Ladislav Klíma

Sternenhoch

Ivan Acher, Sternenhoch

★★★☆☆

Praga, Národní Divadlo (Nová Scéna), 7 aprile 2018

(video streaming)

Rocky horror opera

Influenzato da Schopenhauer e da Nietzsche come filosofo, come narratore Ladislav Klíma (1878-1928) affonda invece le sue radici nell’espressionismo surreale della letteratura ceca del suo tempo. Contemporaneo di Franz Kafka (1883-1924), Jaroslav Hašek (1883-1923) e Karel Čapek (1890-1923, che scrisse il suo necrologio definendolo un «illusionista nichilista»), Klíma è comunque sempre stato un outsider, prima nella Cecoslovacchia capitalista e ancor più in quella comunista e viene ricordato soprattutto per il suo romanzo Utrpení knížete Sternenhocha (I dolori del principe Sternenhoch, 1928) il cui titolo fa il verso al romanzo epistolare di Goethe con voluto sarcasmo.

Nel suo romanzo si racconta in prima persona la discesa nella follia del principe Sternenhoch che passa dalla vita di un nobile a una vita piena di sofferenze, eccentricità e tormenti. Solo dopo aver toccato il fondo il protagonista raggiunge uno stato ultimo di beatitudine, nella follia. La vicenda in musica delle angherie della perfida moglie sul marito, il rampollo di una grande famiglia prussiana, il quale rinchiude la moglie nella torre della morte dopo averle inflitto atroci supplizi. Con le sue riapparizioni nelle forme e nelle situazioni più impensabili, il principe vive angosciato e terrorizzato dal fantasma della donna o forse dalla donna stessa miracolosamente sfuggita alla morte. Queste apparizioni della consorte e l’incertezza se ella sia o non sia realmente morta, conducono il principe alla pazzia.

Scena 1. Il sogno del principe Sternenhoch. L’apparizione della non morta. Scena 2. Il ballo. Il principe si sveglia nel mezzo di una danza vorticosa, la mazurca di Satana. Scena 3. La proposta di matrimonio al lurido padre di Helga. Scena 4. Il matrimonio. Scena 5. Il piccolo Helmut. La quiete domestica. Helga ammazza il figlio. Scena 6. L’incontro. Helga e il suo amante-poeta. Scoperti dal principe che uccide  l’uomo. Scena 7. La prigione. Helga viene rinchiusa mezza morta nella torre. Scena 8. Kuhmist. La figlia di una strega e di un pastore evangelico fa impazzire il principe. Scena 9. Delirio. Caleidoscopica giornata di follia del principe: 4 morti e 3 resurrezioni. Scena 10. Gran finale. Si avvera il sogno del ballo. Anime e corpi si fondono: lui vivo, lei morta. Riconciliazione dopo la morte.

Se l’italiano è stato la lingua franca dell’opera fino all’Ottocento, perché non utilizzare per quella contemporanea una lingua internazionale e artificiale come l’esperanto, si è chiesto il compositore e autore del libretto. Ecco quindi che «la komponisto deziris komponi la operon en Esperanto, por ke la aŭskultantoj ĝuu la muzikon kaj ne provu deĉifri la vortojn, kio forlogus ilian atenton de la melodio». Chiaro, no?

Di melodia non ce n’è poi tanta, o per lo meno non quella classica, C’è molta elettronica, ritmi balcanici, un’atmosfera alla Tom Waits. Lo stile di Sternenhoch (“a chamber dance opera tragicomical and ludibrionistic”) è piuttosto originale, e come non potrebbe non esserlo se l’autore ha studiato design tessile lavorando anche come falegname e ha studiato musica da autodidatta, motivo per cui la sua è un amusica piena di forme libere e nuove, compresi degli strumenti musicali che si è costruito da solo. Il suo è un teatro musicale che utilizza canto, recitazione, danza con spirito amatoriale, ma riesce a ricreare lo spirito nichilista del romanzo.

Petr Kofroň dirige la piccola orchestra dalla prima fila e talora funge da narratore o addirittura partecipa alla frenetica danza di Satana. Un controfagotto e una cetra sono presenti in scena assieme a una consolle su cui mixare le varie tracce elettroniche. Gli interpreti esprimono al meglio nella strana lingua i personaggi dannati: il principe espressionista ha la voce tenorile di Sergey Kostov; la moglie, il soprano Vanda Šipová, utilizza un registro molto acuto; Tereza Marečková è Kuhmist e suona anche il violino; Luděk Vele il trucido padre; Jiří Hájek l’amante.

La regia di Michal Dočekal è violentemente sconvolta dal regista della registrazione televisiva che con il suo montaggio isterico, le riprese zenitali, sovrimpressioni, dissolvenze e ralenti trasforma la performance in un video clip di un’ora e mezza. Un po’ troppo per un video clip.

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