Francisco Ramos de Castro

24 horas mintiendo

Francisco Alonso, 24 horas mintiendo

★★★☆☆

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 14 luglio 2018

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La rivista in Spagna: il caso Alonso

Nel 1947, quando viene presentata il 12 giugno al Bretón del los Herreros di Logroño, siamo fuori tempo massimo per la zarzuela, e infatti 24 horas mintiendo viene definita una commedia musicale. L’argomento, il tono e lo stile del lavoro non sono più riconducibili a quel genere su cui aveva posto il sigillo Pablo Sorozóbal con La del manojo de rosas tredici anni prima. Nel libretto di Francisco Ramos de Castro e Joaquín Gasa le manie di grandezza di Doña Casta e delle sue figlie Charito e Totó che arrivano al punto di chiudersi in casa per far credere ai vicini di essere in vacanza, la vicenda richiama più un film da commedia all’italiana che un quadro di vita madrileña. Ecco la trama della presente produzione nella libera versione di Alfredo Sanzol che attualizza la vicenda.

Atto I. I coniugi Casto e Casta e le loro figlie Charito e Totó, decidono di chiudersi in casa per le prove di uno spettacolo facendo credere agli altri che sono andati in tournée in America e fugare in tal modo i dubbi sulla loro disastrosa situazione economica. Alla festa d’addio appaiono Bombardino e Magdalena, una coppia di politici corrotti, Fileto e Ramona, proprietari del ristorante e genitori di Ricardo, il fidanzato di Charito. Alla fine della festa, iniziano il confino e le prove. Ma arriva un signore argentino, Fernando Póo, padre di Fernandito, il fidanzato di Totó, che ostacola il piano di Casto e Casta, i quali, spacciandosi per i loro servi, fanno credere al visitatore che i padroni non ci sono. A proposito, cercando di approfittare della situazione, fanno pagare Fernando e sua moglie Laura per occupare la loro casa mentre sono in città. Fileto scopre la bugia del viaggio in America. Casta cerca di negoziare con Ramona, ma le due finiscono per litigare. Quando Fernando torna con la moglie e i bagagli, sorprendono i presunti servitori con una notizia: resteranno fino al ritorno degli artisti.
Atto II. Sono passate alcune settimane. Fileto e Casto cercano di buttare fuori di casa gli argentini perché la convivenza si sta rivelando difficile. Fernando, un audace donnaiolo, cerca di concupire Casta (presunta cameriera) cercando l’aiuto di Casto (presunto servo). Da qui la situazione si complica perché arrivano i “proprietari” della casa (che sono Fileto e Ramona, con l’accordo preventivo di Casto). Tutti fingono di essere ciò che non sono. Bombardino quasi impazzisce per le tante bugie. Il risultato è il rimprovero dell’uno contro l’altro. Improvvisamente Fernandito appare con una notizia che risolverà il caso e porterà la felicità a tutti.

Il granadino Francisco Alonso (1887-1948) abbandonò i suoi iniziali studi in medicina per diventare già a 18 anni direttore musicale del Reggimento di Cordova a cui fornì la sua prima zarzuela, La Niña de los cantares. Il suo primo grande successo lo ebbe con Música, luz y alegría (1916) nella Madrid in cui si era trasferito. Per il resto della sua carriera alternò zarzuelas e revistas, la più famosa di queste ultime essendo La calesera (1925). Assieme a Los Claveles (1929) di Serrano e a La del manojo de rosas (1934) di Sorozábal, la sua Me llaman la presumida (1935) forma un specie di trilogia madrileña degli anni precedenti la Guerra Civile. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la sua produzione si concentrò solo su revistas come 24 horas mintiendo, una delle sue ultime creazioni in quanto il compositore scomparve undici mesi dopo. I quindici numeri musicali che compongono questa commedia musicale hanno un carattere accessorio, non fanno sviluppare la vicenda. Alcuni sono pezzi di colore che comprendono anche un fado («Saudades de meu cariño») o il balletto «Guajiras». Il colore iberico è limitato a pochi numeri, come le coplas de «Los claveles de Motril», ma in genere lo stile è aperto alle influenze d’oltre oceano e non avrebbe sfigurato allora in una sala di Broadway.

«Bananas del Perú» è un numero quasi da avanspettacolo in questa produzione del Teatro de la Zarzuela in cui Enrique Viana travestito da Carmen Miranda con un casco di banane in testa intrattiene il pubblico dispiegando tutti i suoi registri, dallo stile “Luis Mariano” agli acuti da soprano. Il regista Jesús Castejón, che si riserva la parte di Casto, mette in scena un divertente spettacolo che evidenzia le capacità attoriali degli interpreti, soprattutto il suddetto Enrique Viana (il maggiordomo) e Ángel Ruiz, lo spassoso argentino Fernando Póo. Più o meno efficaci nella loro comicità gli altri cantanti/attori/ballerini che cantano senza impostazione lirica. La scenografia su due piani di Carmen Castañón permette agli interpeti di muoversi con dinamismo e comprende anche un boccascena con sipario rosso per i numeri musicali che costituiscono le prove per la rivista che dovrà salvare le finanze della sgangherata compagnia teatrale. Animata e piena di swing la direzione di Carlos Aragón, il maestro concertatore, in una revisione musicale di Saúl Aguado de Aza della partitura originale di cui forse si poteva fare a meno.

