Mese: marzo 2015

TEATRO NACIONAL DE SÃO CARLOS

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Teatro Nacional de São Carlos

Lisbona (1793)

1148 posti

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Il terremoto di Lisbona del primo novembre 1755 aveva distrutto anche lo splendido Teatro Real do Palácio da Ribeira (conosciuto come Ópera do Tejo), inaugurato esattamente sei mesi prima. Nella sua brevissima esistenza il teatro, costruito dal Bibiena per 600 posti, aveva ospitato in prima esecuzione tre opere su libretti del Metastasio: Alessandro nell’Indie di Davide Perez per l’inaugurazione, La clemenza di Tito (il 6 giugno) e Antigono (il 16 ottobre), entrambe di Antonio Mazzoni.

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Nel 1792 degli uomini d’affari di Lisbona decidono di finanziare la costruzione di un nuovo teatro dell’opera e in sei mesi Il Teatro Nacional de São Carlos viene terminato nel quartiere dello Chiado su disegni dell’architetto José da Costa e Silva. Modello ispiratore è il teatro alla Scala di Milano (1778) per il portico e la facciata in stile neoclassico mentre per l’interno l’architetto opta per una forma ellittica, che secondo le conoscenze dell’epoca era quella che consentiva l’acustica e la visuale migliore, e una decorazione rococo in cui dominano l’oro e il rosa. Viene inaugurato il 30 giugno 1793 con La ballerina amante di Domenico Cimarosa alla presenza della regina D. Maria I. Sulla facciata si notano un orologio e il blasone della real casa di Braganza. Il teatro è dedicato alla principessa Carlotta di Spagna venuta in Portogallo nel 1790 per sposare il futuro re, il principe João.

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L’interno ha cinque ordini di palchi, una decoratissima loggia reale che si sviluppa nell’altezza di tre orini e un soffitto dipinto da Manuel da Costa. Chiuso tra il 1828 e il 1834 durante la guerra civile, ebbe l’illuminazione a gas nel 1850 e quella elettrica nel 1887. Nel frattempo il teatro era passato allo stato. Grandi restauri furono eseguiti tra il 1935 e il 1940. Dal 1974 è sede di una compagnia stabile che vi effettua regolari stagioni liriche e sinfoniche.

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TEATRO AMAZONAS

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Teatro Amazonas

Manaus (1896)

700 posti

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Nel cuore della foresta pluviale amazzonica c’è un teatro d’opera quanto mai inaspettato. Siamo a Manaus, ad alcune ore di volo dalle altre città brasiliane. Proposto all’epoca della Belle Époque, quando qui si facevano immense fortune con la gomma, il progetto fu scelto dal Gabinete Português de Engenharia e Arquitectura di Lisbona e l’architetto Celestial Sacardim fu incaricato dei lavori, che procedettero a rilento e con alcune interruzioni. Il 31 dicembre 1896 comunque avvenne l’inaugurazione con La Gioconda di Amilcare Ponchielli.

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Lo stile architettonico del teatro è tipicamente neo-rinascimentale. Le travature furono importate dall’Alsazia, le pareti d’acciaio da  Glasgow e il marmo per statue, scalinate e colonne da Carrara, i 200 lampadari da Murano. La cupola dell’edificio è ricoperta di  36.000 piastrelle di ceramica dipinte con il giallo e verde della bandiera del Brasile. Gli interni, in stile Luigi XV, arrivarono dalla Francia e il pittore italiano Domenico de Angelis si occupò dei pannelli che decorano il soffitto. Il sipario dipinto con il soggetto “Incontro di acque” fu creato a Parigi da Crispim do Amaral.

