoscenico di oggetti significativi e Peter van Praet si occupa del gioco luci con efficacia. Silvia Aymonino disegna opportunamente i due generi di costumi: quelli settecenteschi com’erano visti dalla Hollywood degli anni ’50, e gli abiti di quella stessa epoca.

La realizzazione musicale è affidata al direttore musicale dell’Associazione Arena Sferisterio e decano interprete di quest’opera, ossia Donato Renzetti, che dà una lettura precisa e analitica del lavoro di Puccini con tempi dilatati che permettono sì di assaporare le qualità di una partitura modernissima – lo spettrale fruscio dei piatti durante «E lucevan le stelle» qui ha un effetto mai notato prima – ma difetta di tensione narrativa. Mancanza voluta e cercata dal maestro concertatore, che nel programma dichiara la necessità di «non lasciarsi prendere la mano da un eccesso di drammaticità» che qui però manca quasi totalmente. Nella sua lettura si scoprono raffinatezze armoniche e strumentali, ma non si viene presi dalla musica e per un’opera come Tosca non è cosa trascurabile. Dopo un attacco avventuroso degli ottoni, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana riesce a mantenere un suono omogeneo e trasparente per il resto dell’esecuzione sotto la guida di Renzetti più attento però a quello usciva dalla buca che da quello che proveniva dal palcoscenico.

Nessuna grande rivelazione tra gli interpreti: Carmen Giannattasio è una Floria Tosca vocalmente efficace, a parte un vibrato un po’ largo, e rende molto bene «Vissi d’arte», ma è la personalità che manca, non c’è la teatrale presenza del personaggio. Lo stesso si può dire del Cavaradossi di Antonio Poli: bello il suo attacco di «E lucevan le stelle», però il cantante dopo le finezze vocali termina la romanza con il singulto di una cattiva tradizione mentre non particolarmente fascinoso è il suo  «Recondita armonia». Claudio Sgura è un autorevole Scarpia anche se un filino monocorde. Niente più che passabili gli interpreti secondari. Buona la resa del Coro lirico marchigiano “Vincenzo Bellini” istruito da Martino Faggiani e dei Pueri Cantores “D. Zamberletti” istruiti da Gianluca Paolucci. L’emozione di Sofia Cippitelli (pastorello) qui è resa realistica dal fatto che la regia presenta la scena come il provino cinematografico di una giovane.

Applausi non particolarmente calorosi per lo spettacolo, qualcosa di più per i tre interpreti e il maestro concertatore, ma il pubblico elegante della prima non sembra sia stato particolarmente coinvolto.