★★★☆☆
Goldoni torna giù
Commissionato dal Teatro la Fenice per i trecento anni (1707-2007) della nascita dell’illustre concittadino, il Signor Goldoni, su testo scritto in inglese da Gianluigi Melega, è un dramma giocoso in due atti musicato da Luca Mosca. Le recite del 25 e 27 settembre 2007 al Teatro La Fenice sono registrate e commercializzate su DVD della Dynamic.
Questa è una delle sue undici composizioni teatrali e la seconda su testo di Meliga. Milanese del 1957 e diplomato in composizione al Conservatorio di Milano con Donatoni e Sciarrino, Mosca è tra i compositori italiani che hanno maggiormente utilizzato la pratica postmoderna della contaminazione linguistica. La sua è una musica di raffinata ricchezza timbrica, come risulta evidente da questo lavoro veneziano dove alla folta orchestra in buca si affianca sulla scena un quintetto di strumenti a pizzico.
Prologo. Nella nebbia dei Campi Elisi, l’arcangelo Raffaele, così come è effigiato sulla facciata della chiesa dell’Anzolo Rafael a Venezia, annuncia a Carlo Goldoni che gli è stato concesso di ritornare per una sera nella città lagunare, suo luogo natale. Essi parteciperanno a un ballo di carnevale che ha per tema Shakespeare e Venezia: tutti saranno mascherati e nessuno si stupirà per la loro presenza. Il poeta erotico veneziano Giorgio Baffo chiede di unirsi a loro e, nonostante l’iniziale disappunto di Goldoni, la sua richiesta viene esaudita. Di nascosto, l’irrequieto Baffo sottrae l’aureola all’Anzolo.
Atto I. Venezia. In un palazzo rinascimentale si sta svolgendo una festa alla quale partecipano varie maschere: vi sono personaggi di Shakespeare, tra cui si distinguono il Moro Otello e Desdemona, di Goldoni e anche figure insigni che negli ultimi secoli hanno abitato in città. Tra le maschere vi sono due servette vestite in modo identico, Mirandolina, protagonista della Locandiera di Goldoni e Despina, cameriera brillante nel Così fan tutte di Mozart. Colpite dal comportamento lascivo del poeta Baffo, le due cameriere ordiscono un inganno a suo danno: gli faranno recapitare un biglietto da Arlecchino, in cui Desdemona lo invita di notte presso il suo balcone. Sarà proprio una di loro, invece, a fingersi Desdemona per prendersi gioco di lui. Arlecchino, dopo aver cantato la sua romanza, annuncia che il pranzo è servito. Nel frattempo Baffo prende da parte Otello, cercando di sollecitare la sua gelosia nei confronti di Goldoni, e riceve poi il messaggio delle servette. Nonostante le sagge ammonizioni dell’Anzolo, egli non intende trascurare la ghiotta occasione. Tutti si apprestano ad assistere allo scherzo. È luna piena, al balcone appare Mirandolina, mascherata da Desdemona. Baffo la corteggia e così facendo usa espressioni ingiuriose a proposito di Otello, che ascolta furibondo. La burla è interrotta dall’intervento di Arlecchino, il quale allontana Mirandolina e invita Baffo a sparire, se non vuole affrontare a duello il Moro inferocito: il poeta si ritira vigliaccamente. Otello si sfoga, dunque, lamentando la bassa qualità dei veneziani: dopo di lui sono nate solo persone dappoco e, dopo Shakespeare, mancano grandi autori. Ciò provoca la reazione sdegnata di Goldoni, che si oppone a tali dichiarazioni con insolita energia. Egli dapprima si rivolge al Moro, che è pronto a sfidare in duello, poi a Desdemona, di cui egli stesso avrebbe voluto innamorarsi: si dichiara pronto a strapparla a Otello e a Shakespeare. La situazione è drammatica e pericolosa: a un comando dell’Anzolo tutti restano immobilizzati nella posizione in cui si trovano.
Atto II. L’Anzolo si rivolge al pubblico: per non rattristare la fausta ricorrenza del compleanno di Goldoni, egli farà sì che la sfida tra il Moro e il commediografo si risolva in un omaggio al genio di quest’ultimo. La scena riprende esattamente com’era alla fine dell’atto primo: nel duello tra Otello e Goldoni, i due contendenti ‘muoiono’, ma l’Anzolo li resuscita quasi subito tra la soddisfazione generale. Le luci si spengono e arriva in sala una torta gigantesca per augurare buon compleanno al grande autore: tutti tripudiano tranne Baffo, impegnato a sottoporre alle due servette un indovinello. Poiché esse non riescono a scoprire l’oggetto descritto (l’aureola dell’Anzolo, rubata alla fine del prologo, Baffo organizza la penitenza: si tiene dunque un torneo canoro tra Mirandolina, portavoce di Goldoni, e Otello, rappresentante di Shakespeare, in cui, secondo le previsioni di Baffo, l’autore italiano dovrebbe soccombere, data la parzialità del giudice, che è la stessa Desdemona. La gara è interrotta dall’Anzolo, il quale ingiunge ad Otello di togliersi la maschera. Questi si rivela essere William Shakespeare, ben felice di lodare la figura di un apprezzato collega, il veneziano Carlo Goldoni. La festa sta per concludersi, l’Anzolo recupera la sua aureola, tutti se ne vanno, Solo Arlecchino, Despina, Mirandolina e Desdemona si ribellano: gli uomini possono pur morire, ma le immortali creature della fantasia non possono sparire allo stesso modo. Despina, il cui padre non è Goldoni, ma Mozart e Da Ponte, riconosce però nel commediografo veneziano il suo diretto ascendente e, in quanto prova ‘vivente’ delle possibilità di rigenerazione creativa di un archetipo, proferisce alcuni numeri (57, 35), corrispondenti ad anni buoni per la nascita di autori capaci di innovare la tradizione (gli anni di nascita di Mosca e Meliga…). L’Anzolo, Goldoni e Shakespeare spariscono tra la folla, solo Baffo è dimenticato, o forse si è furbescamente occultato pur di non rientrare subito nei Campi Elisi. A lui spetta il compito, prima che tutto sparisca, di celebrare la vita e le sue gioie, fugaci ma reali.