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Il teatro appare nel film Fitzcarraldo diretto dal regista tedesco Werner Herzog nel 1982. All’inizio della pellicola Brian Sweeney “Fitzcarraldo” Fitzgerald, ossessionato dall’opera, entra nel teatro per ascoltare Caruso nell’Ernani arrivando però solo alla fine dell’opera. Mentre è certo che l’Amazonas fu costruito per attrarre i grandi cantanti, non c’è testimonianza che vi abbia cantato Caruso.teatro2.jpg.CROP.promo-large2

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TEATRO MUNICIPAL

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Teatro Municipal

Rio de Janeiro (1909)

2360 posti

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Durante la seconda metà del XIX secolo, l’attività teatrale nella città di Rio de Janeiro, allora capitale del paese, era molto intensa. Ma la città non possedeva una sala di spettacoli che corrispondesse pienamente alle necessità e che fosse all’altezza della capitale del Brasile. I suoi due teatri, il São Pedro e il Teatro Lírico, erano criticati per le strutture, sia dal pubblico, sia dalle compagnie che vi si esibivano. Dopo la proclamazione della Repubblica Brasiliana (1889), nel 1894 Arthur Azevedo lanciò una campagna per la realizzazione di un nuovo teatro che potesse essere la sede di una compagnia locale. Ma durante quei giorni tumultuosi, la campagna non ebbe l’esito sperato. Venne sì approvata una Legge Municipale che determinava la costruzione del Teatro Municipal, ma questa non fu messa in pratica, nonostante fosse stata applicata una tassa per finanziare l’opera. Il ricavato di questa imposta non fu mai utilizzato per la costruzione del teatro.

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Sarà necessario attendere l’inizio del XX secolo, quando la costruzione del teatro rappresenterà il simbolo del progetto della “Prima Repubblica” per la capitale del Brasile. All’epoca il prefetto Pereira Passos promosse un grande rinnovamento del centro cittadino prevedendo la creazione, a partire dal 1903, della grande Avenida Central (oggi avenida Rio Branco) a somiglianza con i boulevard parigini e fiancheggiata da grandiosi esempi di architettura eclettica. In questo contesto venne indetto un concorso per la costruzione del nuovo teatro, poi vinto da Francisco de Oliveira Passos (figlio del prefetto) che si avvalse della collaborazione del francese Albert Guilbert, su un disegno ispirato all’Opéra National de Paris di Charles Garnier. L’edificio venne iniziato nel 1905 e per decorarlo furono chiamati i più grandi pittori e scultori dell’epoca e scelti artigiani europei per realizzare vetrate e mosaici. Il giorno 14 luglio 1909  il Teatro Municipal di Rio de Janeiro, della capienza di 1.739 spettatori, fu inaugurato dal presidente Nilo Peçanha.

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Nel 1934, il teatro non era più sufficiente di fronte al notevole aumento della popolazione della città, cosicché la capacità della sala fu portata a 2.205 posti. Nonostante la complessità dei lavori di ampliamento, essi furono ultimati in soli tre mesi. Tempo dopo, con alcune modifiche, si portò il numero di posti a 2.361, che è poi rimasta la capienza definitiva. Nel 1975, il teatro rimase chiuso per tre anni per lavori di ristrutturazione e rinnovamento delle attrezzature. Nel 1996 si rese necessaria la costruzione di un edificio ausiliario  per potervi dirottare le prove di orchestra, balletto e compagnie teatrali che, data l’intensa programmazione di eventi durante tutto l’anno, non avevano altrimenti modo e tempo di provare tra uno spettacolo e l’altro. L’interno del teatro è tanto lussuoso quanto la sua facciata, con sculture di Henrique Bernardelli e pitture di Rodolfo Amoedo e Eliseu Visconti, quest’ultimo artefice del maestoso sipario, del fregio sopra il proscenio, del soffitto che sovrasta la platea e delle decorazioni del foyer. La loggia al primo piano è decorata con dipinti su maioliche in stile Art Nouveau.

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Sovrastati dai grattacieli, il Teatro Municipal e il Museu Nacional de Belas Artes testimoniano il passato coloniale della metropoli sudamericana. Nel seminterrato il teatro ospita il ristorante “Assirius” in un incredibile stile assiro-babilonese.

