Animal Farm

Aleksandr Raskatov, Animal Farm

Amsterdam, Muziektheater, 3 marzo 2023

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«Tutti gli animali sono simili. Alcuni di più»

In Cina è stato recentemente costruito un grattacielo di 26 piani che ospita il più grande allevamento intensivo al mondo di suini. A temperatura e atmosfera controllata, costantemente monitorati da telecamere e alimentati automaticamente, il loro ciclo va dall’ingravidamento delle scrofe alla nascita dei cuccioli, dall’ingrasso all’insaccamento…

Chissà cosa succederebbe lì in quella “fattoria” di un milione di capi se avvenisse la rivolta immaginata da George Orwell nel suo Animal Farm! Il testo uscito nel 1945 è una spietata satira della Rivoluzione Russa terminata nelle purghe staliniane: ecco infatti il vecchio maiale sognatore Old Major come Carl Marx; il secondo maiale Snowball è Trockij; l’altro maiale Napoleon è Stalin; il maialino Squealer è Berija, il capo della polizia segreta; l’instancabile cavallo Boxer è Stakhanov; l’altro maiale Minimus, il poeta, è Gor’kij. E poi ancora: la giumenta Mollie, che pensa solo ai nastri colorati, è l’aristocrazia; il corvo Blacky che promette il paradiso parlando della Montagna dello zucchero filato è ovviamente la chiesa russa e non manca neppure Orwell medesimo, l’intellettuale scettico, nella parte dell’asino Benjamin.

Nell’adattamento di Aleksandr Raskatov la storia diventa ancor più metafora di tutte le rivoluzioni umane e della loro involuzione, anche se il libretto, scritto assieme a Ian Burton, resta comunque fedele alla vicenda originale. Curiosamente, un altro elemento rende ancora più attuale l’operazione: George Orwell aveva scritto un’introduzione a Animal Farm, riportata sul programma di sala, in cui alla fine sottolineava l’amarezza del finale, per l’edizione ucraina!

Atto I. Scena 1. Il sogno di Old Major. L’incuria del contadino Jones nella sua fattoria porta a una ribellione degli animali. Essi traggono ispirazione dal sogno dell’anziano maiale, Old Major, di una vita migliore e libera dall’oppressione degli umani. Scena 2. Improvvisa rivoluzione. Gli umani vengono allora cacciati dalla fattoria e gli animali liberati ribattezzano il luogo Fattoria degli animali. Scena 3. I Sette Comandamenti. Sono guidati da sette comandamenti, concepiti per garantire che gli animali vivano alla pari e rifiutino le abitudini degli umani: I Chi cammina con due gambe è il nemico; II Chi cammina con quattro gambe è amico; III nessun animale userà i vestiti; IV nessun animale dormirà in un letto; V nessun animale berrà alcolici; VI nessun animale ucciderà un altro animale; VII nessun animale farà commerci. Scena 4. La contro-invasione. Un tentativo degli umani di riprendere la situazione è respinto con molte perdite. Scena 5. La diserzione di Mollie. Il sogno di Snowball. Fuga.Tuttavia, quando i compiti vengono divisi, diventa presto chiaro che i maiali si sono auto-nominati leader tra i quali le tensioni presto si fanno evidenti. In particolare, il piano di Palla di Neve di costruire un mulino a vento scatena un conflitto tra lui e l’altro maiale, Napoleone, che convince i maiali a schierarsi con lui e a cacciare Palla di Neve dalla fattoria, dopodiché Napoleone fa costruire il mulino a vento come se fosse sempre stata una sua idea. Il regime dei maiali guidati da Napoleone diventa sempre più oppressivo, continuando a modificare i Sette Comandamenti per mascherare i loro abusi del sistema. Scena 6. Mulino a vento. Tempesta. Rovine. Quando il mulino a vento viene colpito da un fulmine, i maiali affermano che Palla di Neve ne è responsabile e deve essere punito.
Atto II. Scena 7. Tre esecuzioni. Anche i “traditori” devono subire un processo: molti animali confessano crimini bizzarri e vengono giustiziati. Scena 8. La ricostruzione del mulino a vento. Seconda invasione. Risveglio. Dopo la ricostruzione del mulino a vento, Napoleone si lascia venerare come un grande leader. La vita nella Fattoria degli Animali è ora dura e spaventosa come prima della ribellione, ma i maiali fanno del loro meglio per comunicare agli altri animali che la loro situazione è migliorata. Un attacco da parte di Pilkington, un contadino vicino, viene fermato con successo, ma molte vite vengono perse. Scena 9. Il collasso di Boxer. Una festa si trasforma in dissolutezze tra i maiali e quando il vecchio ed esausto cavallo da tiro Boxer crolla, i maiali promettono di portarlo dal veterinario, ma gli altri animali sanno che mentono e lo stanno portando al macello, ma si sentono impotenti ad agire. Epilogo. I Sette Comandamenti sono diventati inutili e l’uguaglianza è un sogno lontano nella Fattoria degli Animali.