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La del manojo de rosas

Pablo Sorozábal, La del manojo de rosas

★★★★★

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 22 novembre 2020

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La zarzuela modernista che pone fine al genere

Riproposta di uno dei più grandi successi di Pablo Sorozábal e del Teatro de la Zarzuela degli ultimi decenni, La del manojo de rosas è una storia d’amore in cui il sainete diventa una proposta critica dal momento in cui la protagonista rifiuta di usare il matrimonio come mezzo di avanzamento sociale. Tutto questo in una Madrid pienamente repubblicana in cui i suoi abitanti sembrano disposti a scrollarsi di dosso i miti del casticismo e a ballare i ritmi d’oltreoceano.

Atto I. Prima scena. L’azione è ambientata nella piazza Delquevenga, un luogo al centro di un aristocratico quartiere di Madrid con la prospettiva dei grattacieli; c’è un bar, un’officina meccanica e una fioreria chiamata “El manojo de rosas”, dove lavora Ascensión, una giovane donna in declino ma fiera del suo lavoro e della sua posizione di operaia. È corteggiata da Joaquín, un simpatico meccanico di officina, e da Ricardo, un bel giovane che è diventato pilota d’aerei. Ascensión opta fermamente per Joaquín: è una lavoratrice e sposerà un uomo della sua classe, che non deve rimproverarle il suo denaro o la sua educazione. Questo rattrista Don Daniel, il padre di Ascensión, che vuole che la figlia recuperi la sua posizione sociale e viva secondo la sua dignità, ed è più favorevole al suo matrimonio con Ricardo. Nella stessa officina lavora Capó, un meccanico distratto, compagno di Joaquín, che corteggia Clarita, una manicurista le cui aspirazioni culturali si scontrano con il carattere semplice di Capó. Il suo rivale è Espasa, un cameriere che si vanta di essere la persona più colta e usa un linguaggio pieno di parole bizzarre e senza senso. Nella piazza appare Don Pedro Botero, un commerciante di rottami metallici la cui idea è quella di arricchirsi con la guerra in arrivo e i cui piani discute sempre con i suoi vicini e amici. Ricardo viene a cercare Ascensión per parlarle, ma Joaquín gli si avvicina e scoppia una rissa, che viene interrotta quando Ascensión appare per fare una consegna di fiori e porta con sé Joaquín, lasciando la tensione nell’aria. Seconda scena. Nell’ingresso di un elegante appartamento, Ascensión sta portando un mazzo di rose a Doña Mariana, una donna di nobile carattere il cui punto debole sono i fiori; lì incontra il marito, Don Pedro Botero, che commenta la storia d’amore della giovane donna. Doña Mariana cerca di scoprire in confidenza chi sia, quando appare Joaquín, vestito da gentiluomo. Quando Ascensión lo vede, è amaramente sorpresa di scoprire la verità: l’adorato meccanico non è altro che un giovane signore travestito. Lascia la casa con l’impressione di essere stata ingannata. Terza scena. Nella piazza Delquevenga, l’Espasa cerca di far uscire la tristezza di Ascension e di tirarla un po’ su. Clarita e Capó discutono animatamente sulle loro differenze di carattere e sulle intenzioni di Espasa nei confronti di Clarita. Joaquín esce dall’officina e incontra Ascensión, che lo rimprovera di averla ingannata facendosi passare per un operaio e nascondendole il suo stato sociale. Ricardo, incoraggiato da Espasa, è spinto a corteggiare Ascensión, che lo accetta come pretendente e ne approfitta per mettere in ridicolo Joaquín di fronte alla gente del quartiere.