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WAR MEMORIAL OPERA HOUSE

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War Memorial Opera House

San Francisco (1932)

3350 posti

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Nel 1927 a San Francisco furono emessi 4 millioni di dollari in obbligazioni municipali per finanziare il progetto e la costruzione del primo teatro municipale degli Stati Uniti. Gli architetti furono Arthur Brown Jr., che aveva disegnato il City Hall tra il 1912 e il 1916, e G. Albert Lansburgh, un progettista teatrale responsabile dell’Orpheum di San Francisco e dello Shrine Auditorium di Los Angeles. Terminato nel 1932, è uno degli ultimi edifici Beaux-Arts americani e utilizza classiche colonne doriche in una forma sobria e appropriata alla commemorazione dei caduti della Prima Guerra Mondiale.

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L’auditorium è dominato da un enorme lampadario in cristallo e alluminio appeso a un soffitto azzurro ed è decorato da bassorilievi dorati ai lati dell’alto proscenio. Con i suoi 3146 posti a sedere e 200 in piedi è più piccolo del Metropolitan Opera (3800 posti) e della Chicago Civic Opera (3560 posti), ma segue comunque la tendenza dei teatri americani ad avere capacità superiori alle analoghe sale europee.

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Il maestoso ingresso con volta a cassettoni conduce alla sala principale tramite due scalinate. Una grande loggia con colonne binate si affaccia di fronte alla City Hall che è sull’altro lato di Van Ness Ave.

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MARKGRÄFLICHE OPERNHAUS

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Markgräfliche Opernhaus

Bayreuth (1748)

500 posti

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Più che un teatro un luogo di meraviglia, dove lo sguardo si perde tra le sfarzose decorazioni barocche in azzurro e oro. Come ci si può concentrare su quello he avviene in scena in un posto simile? Il Teatro dell’Opera dei Margravi di Bayreuth fu costruito secondo i progetti di Joseph Saint-Pierre (è sua la facciata in stile neoclassico con colonne corinzie), architetto di corte del margravio Friedrich von Brandenburg-Bayreuth e della moglie principessa Wilhelmine di Prussia. Fu inaugurato nel 1748 in occasione del matrimonio della figlia col duca Karl Eugen von Württemberg.

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La principessa Wilhelmine, sorella del re di Prussia Friedrich der Große, aveva fondato una compagnia teatrale nel 1737 e nel nuovo teatro fu non solo direttrice ma anche compositrice (è sua l’opera Argenore) e attrice. Dopo la sua morte nel 1758 l’edificio non fu mai più usato e questo è il motivo del suo eccezionale stato di conservazione.

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L’interno in legno fu progettato dai bolognesi Giuseppe e Carlo Bibiena come recita orgogliosamente l’iscrizione sopra il palco del principe. Il palco fu poco utilizzato dai loro padroni, che preferivano le prime file, ma tutta la sala è stata preservata nelle sue condizioni originali. Solo il sipario non c’è più, trafugato da Napoleone nel 1812. Un secolo e mezzo dopo, la profondità della scena, 27 metri, stimolò l’attenzione di Richard Wagner che nel 1872 scelse Bayreuth come sede per la costruzione di un nuovo teatro per rappresentare le sue opere.

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Caratteristiche sono le scalinate con balaustra che dalla platea salgono al primo piano della balconata e alla loggia reale. Le stesse balaustre incorniciano lo spazio dell’orchestra (qui non c’è il “golfo mistico” vagheggiato da Wagner) e salgono ai palchi di proscenio che ospitavano le fanfare annuncianti l’arrivo dei sovrani nella sala.