Russo di origini ebraiche, Aleksandr Raskatov è nato il 9 marzo 1953, il giorno dei funerali di Stalin. Nel ’94 si è trasferito in Germania e in seguito in Francia, ma gran parte della sua vita fino a quel momento era stata influenzata dallo stalinismo: il nonno aveva vissuto in un Gulag e il padre aveva dovuto lasciare la professione di medico in quanto ebreo. La precedente opera di Raskatov, Cuore di cane, anche quella una grottesca satira della società sovietica per la penna di Mikhail Bulgakov, ha avuto la prima qui all’Opera Nazionale Olandese nel 2010 ed è stata quella l’occasione per la commissione di un nuovo lavoro da parte del regista Damiano Michieletto. Dopo Il pozzo e il pendolo (1991) da Edgar Allan Poe, Animal Farm è dunque la sua terza opera in un catalogo piuttosto ricco che comprende musica da camera, vocale e sinfonica.

Nella stesura del libretto con Ian Burton, il compositore ha messo in bocca agli animali molte citazioni letterali che Orwell non poteva conoscere in quel tempo: «Finché respirerò lotterò per il nostro futuro» di Trockij; «Perché hai bisogno della mia morte?», le ultime parole di Bukharin a Stalin; lo spietato «Grida oppure no. Tanto non conta nulla» di Berija; il cinico «Se c’è una persona, c’è un problema. Se non c’è nessuna persona, non c’è nessun problema» di Stalin. Il testo è pieno di arguzie e la lingua inglese gioca a fare i versi degli animali. Meno oratoriale dell’originale, il libretto di Burton e Raskatov affida alla vivacità dei dialoghi i pensieri di Orwell, formando uno strumento perfettamente modellato sulla musica del compositore russo che è energica e stravagante: ci si ritrovano i ritmi sghembi di Prokof’ev o quelli ostinati di Šostakovič ma anche certo minimalismo americano, è presente il folclore russo e il jazz, il belcanto e il musical, tutto ricreato con un’orchestrazione sapientissima che incorpora con felice necessità tecniche dell’avanguardia nell’uso degli strumenti – glissandi, colpi sulla cassa o inediti usi degli archetti e della percussione.

Oltre agli archi, ai legni (due flauti, due oboi, tre clarinetti, due fagotti) e agli ottoni (quattro corni, tre trombe, quattro tromboni e basso tuba) l’orchestra di Animal Farm prevede timpani, sei percussionisti, due arpe, celesta, pianoforte, due sassofoni, chitarra elettrica e basso, cimbalom. Purtuttavia mantiene sempre una certa trasparenza: raramente gli strumenti suonano tutti assieme e la loro varietà serve a passare da uno stile all’altro con sorprendente fluidità fino ad arrivare a momenti di impagabile straniamento quale il numero di Pigetta, la giovane attrice irretita da Squealer, abbigliata come l’“atomica”, Rita Hayworth: «You are so beautiful, Pigetta! Your tail is so curly! Your snout so pink! Your udder is so sexy!» (Sei così bella, Pigetta! La tua coda è così arricciata! Il tuo muso è così rosa! Le tue mammelle sono così sexy!) e poi da lui ammazzata, «It is not a bouquet! It’s a wreath! May it rot on your grave!» (Non è un bouquet! E’ una corona di fiori! Che possa marcire sulla tua tomba!) e sono ancora parole dette da Berija. Sempre molto originale e pieno di risonanze particolari il trattamento degli archi, che sono il vero centro sonoro della sua composizione.