La lingua inglese è scelta per concretezza e brevità in un lavoro che fa della rapidità e dell’irrequietezza il suo modo di essere. Anche l’aspetto ritmico è congeniale alle scelte metriche e ai giochi di parole concepibili solo in quella lingua. La tenue e statica vicenda offre alla musica situazioni comiche quali la divagazione sul sesso degli angeli del prologo – e la vocalità dell’Anzolo si muove su spericolati salti di registro, da quello acuto “femminile” a quello basso “maschile” – o l’aria acrobatica della “numerazione” di Despina, puro gratuito gioco vocale. In generale i pezzi non sono davvero “chiusi”, non interrompono l’incalzante fluire musicale.
Nel caso della musica di Mosca si è parlato spesso di eclettismo «nel senso di apertura, di spregiudicata disponibilità, di uso di vocaboli di diversa origine e carattere, purché si precisi che tutto poi si riconduce al gusto e allo stile del compositore, che vede il Novecento come un secolo straordinariamente ricco di prospettive e stimoli differenti, e che considera “tradizione” i secoli XVII e XVIII non meno del XX, Stravinskij, Berg, Britten, Šostakovič e Stockhausen compresi. Senza radicalismo, né purismo, nella poetica di Mosca la concreta spregiudicatezza delle aperture non implica la rinuncia ad una consapevolezza moderna. Gli echi o le allusioni che talvolta traspaiono dalla sua musica si pongono sotto il segno di una concretezza dettata dal gusto del gioco e della caratterizzazione teatrale, che stimola una molteplicità di linguaggi. Nella partitura del Signor Goldoni colpisce in modo particolare la ricerca di una flessibilità melodica che sembra nascere di volta in volta dalla definizione di un personaggio e di una situazione anche attraverso un profilo ritmico, e nel rapporto con il ritmo prende forma e si svolge con scorrevole e flessibile naturalezza. Essenziale è il mobile cangiare della scrittura orchestrale. La vocazione all’uso di limitati complessi da camera, finora prevalente nel teatro di Mosca, lascia profondamente il segno nel suo modo di trattare l’orchestra, molto spesso giocando su mutevoli raggruppamenti cameristici. Non meno importante è la sostanza contrappuntistica della scrittura. Compito dell’orchestra non è di accompagnare la voce; ma di crearle intorno un gioco polifonico dove le linee strumentali non hanno minore importanza di quelle vocali». (Paolo Petazzi)
Il risultato è un gioco estremamente intellettualistico che stupisce per l’intelligenza, ma non coinvolge e presto porta a un senso di sazietà. L’operazione sembra confinata all’hic et nunc e non stupisce che il lavoro non sia stato ripreso altrove.
L’aver ben presenti gli interpreti che avrebbero dato vita alla sua musica ha permesso al compositore di cucire sugli stessi la vocalità: chi altri se non Barbara Hannigan poteva affrontare il tour-de-force della già nominata aria di Despina del secondo atto, o Sara Mingardo l’“addio” di Desdemona con la sua dolcezza e l’accompagnamento in scena di due mandolini, due chitarre e una tiorba, o la sensualità degli interventi di Mirandolina, qui la brava Cristina Zavalloni. L’Anzolo di Alda Caiello se la cava benissimo con i salti di registro citati e Michael Bennett è l’Arlecchino che ci si aspetta. La voce del personaggio titolare è affidata a Roberto Abbondanza che se la deve vedere con le gelosie del Baffo di Chris Zieger e dell’Otello di Michael Leibendgut. Tutti sono concertati abilmente da Andrea Molino.
La frenetica regia di Davide Livermore e i costumi di Giusy Giustino fanno riferimento a un Settecento da Commedia dell’Arte mentre la scenografia di Santi Centineo ricrea un teatro all’italiana visto dal basso verso il soffitto nel primo atto e dall’alto, con le poltrone di platea in basso, nel secondo: suggestiva ma inconcludente. Il mago Alexander si occupa dei trucchi di magia, ma sono ben poca cosa rispetto a quanto si vedrà nel Demetrio e Polibio tre anni dopo al ROF.
⸪