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Sono state girate qui alcune scene del film del 1994 Farinelli. Dal 2009 il teatro ospita un Festival Barocco con rappresentazioni di rarità operistiche. Tra il 2012 e il 2018 è stato chiuso per accurati restauri: il governo bavarese ha investito quasi 19 milioni di euro per riportare al massimo splendore questo gioiello che è tra i siti patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

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Foyer between vestibule and loge with access to staircase

STAVOVSKÉ DIVADLO

Estates Theatre

Stavovské Divadlo

Praga (1783)

650 posti

Narodni Divadlo, Estates Theater, Prague

Il Teatro degli Stati di Praga è uno storico teatro d’opera boemo in stile rococò, tra i più antichi d’Europa e costruito sotto l’influsso degli ideali dell’Illuminismo per poter far accedere tutti alla cultura. L’iscrizione sul frontone della facciata recita infatti in latino «Patriæ et Musis» (Alla patria e alle muse). Originariamente il teatro fu dedicato al Conte Nostitz, nobile patrono delle arti, che ne aveva propugnato la costruzione. Inaugurato nel 1783 con la rappresentazione del dramma Emilia Galotti di Lessing, vide le prime di due opere di Mozart: il Don Giovanni il 29 ottobre 1787 e La clemenza di Tito il 6 settembre 1791. L’11 marzo 1796 vi tenne un concerto pianistico Ludwig van Beethoven.

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Nel 1798 il teatro fu acquistato dagli Stati che costituivano la Corona di Boemia e di conseguente cambiò nome in Real Teatro degli Stati. Qui venne rappresentata nel 1826 la prima moderna opera ceca, Dráteník di František Škroup, e nel 1834 vi fu la prima esecuzione della Fidlovačka di Josef Kajetán Tyl, comprendente il brano «Kde domov můj» (Dov’è la mia casa?) che sarebbe poi diventato l’inno nazionale ceco.

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Nel 1948 il teatro fu ribattezzato come Tylovo Divadlo (Teatro Tyl) dal nome del drammaturgo J.K. Tyl, fino al  1990 quando, alla fine di otto anni di restauro, assunse il nome attuale di Teatro degli Stati.

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STÁTNÍ OPERA

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Státní Opera

Praga (1888)

1200 posti

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L’Opera di Stato di Praga fu inaugurata nel 1888 con Die Meistersinger von Nürnberg di Wagner come Neues Deutsches Theater (Nuovo Teatro Tedesco) perché destinato alla comunità di lingua tedesca residente nella città boema, che allora faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico. Il progetto fu realizzato dalla ditta viennese Fellner & Helmer con l’architetto Karl Hasenauer, lo stesso del Burgtheater di Vienna, e dal praghese Alfons Wertmüller.

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Il grande e complesso auditorium, sovrastato da uno scintillante lampadario d’oro con il sipario di velluto rosso e le magnifiche decorazioni neo-rococò, ha visto sfilare i più grandi  musicisti che hanno fatto la storia della musica mondiale quali Gustav Mahler, Alexander Zemlinsky, Georg Széll, Richard Strauss.

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Durante l’occupazione nazista il teatro, ribattezzato Deutsches Opernhaus (Teatro d’Opera Tedesco), fu utilizzato anche per i raduni e le feste del Reich. Da 1949 al 1989 cambiò nuovamente nome diventando Teatro Smetana per poi assumere definitivamente quello attuale di Opera di Stato. In opposizione al Teatro Nazionale, il repertorio dell’Opera di Stato propone per la maggior parte opere tedesche e italiane.

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NÁRODNÍ DIVADLO

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Národní Divadlo

Praga (1881)

