
★★★★☆
Don Giovanni à la Rossini in salsa zarzuela
Con lo stesso sottotitolo della commedia in versi di Goldoni (1735), su un libretto di anonimo (forse il compositore stesso) collage di quello del Bertati che era servito al Gazzaniga, e di quello di Da Ponte, il catalano Ramón Carnicer i Batlle (1789-1855) scrive nel 1822 la sua terza opera, il dramma semiserio Il dissoluto punito ossia Don Giovanni Tenorio, non timoroso di confrontarsi, trentacinque anni dopo, col capolavoro mozartiano. Crudele nemesi, ora il compositore è conosciuto al più per aver scritto l’inno nazionale cileno…
Nel 1822 il Don Giovanni di Mozart non era ancora stato presentato al pubblico spagnolo, ma era ben noto al compositore: temi mozartiani e ritmi e stilemi prettamente rossiniani si mescolano a un certo colore iberico. Nella lunga e brillante ouverture e nel primo coro ascoltiamo infatti il tema del Commendatore («Don Giovanni! a cenar teco»), ma anche di Figaro («Non più andrai farfallone amoroso») immersi in una pimpante orchestrazione di legni saltellanti e crescendi irresistibili. Seguiranno otto numeri musicali nel primo atto e sei nel secondo.
Presentato nel giugno 2006 al Teatro Rosalía de Castro per il Festival Mozart de La Coruña e con la presenza sul podio del rossiniano Alberto Zedda, lo spettacolo si avvale di una geniale messa in scena di Damiano Michieletto con la scenografia di Edoardo Sanchi e i costumi in lucida pelle di Carla Teti, un bianco e nero che poi vira al rosso.
In una asettica cucina da ristorante igienicamente piastrellata, un coro di cuochi sta preparando la cena per il padrone che non si fa vedere per dare ordini («Son quattr’ore che siam qua»). Don Giovanni si sta intrattenendo con una fanciulla, racconta Leporello che intanto raccoglie indumenti intimi femminili sparsi sul pavimento. Esce infatti fuori correndo una ragazza nuda, seguita da Don Giovanni il quale dichiara la sua filosofia: «Perdonate ma le donne vanno prima | senza lor non si può star». I suoi couplet inframmezzati dal coro e da Leporello formano una scena che più rossiniana non potrebbe essere. Così pure il recitativo e aria di Donna Anna in abito di sposa per il suo prossimo matrimonio con Don Ottavio, un cafone baffuto che si pulisce la bocca col velo della promessa.
Come si vede il taglio drammaturgico è diverso da quello di Bertati e Da Ponte: là l’uccisione del padre di Donna Anna stabilisce da subito una tensione drammatica che qui invece è del tutto assente. Il Commendatore ha una nobile aria («Oh tu d’estremo appoggio sarai agli anni miei») con cui augura felicità alla figlia, mentre un minaccioso macellaio, Don Giovanni camuffato, nel frattempo affila coltelli e mannaia. Un coro festoso porta in scena la torta a cinque piani e mentre Don Giovanni fa le sue avance con la sposa compare Donna Elvira a rovinare la festa, anche lei in veste da sposa. Qui il libretto segue fedelmente il testo di Da Ponte per l’analoga scena in cui Donna Elvira è definita pazza da Don Giovanni, ma il concertato è un ricalco dei tanti di Rossini. Segue l’“aria del catalogo” di Leporello tirato fuori da un cassetto della cucina. Il testo è ancora quello di Da Ponte e fin qui l’opera di Carnicer si conferma come un divertito pastiche mozart-rossiniano.
E arriviamo così alla scena drammatica: Don Giovanni rapisce Donna Anna, che si lamenta con sfoggio di vocalizzi e acuti fino all’arrivo del padre («Così pretendi da me fuggir?», «Misero attendi se vuoi morir!») e con la uccisione del Commendatore si conclude il primo atto.
A inizio del secondo atto Don Giovanni si esibisce in una serie di agilità pregustando i piaceri del «vago mio desir». Subito dopo con Donna Anna in gramaglie entriamo nella sala mortuaria dov’è la cassa funebre in acciaio del commendatore, ma poco più in là un portavivande su rotelle della stessa dimensione riafferma ironicamente l’originale ambientazione del regista: il fantasma del Commendatore è anche lui un cuoco. Dopo l’aria di Don Ottavio, anche qui personaggio fatuo e inconcludente, la cena di Don Giovanni è un’orgetta con tre signorine in rosso e il «barbaro appetito» è quello sessuale (la carne qui è anche quella dei quarti di bue appesi sullo sfondo). «L’uom di sasso, l’uomo bianco» è qui accompagnato da cuochi in nero armati di coltelli trincianti con cui far scempio del dissoluto, finalmente punito.
Eliminati gli sposi popolani (Maturina e Biagio in Bertati, Zerlina e Masetto in Da Ponte) il solo personaggio comico è quello di Leporello, anche qui baritono, mentre Don Giovanni come in Gazzaniga è tenore, un Dmitrij Korčak dalle butirrose nudità che mette qui in luce le sue abilità belcantistiche. Grande e irto di colorature il ruolo di Donna Anna affidato a una brillante Annamaria dell’Oste. I comprimari sono adeguati e in buca c’è il direttore giusto per questa impresa. Coro di cantanti-attori scenicamente spigliati ma vocalmente deplorevoli.
Un’opera che è tutt’altro che un capolavoro ma curiosa e il DVD vale il suo prezzo per la messa in scena di Michieletto.
⸪