Alberto Girri

Beatrix Cenci

Alberto Ginastera, Beatrix Cenci

★★☆☆☆

Buenos Aires, Teatro Colón, 18 marzo 2016

(registrazione video)

Lascia freddi il terzo affresco storico del compositore argentino

Come si è già scritto, molti sono i lavori letterari, teatrali, musicali che hanno avuto come oggetto la vicenda di Beatrice Cenci. Ci arriva anche Alberto Ginastera con la sua opera in due atti e quattordici scene su libretto di William Shand and Alberto Girri tratto da The Cenci di Shelley e da Les Cenci di Stendhal.

Il conte Francesco Cenci, uomo potente e ‘padre padrone’, tiene segregate nel suo palazzo-fortezza di Petrella, custodito da cani feroci, la moglie Lucrecia e la figlia Beatrix. Nella sua paranoica crudeltà, lascia sgomenti gli ospiti festeggiando con un banchetto fastoso la notizia della contemporanea morte del primogenito e di un altro figlio a Salamanca. Beatrix ha il presentimento che la follia del padre superi ormai ogni limite lecito e cerca di far pervenire tramite Orsino, un suo precedente innamorato, un messaggio di aiuto al papa. Ma questi, temendo Cenci, straccia la missiva senza nemmeno aprirla. Nella notte la lussuria di Cenci si sfoga, com’era prevedibile, sulla figlia. L’odio tiene in vita Beatrix, che decide di farsi strumento della morte del padre. D’accordo con la madre e il fratello Giacomo, assolda due sicari, che uccidono il padre-orco nel sonno. La rovina si abbatte sulla casata dei Cenci. Le guardie, saputo dagli assassini come sono andate le cose, arrestano Beatrix. Condannata a morte, la giovane supplica invano di essere risparmiata, così da non dover incontrare all’inferno l’orrendo genitore.

La prima fu diretta da Julius Rudel il 10 settembre 1971 in occasione dell’apertura del John F. Kennedy Memorial Center for the Performing Arts di Washington. In Europa è arrivato solo nel settembre 2000 a Ginevra. La stagione 2016 del Teatro Colón di Buenos Aires si apre con questo omaggio al massimo compositore argentino nel centenario della sua nascita. Si tratta anche della terza e ultima delle opere completate da Alberto Ginastera dopo Don Rodrigo (1964) e Bomarzo (1967).

In questo lavoro Ginastera porta alle estreme conseguenze la sua ricerca atonale e seriale con un’orchestra livida percorsa da fasce sonore mentre la vocalità tende verso l’urlo e il parlato quando lascia un declamato piuttosto monotono che solo nel personaggio di Beatrice trova qualche varietà.

L’opera inizia con un coro che introduce con cinismo quello che vedremo: «lo que contemplarás es la vida de un hombre cuyo malvado ejemplo lo convertirá en un precursor de tiempos futuros» e subito dopo dimostra di non aver pietà neanche per noi spettatori: «No somos inocentes. También nosotros sentimos la fascinación que el poder ejerce sobre los que viven para ser sometidos».

La messa in scena di Alejandro Tantanián sembra volere tener conto della lettura che fece della vicenda Antonin Artaud nel 1935 nella sua pièce Les Cenci che preludeva al suo “théâtre de la cruauté”. Il testo di Artaud è infatti citato dal regista all’inizio del suo spettacolo. Tre sono le scene in cui Artaud concentra la sua attenzione: quella del banchetto, dell’assassinio e della tortura, con l’incesto al centro della tragedia. «La scena del banchetto è una scena carica di tensione; l’attenzione è concentrata sul personaggio del Conte, che decide di organizzare un banchetto per festeggiare qualcosa che tiene segreto. La tensione cresce sempre più fino ad arrivare al suo acme quando egli rivela finalmente il motivo della sua gioia: i suoi figli ribelli sono morti. L’affermazione suscita meraviglia e disgusto, incredulità e paura allo stesso tempo, eppure nessuno osa contrastare il Conte oppure opporsi a lui. La scena dell’assassinio si presenta terrificante fin dall’inizio. Artaud fa scegliere ad Orsino due assassini muti, che devono uccidere il Conte durante il viaggio da Roma a Rocca della Petrella. Questa scelta permette all’autore di rinnovare la tecnica dell’assassinio in teatro: le scene violente non vanno più espresse a parole ma semplicemente rappresentate, perché da sole riescono ad esprimere tutta la drammaticità che devono trasmettere. La scena prosegue mostrando Beatrice con i due assassini, avvolti in impenetrabili mantelli, da cui il pubblico riesce a scorgere solo le mani. Esitano ed è solo la fermezza della ragazza a spingerli al delitto. La scena termina con la fuga degli assassini e l’apparizione del Conte Cenci, una mano sull’occhio destro in cui è stato conficcato il chiodo per ucciderlo; la tensione della scena è sottolineata dalla fanfara, la cui intensità cresce man mano che il sipario cala. La scena della tortura, infine, mostra Beatrice appesa alla ruota per i capelli, le braccia torte all’indietro da una guardia. Suoni tipici di chiavi e chiavistelli e di urla di prigionieri fanno da sottofondo. Beatrice è angosciata da ciò che le accadrà dopo la morte, la cosa che teme di più: incontrare di nuovo suo padre. È qui che il Teatro della Crudeltà, inteso come modo di rappresentare la “cruda realtà”, fa il suo ingresso a pieno titolo: la Beatrice di Artaud, a differenza di quella di Shelley, è una ragazza fragile, quasi isterica, come dovrebbe essere effettivamente dopo aver compiuto un simile gesto». (Gioia Nasti)

Queste tre scene sono anche i momenti più drammatici dell’opera di Ginastera qui però resi con un’esuberanza di mezzi e un tono tra il camp e il kitsch: la festa, l’unico momento in cui sentiamo motivi tonali nelle danze, è una esibizione di scene orgiastiche con profusione di nudi soprattutto maschili e di personaggi mascherati. L’affollamento di personaggi svestiti o nelle fogge più surreali non supporta la vicenda che si svolge con un testo verboso e inconcludente. Oltre a diversi alter ego rimane totalmente incomprensibile la presenza di un bambino che si presenta con nome e cognome all’inizio e che vedremo fino al finale. La scena unica rappresenta il tribunale di Buenos Aires con un’enorme statua della giustizia, dove una strana teca di cristallo a forma di solido stellato rappresenta la macchina della tortura che qui però non viene neppure accennata, diversamente a quanto avviene in Artaud.

La concertazione di Guillermo Scarabino, profondo conoscitore dell’opera di Ginastera, è inappuntabile e in scena validi interpreti non sembrano intimoriti dalle fragorose ondate sonore provenienti dalla buca orchestrale. Ecco i loro nomi: Mónica Ferracani (Beatrice), Alejandra Malvino (Lucrezia), Gustavo López (Orsino) e Florencia Machado (Bernardo). Piuttosto sbiadito attorialmente il personaggio del Conte.

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