986 posti

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Il Teatro Nazionale di Praga è il più famoso teatro d’opera boemo ed è considerato monumento nazionale della Repubblica Ceca. Espressione dell’identità e dell’indipendenza del suo popolo e patrimonio storico e culturale ceco, è simbolo di una ricca tradizione artistica e musicale sostenuta da sempre dalle più importanti personalità della società boema. Il progetto fu proposto fin dall’inizio del Risorgimento e cominciò ad essere avviato verso la seconda metà dell’Ottocento quando il Comitato per la costruzione del Teatro Nazionale organizzò le prime raccolte di fondi. Il 16 maggio 1868 fu posta la prima pietra della struttura e la fabbrica fu affidata all’architetto Josef von Zítek. Il teatro, quasi terminato, fu aperto 11 giugno 1881 per onorare la visita del principe Rodolfo d’Austria. Richiuso per permettere il completamento prese però fuoco e l’incendio distrusse il tetto. In poco più di un mese i cittadini di Praga raccolsero un milione di corone d’oro per la sua ricostruzione e, dopo altri due anni, la “cupola d’oro” fu riparata secondo i progetti di un nuovo architetto, Josef Schulz, potendo così riaprire al pubblico il 18 novembre 1883 con l’opera Libuše di Bedřich Smetana.

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I piani originali del progetto prevedevano una sala per 2500 posti ridotti quasi subito a 1800. Dopo l’incendio il numero fu ridotto a 1380, ma i restauri avvenuti tra il 1977 e il  1983 hanno limitato ulteriormente la sua capacità a 986 posti. L’edificio potè riaprire nel centenario della sua inaugurazione il 18 November 1983, ancora una volta con una rappresentazione della Libuše.

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L’iscrizione sul proscenio recita NÁROD SOBĚ (La nazione a sé stessa), il motto che sintetizza la missione dell’istituzione. Oggi il Teatro Nazionale di Praga consta di tre complessi artistici – opera, balletto e teatro di prosa – che alternano le loro esibizioni nello storico edificio del Národní Divadlo, all’Opera degli Stati (Stavovské Divadlo), al Hudební Divadlo Karlín, al Nová Scéna e all’Opera di Stato (Státní Opera).

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La vista sulla Moldava e Malá Strana dalla terrazza del foyer del teatro.

 

L’Africaine

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★★★★☆

«Qu’elle est blanche!»

L’Africana: titolo quanto mai fuorviante, giacché la protagonista è indiana. L’incongruenza con la vicenda deriva dal susseguirsi di interventi sul libretto originario, che prevedeva che la vicenda fosse ambientata nella Spagna di Filippo III e incentrata su uno sconosciuto navigatore spagnolo diretto nelle Americhe il quale avrebbe fatto naufragio sulle coste africane. I successivi rimaneggiamenti dovuti alla morte del librettista finirono col far perdere la coerenza fra titolo e trama.

Già nel 1837 Meyerbeer aveva firmato un contratto con Eugène Scribe per la composizione di un Vasco da Gama, ma il compositore preferì dedicarsi alla lavorazione del suo Prophète e il progetto languì. Ripreso alla fine del ’41 fu continuamente elaborato fino al ’45 e momentaneamente archiviato. Meyerbeer ritorna all’opera solo negli ultimi anni di vita. Nel ’63 termina la strumentazione, ma l’anno dopo il musicista muore e la partitura viene completata da François-Joseph Fétis ed è nella sua versione che L’Africaine debutta il 28 aprile 1865 all’Opéra. Le vicissitudini dell’opera sono state ampiamente descritte da Tommaso Sabbatini sul programma di sala della ripresa alla Fenice nel 2013.