Le tecniche vocali poi sono di una ricchezza inusuale e con una gamma che va dal registro basso e solenne di Old Maijor, da pope ortodosso, ai suoni perforanti di Squealer, alle colorature stratosferiche di Mollie. Il risultato è un’opera musicalmente godibilissima che sorprende per la varietà dei colori e degli stili. Il tutto riceve un impulso fondamentale dalla messa in scena di Michieletto, che si adatta perfettamente al tono della vicenda: l’ambientazione atemporale è quella di un asettico mattatoio dalle pareti di marmo bianco e dalle fredde luci al neon – Paolo Fantin dice di essersi ispirato a quello di Roma – con gabbie di ferro che racchiudono il “nostro cibo”. Michieletto qui forse si ricorda del suo allestimento de Il dissoluto punito, il Don Giovanni Tenorio di Ramón Carnicer i Batlle ambientato in una macelleria, presentato a La Coruña nel 2006. Qui i personaggi vestono maschere di animali che poi a poco a poco abbandonano per diventare sempre più simili agli uomini, con tutti i loro vizi. Anche i comandamenti scritti a vernice rossa sui muri vengono a mano a mano  modificati con vernice nera. Le gabbie spariscono e lasciano posto nel finale a divani di velluto e a lampadari di cristallo quando la trasformazione degli animali negli umani tanto odiati è definitivamente completa.

L’evoluzione della psicologia dei personaggi è particolarmente curata nella regia di Michieletto e ci scopriamo partecipare per questo o quello: molto sofferta è la parabola di Boxer, il cavallo da tiro che dopo essere stato sfruttato prima dal padrone e poi dalla rivoluzione alla fine è buono soltanto come carne da macello. Particolarmente pungente è il personaggio di Squealer, manutengolo del tiranno, e sordido erotomane e candidamente disarmante quella di Mollie, la giumenta che si liscia in continuazione i capelli, pardon la criniera, adorna di nastri colorati. Perfetti sono i costumi di Klaus Bruns e sempre efficaci le luci di Alessandro Carletti.

Oltre alla superba performance dell’Orchestra da camera olandese diretta con competenza ed entusiasmo dal giovane Bassem Akiki e del coro del teatro affiancato dal coro di voci bianche, tutti i solisti formano un insieme omogeneo e di grande efficacia. Ecco, doverosamente, tutti i loro nomi: lo strepitoso soprano coloratura Holly Flack (la giumenta Mollie); il tenore e all’occorrenza sopranista Karl Laquit (la maialina Pigetta e l’asino Benjamin); il soprano Elena Vassilieva (il corvo Blacky); l’intenso mezzosoprano Maya Gour (la capra Muriel); il soprano Francis van Broekhuizen (Ms Jones); il contralto Helena Rasker (la giumenta Clover); il controtenore Artem Krutko (il maiale Minimus); il bravissimo tenore James Kryshack (il maialino Squealer); il tenore Michael Gniffe (il maiale Snowball); il tenore Marcel Beekman (il trucido Mr Jones); Germán Olvera (il cavallo Boxer); il baritono Misha Kiria (il maiale Napoleon); il basso Gennadij Bezzubenkov (il maiale Old Major); il basso-baritono Frederik Bergman (il viscido Mr Pikington); i bassi-baritono Alexander de Jong e Joris van Baar (uomini di Jones); il basso Mark Kurmanbayev e il baritono Michiel Nonhebel (uomini di Pilkington).

Successo pieno e tutto il pubblico in piedi per i saluti finali con punte di entusiasmo per l’autore. Questo succede in Olanda: un’opera contemporanea che fa il tutto esaurito, per sei recite. Lo spettacolo si potrà vedere in Italia l’anno prossimo a Palermo in quanto prodotto assieme al Teatro Massimo, alla Wiener Staatsoper e all’Opera Nazionale Finlandese.