
Astor Piazzolla, María de Buenos Aires
direzione di Antonio Valentino
regia di Paolo Ciaffi Ricagno
Torino, Conservatorio Giuseppe Verdi
25 ottobre 2019
Santa María de los Buenos Aires è il nome dato dai fondatori spagnoli nel 1536 alla città sul Rio de la Plata. Nel 1921, quattrocento chilometri più a sud, una distanza minima per le dimensioni dell’Argentina, era nato Astor Piazzolla. Da giovane a New York aveva incontrato Carlos Gardel poco prima della sua tragica morte. Negli anni ’50 Piazzolla era a Parigi per studiare con Nadia Boulanger, che poi lo consiglierà di dedicarsi totalmente al tango, ma intanto aveva composto musica sinfonica e da camera. Ritornato a Buenos Aires era diventato un arrangiatore di tanghi per orchestra, tanghi sempre più rarefatti e dissonanti, come la musica del suo maestro, Alberto Ginastera. Tanghi difficili da ballare.
“Tango operita”, María de Buenos Aires debutta l’8 maggio 1968. La sua protagonista è la personificazione del tango, dalla sua nascita nei bassifondi di Buenos Aires fino al trionfo nei locali notturni e nei bordelli di lusso del centro, alla sua morte e alla sua rinascita, condannata a ritornare nell’altro inferno, quello della città e della vita, vagando eternamente ferita dalla luce del sole come anima in pena che non trova riposo.
Il testo è di Horacio Ferrer, il poeta uruguaiano che a quindici anni aveva smesso di studiare, di innamorarsi, aveva perfino abbandonato la famiglia quando aveva scoperto la musica di Piazzolla. Nel 1967 Ferrer aveva pubblicato il suo primo libro di poesie, Romancero canyengue, raccolta di versi «scritti non per essere letti, ma per essere ascoltati, come la musica». In quest’opera, e in generale nella prima fase della produzione di Ferrer, è molto presente un piacere per la creazione verbale e per il neologismo – tanganamente è uno di questi – oltre che un certo gusto ermetico e surrealistico.
Il brano più rappresentativo di María de Buenos Aires è la canzone in cui María presenta sé stessa. La presentazione di María ricorda quella di una moderna Carmen: è una donna libera, amante del gioco della seduzione; se Carmen cantava «Se ti amo, stai in guardia!», María dice: «Ogni uomo ai miei piedi come un topo in trappola deve cadere»:
Yo soy María de Buenos Aires
De Buenos Aires María ¿no ven quién soy yo?
María tango, María del arrabal
María noche, María pasión fatal
María del amor, De Buenos Aires soy yo
Yo soy María de Buenos Aires
Si en este barrio la gente pregunta quién soy,pronto muy bien lo sabrán
las hembras que me envidiarán,
y cada macho a mis pies
como un ratón en mi trampa ha de caer
Yo soy María de Buenos Aires
Soy la más bruja cantando y amando también
Si el bandoneón me provoca… Tiará, tatá
Le muerdo fuerte la boca… Tiará, tatá
Con diez espasmos en flor que yo tengo en mi ser
Siempre me digo “¡Dale María!”
cuando un misterio me viene trepando en la voz
Y canto un tango que nadie jamás cantó
y sueño un sueño que nadie jamás soñó,
porque el mañana es hoy con el ayer después, che
Yo soy María de Buenos Aires
De Buenos Aires María yo soy, mi ciudad
María tango, María del arrabal
María noche, María pasión fatal
María del amor, De Buenos Aires soy yo
María non è però solo pasión fatal, è anche musica, è anche tango. Rappresenta anche il desiderio, così pervasivo in tanta cultura porteña, di abbandonarsi al canto, alla danza, alla trasfigurazione in musica della tristezza, dell’amore, della nostalgia, quasi come se la bellezza potesse salvare il mondo, quasi come se ballare un pensiero triste (1) potesse renderlo quasi accettabile, quasi felice. La musica e la poesia divengono un mezzo che consente di dare un orizzonte alla malinconia, all’abbandono, alla nostalgia.
L’operita di Piazzolla è eseguita in forma semiscenica al Conservatorio torinese per la serie di incontri Intrecci Musicali. Nella mise en espace di Paolo Ciaffi Ricagno i cantanti condividono il palcoscenico con i musicisti, i figuranti scendono talora in platea mentre il coro aggiunge la sua voce dalla galleria. Tutti sono scalzi e vestiti di bianco, solo María sfoggia scarpe di raso rosso da tanguera col tacco e il cinturino e un abito anche lui rosso quando “rinasce”. Antonio Valentino concerta una smilza orchestra formata da due violini, una viola, violoncello e contrabbasso, pianoforte, chitarra, flauto, vibrafono, percussioni e il bandoneón di Massimo Pitzianti. Nelle due repliche del concerto si alternano Emma Bruno e Ketevan Kraishvili nella parte di María, mentre Diego Maffezzoni dà voce al Cantor e Paolo Ciaffi Rìcagno, oltre alla regia legge le battute del Duende.
Cinquantuno anni dopo il debutto, il testo di Horacio Ferrer mantiene il suo fascino surreale e la musica ostinatamente ballabile del tango di Piazzolla, pur con tutte le sue asprezze e dissonanze, ha ancora una volta sedotto il pubblico che si è dimostrato grato e prodigo di applausi.
(1) «Il tango è un pensiero triste che si balla» è la famosa definizione di Enrique Discépolo.

⸪