Atto I. L’azione si svolge agli inizi del XVI secolo. A Lisbona si svolge un Consiglio della Corona, composto dall’ammiraglio Don Diégo, dal nobiluomo Don Alvar, dal grande Inquisitore, da vescovi e nobili e presieduto dal potente Don Pédro. L’argomento è la conquista di nuove terre oltremare al regno del Portogallo, secondo i desideri del re stesso. Incombe sul consiglio la sfortunata spedizione verso il Capo delle Tempeste (divenuto poi Capo di Buona Speranza) diretta dall’ammiraglio Bartolomeu Dias, scomparso con tutti i componenti della spedizione in un naufragio. Inaspettatamente, si apprende che la sfortunata spedizione ha avuto un superstite in Vasco da Gama, del quale è innamorata Inès, figlia dell’ammiraglio Don Diégo, che lo aveva creduto morto. Vasco viene introdotto al consiglio e perora caldamente l’invio di una seconda spedizione, magnificando le possibilità di conquista di terre favolose e a riprova delle sue affermazioni, presenta due schiavi catturati durante la spedizione del Dias e scampati anch’essi alla cattiva sorte: Sélika, regina di una popolazione indigena ed il suo servo Nélusko. Ma il consiglio respinge le proposte del da Gama che attacca per questo il Grande Inquisitore e viene fatto imprigionare con i suoi due schiavi.
Atto II. In prigione Sélika, che si è innamorata di Vasco, si offre, in cambio del suo amore, di condurre il navigatore alle terre agognate, delle quali è regina. Tutto ciò con gran scorno di Nélusko, innamorato di lei, che medita vendetta. Ne ha l’occasione allorché Inès ottiene la scarcerazione di Vasco, il quale dimentica l’indigena per la sua antica fiamma che però l’ammiraglio Don Diégo ha promesso in sposa al potente Don Pédro il quale, impossessatosi delle carte nautiche del da Gama, ha armato un veliero con lo scopo di doppiare per primo il Capo delle Tempeste e conquistarsi così la gloria.
Atto III. Siamo nei pressi del Capo delle Tempeste. Sul veliero sono imbarcati anche Inès, Sélika e il vendicativo Nélusko che, all’approssimarsi della grande prova, prega il dio del mare affinché faccia affondare l’imbarcazione. Don Pédro e Nélusko restano tuttavia entrambi delusi al comparire di un altro veliero portoghese, comandato da Vasco da Gama che ha già doppiato il capo e che giunge a offrir loro aiuto. Don Pédro ordina ai suoi di eliminare l’intruso, ma interviene Sélika in sua difesa minacciando di uccidere Inès: Vasco ha salva la vita ma Sélika viene condannata a morte. Buon per lei che sopraggiunga un’orda di indiani, i quali attaccano i portoghesi e li massacrano, riconoscendo poi in Sélika la loro regina.
Atto IV. Durante le celebrazioni di festa per il ritorno della regina (finalmente i balletti!), gli indiani scoprono che un portoghese è scampato al massacro dell’equipaggio: Vasco da Gama. Per salvarlo Sélika dichiara che egli è suo sposo, invitando Nélusko a testimoniare la veridicità della sua affermazione: il povero servo, combattuto fra amore e gelosia finisce con l’assecondare la sua regina. Finalmente salvo, Vasco giura eterno amore a Sélika.
Atto V. Ma Inès era sfuggita al massacro e da un drammatico colloquio con Sélika, quest’ultima si rende conto che non può opporsi all’amore dei due portoghesi e quindi ordina che vengano imbarcati entrambi affinché possano tornare in patria. Affacciatasi ad un promontorio, la sfortunata Sélika osserva l’amato andarsene definitivamente, quindi si toglie la vita annusando profondamente i fiori di un albero velenoso locale.

Nel 1988 al War Memorial Opera House di San Francisco viene registrata questa storica ed unica edizione in DVD dell’opera. Interpreti straordinari danno vita ai personaggi. Sélika è una sontuosissima e spettacolare Shirley Verret: timbro limpido, fraseggio duttilissimo e pieno di colori, presenza affascinante. L’amato Vasco è un Plácido Domingo insuperabile in questa parte che sembra sia stata scritta per lui. Entrambi avevano già debuttato nei ruoli nello stesso teatro nel 1972.

Ruth Ann Swenson, dal timbro luminoso e dalla grande agilità vocale, delinea una Inès di riferimento. Con qualche problema di intonazione, Justino Díaz riesce però a dare carattere al suo Nélusko, forse il personaggio più riuscito de L’Africaine. Pregevole la direzione di Maurizio Arena.

