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Jean-Philippe Rameau, Les Indes galantes
★★★★★
Parigi, Opéra Bastille, 10 ottobre 2019
(diretta streaming)
Nostro barocco contemporaneo
Clément Cogitore, chi è costui?
Pochi sono gli esempi di un artista che quasi sconosciuto, per lo meno al di fuori della Francia, il giorno dopo è sulla bocca di tutti per aver creato uno spettacolo epocale di cui riesce difficile parlare – anche per l’emozione che ancora si prova tante ore dopo.
Frutto di una scommessa rischiosa in partenza, ossia quella di portare un’opera barocca nell’immensa sala dell’Opéra Bastille e con un regista al suo debutto nell’opera lirica, Les Indes galantes nella potente lettura de-coloniale del giovane artista Clément Cogitore ha entusiasmato il pubblico della capitale francese e spiazzato la critica. Tutto era nato da un suo cortometraggio di due anni fa apparso sul web (visto oltre mezzo milione di volte). Da questo Stéphane Lissner ha voluto affidare a Cogitore la messa in scena dell’opera in una lussuosa produzione che non risparmia sull’eccellenza degli interpreti.
È un giro del mondo quello che fece fare con la sua opéra-ballet Les Indes galantes Jean-Philippe Rameau nel 1735. Il compositore qui aveva giocato a fare l’etnomusicologo utilizzando temi musicali del mondo in una partitura maestosa. Ma che cos’è l’esotismo nel 2019, 284 anni dopo? Non è più necessario solcare gli oceani: l’esotismo l’abbiamo sotto casa, basta passeggiare in un quartiere per ritrovarlo nelle strade, nei volti, nelle botteghe. Giriamo l’angolo e abbiamo China Town, un altro ancora e ci viene incontro con i suoi profumi il quartiere magrebino, poco più in là la vivacità del Sud America. Un giro del mondo in pochi isolati.
A vent’anni dalla produzione di Andrei Șerban e William Christie molto è cambiato nella nostra visione degli altri, degli extra-europei, e anche se sublimemente ironica, quella edizione difficilmente potrebbe essere riproposta oggi. I morti nel Mediterraneo ci impediscono di prendere il tema alla leggera. Già tre anni fa a Monaco di Baviera il regista e coreografo Sidi Larbi Cherkaoui aveva messo in scena una versione “politica” dell’opera di Rameau, ambientata in un’aula scolastica. Qui con Cogitore non esiste praticamente scenografia: il palcoscenico è vuoto, sempre immerso nell’oscurità. Nel pavimento si apre una voragine rotonda e dall’alto scende un enorme e inquietante braccio meccanico che tira sù dalla voragine lo scafo di una barca affondata, una giostrina per bambini o un abbagliante schermo a led. Se non è teatro barocco questo… Con pochi altri elementi scenici, sono i corpi dei ballerini, del coro, dei cantanti a definire lo spazio.
Con i suoi balletti Rameau ai suoi tempi aveva scioccato l’Académie Royal de Musique (che tra l’altro festeggia quest’anno i suoi 350 anni di vita come Opéra National). Oggi per ottenere lo stesso effetto non si può certo proporre una danza accademica. Il risultato, di sconvolgente impatto, lo ottiene la coreografa Bintou Dembélé con la danza di strada della compagnia Rualité e i danzatori di krump, quello nato nelle periferie di Los Angeles dall’hip-hop e dalla capoeira. Ma non mancano le mosse del vogueing e le acrobazie della breakdance. Si assiste a un’energia collettiva mai vista sulla scena lirica, in genere dominata da feroci individualismi: qui crollano le gerarchie e tutti quanti fanno parte di una medesima esaltante esperienza in cui tutto viene mescolato, i musicisti in scena, i coristi in platea, i cantanti che ballano.
Leonardo García Alarcón in maniche di camicia bianca è come un altro ballerino: con i suoi ampi gesti coinvolge l’orchestra Cappella Mediterranea e il favoloso Coro da Camera di Namur in un’esecuzione trascinante e con magnifici interpreti, tra cui il meglio della scuola francese: Sabine Devieilhe (Hébé, Phani, Zima), Florian Sempey (Bellone, Adarlo), Jodie Devos (L’amour, Zaïre), Julie Fuchs (Émile, Fatime), Mathias Vidal (Valère, Tacmas), Alexandre Duhamel (Huascar, Don Alvar), Stanislas de Barbeyrac (Don Carlos, Damon), Edwin Crossley-Mercer (Osman, Ali). Forse gli uomini, soprattutto Sempey e Crossley-Mercer, intimoriti dalle dimensioni della sala tendono a cantare un po’ troppo forte a scapito delle sottigliezze della musica, ma tutti danno il meglio di loro stessi.
Come sempre c’è il rimpianto di non aver assistito dal vivo allo spettacolo, ma la ripresa streaming si è dimostrata molto coinvolgente, con intensi primi piani che hanno messo in evidenza la bellezza dei corpi e dei visi, il gioco attoriale, l’intensità delle espressioni.
È così passato agevolmente il messaggio dell’artista, ossia la bellezza delle diversità e il potente mélange delle culture. Un messaggio universale e molto attuale. Purtroppo nella sala del cinema torinese, dove lo spettacolo veniva proiettato in diretta, eravamo in sette. Ma da adesso è disponibile in streaming qui.
⸪