Messa in scena tradizionale e coerente di Lofti Mansouri, ma il palcoscenico del teatro di San Francisco si dimostra troppo piccolo per la vicenda, in cui una folla di personaggi si accalca in pochi metri quadrati.

I costumi sono al di fuori di qualunque logica: va bene che grand opéra oblige, ma Inès sfoggia incongrui abiti vittoriani e Sélika, che è stata in balia di un tifone su un «canot fragile» prima di essere catturata come schiava, è agghindata da subito come un’imperatrice e così si perde l’effetto di quando si presenta da regina durante le celebrazioni per il suo ritorno in patria.

Immagine in 4:3 ripresa da Brian Large con la solita professionalità, ma l’illuminazione non è l’ideale per le telecamere di allora. Una sola traccia stereo e sottotitoli anche in italiano.

OPÉRA DE MONTE-CARLO

 

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Opéra de Monte-Carlo

Principato di Monaco (1879)

524 posti

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Con la mancanza di intrattenimenti culturali disponibili a Monaco nel 1870, il principe Carlo III, insieme con la Société des Bains de Mer, decise di includere una sala da concerto come parte del casinò. L’ingresso principale al pubblico della sala era dal casinò, mentre l’ingresso indipendente per Carlo III era sul lato occidentale. Venne completata in otto mesi, sotto la direzione dell’architetto Charles Garnier, che aveva progettato l’Opéra a Parigi. La nuova Salle Garnier ne era una copia in miniatura. La sua capienza era di soli 524 spettatori e come il teatro da cui venne copiata, era in stile Belle Epoque. Venne inaugurata il 25 gennaio 1879 con una recita di Sarah Bernhardt. La prima opera ad essere rappresentata fu Le Chevalier Gaston di Robert Planquette, l’8 febbraio 1879.

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Anche se l’Opéra di Monte Carlo non era originariamente prevista per l’opera, il teatro fu presto utilizzato spesso per questo scopo ed è stato ristrutturato nel 1898-99 da Henri Schmit, soprattutto nella zona del palco, per renderlo più adatto alla lirica. Raoul Gunsbourg ne rimase alla guida per sessant’anni, mettendo in scena delle prime come Lohengrin in francese e Samson et Dalila nel 1892 e la prima rappresentazione scenica di La damnation de Faust di Hector Berlioz. Dai primi anni del XX secolo, la Salle Garnier ospitò celebrità come Nellie Melba ed Enrico Caruso in La bohème e Rigoletto (nel 1902), la prima di Chérubin di Jules Massenet con Mary Garden e Lina Cavalieri nel 1905, la prima di Thérèse di Massenet nel 1907, Feodor Chaliapin nella prima di Don Quichotte di Massenet (1910) e la prima di Roma di Massenet nel 1912. Questa produzione costituì l’inizio di una collaborazione duratura fra Massenet e il teatro monegasco. Due delle opere di Massenet vennero poi rappresentate postume in prima assoluta alla Salle Garnier: Cléopâtre nel 1914 ed Amadis nel 1922.

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Oltre a Massenet, fra i compositori che videro rappresentate delle prime assolute a Monte Carlo si ricordano Saint-Saëns (Hélène con la Melba, 1904); Mascagni (Amica con la Farrar, 1905), L’Ancêtre di Saint-Saëns nel 1907, Déjanire di Saint-Saëns nel 1911, Pénélope di Fauré nel 1913, Puccini con La rondine (Tito Schipa e Francesco Dominici, 1917), L’Enfant et les sortilèges di Ravel diretta da Victor de Sabata nel 1925 e L’Aiglon di Arthur Honegger e Jacques Ibert. Dalla sua inaugurazione il teatro ha ospitato 45 prime rappresentazioni di opere. L’età d’oro della Salle Garnier ora è passata, dal momento che le imprese con piccole sale non sono più in grado di montare produzioni molto costose, tuttavia presenta ancora una stagione con cinque o sei opere.

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