Atto II. Prima scena. Sono passati diversi mesi e alcune cose sono cambiate nella piazza. Clarita lavora ora come responsabile del negozio di fiori, Capó è ancora innamorato di lei ed Espasa ha cambiato lavoro, ora è un controllore di autobus. Ascensión appare in piazza accompagnata da Don Daniel; in entrambi si può vedere il cambiamento sociale che hanno subito in seguito alla vittoria di Don Daniel nella causa. Appare anche Ricardo ed è chiaro che le relazioni tra loro stanno diventando sempre più fredde. Joaquín torna all’officina in cerca di lavoro. Quando si imbatte in Ascensión segue una scena sgradevole in cui lui le rimprovera il cambiamento della sua posizione sociale, lasciandola disorientata. Seconda scena. Doña Mariana e la sua famiglia vivono ora in un cortile di quartiere popolare in seguito al fallimento economico del marito. Ascensión viene a portarle un mazzo di rose e a parlarle di Joaquín. Joaquín e Ascensión si incontrano sul pianerottolo e lui la ringrazia per avere portato le rose, che ricordano loro i bei momenti passati dal giorno in cui si sono conosciuti. Terza scena. Il luogo è lo stesso della prima scena. Davanti al negozio di fiori, Clarita rimprovera incessantemente Capó, che ha lasciato il suo posto nell’officina a causa di una discussione con il suo capo. Ascensión appare chiedendo di Joaquín, che è assente dal lavoro da diversi giorni. In un inciso, racconta a Clarita della sua insostenibile situazione con Ricardo e chiede a Clarita di comunicare a Ricardo la sua decisione di volerlo lasciare. Dall’altra parte, Ricardo cerca di fare lo stesso, usando Espasa come messaggero, per comunicare la sua decisione ad Ascensión. Alla fine Ricardo e Ascension mettono le cose a posto, rendendosi conto che la loro relazione non funziona e rimanendo buoni amici. Joaquín appare nella piazza e quando incontra Ascensión, le dichiara il suo amore. Alla fine fanno pace e tornano insieme. Tutti i vicini della piazza festeggiano la felicità della coppia.

Quando questo sainete in due atti fu presentato al Teatro Fuencarral di Madrid il 13 novembre 1934, gli esperti avevano già dato per morto il genere. Il casticismo di donne orgogliose e impiegati e il madrileñismo delle case da ballatoio che Bretón e Chapí avevano fatto vivere in La verbena de la Paloma e La Revoltosa erano stati ripetuti per decenni fino a esaurire il modello. E, dato per morto, si presumeva che fosse sepolto quando l’Apolo, cattedrale del género chico, scomparve nel 1929 per potervi costruire una banca.

Ma contro ogni previsione, il sainete fu fatto rivivere con La del manojo de rosas. Il miracolo fu eseguito da Francisco Ramos de Castro e Anselmo Cuadrado Carreño, responsabili del testo, insieme a Sorozábal, quel «basco educato musicalmente in Germania», come si definì nelle sue memorie. I tre hanno avuto l’audacia di dinamizzare il modello che li aveva preceduti e di tornare alle loro radici, capendo che «il sainete deve essere come un riflesso sentimentale e divertente della vita popolare. Perché l’esterno cambia – costumi, dialoghi, luogo d’azione – ma i sentimenti delle persone no».

È per questo che la gente che applaude si affaccia sulla “Plaza Delquevenga” come un tempo si affacciava al ballatoio, pronta a raccontare i suoi guai sentimentali. Ma quei mali d’amore vengono ora mostrati in una città contemporanea, in una Madrid con i grattacieli sullo sfondo dove lo scialle di manila o il foulard di crêpe non sono altro che una citazione riconoscibile per tutti, poiché sono incorporati nella memoria collettiva; le ragazze che appaiono in scena lavorano come fioraie e manicuriste e i camerieri che le accompagnano come meccanici, camerieri o addirittura aviatori; e si parla di femminismo e di educazione, di guerra, di politici e persino di spiritismo. I sentimenti sono gli stessi, sì, ma ora sono espressi mescolando la migliore tradizione della zarzuela, pasodoble incluso, con arie importate, moderne e ballabili. È una nuova voce perché è un nuovo popolo. La del Manojo de Rosas, che ha ormai più di 85 anni, è il titolo che meglio riflette la Madrid moderna di quegli anni. Dopo tutto, queste erano le intenzioni di Sorozábal con questa zarzuela: «fare una musica, semplice, spontanea, impertinente, che avesse verve e sentimento, di sapore popolare, ma non folcloristico o populachero, e che, nella sua semplicità, gli intenditori di musica vi trovassero tracce di modernità, fino a pensare a Stravinsky». Questa è l’epoca in cui le donne avevano la libertà di imparare e di decidere, come mostrano in scena Ascensión e Clarita, due ragazze prese da uno di quei club femminili dell’epoca, che sia il Lyceum Club o La Cívica, perché parlano dei loro sogni e desideri, senza sentimentalismi, e dicono chiaramente quello che sentono e quello che pensano.

La produzione più emblematica e popolare del Teatro de la Zarzuela compie 30 anni. Alla sua prima nel settembre 1990 fu accolta molto bene dal pubblico e dalla critica ed è rimasta tra le favorite in questi ultimi tre decenni. Varie generazioni di cantanti, artisti, tecnici e pubblico hanno partecipato o goduto di quella che oggi è l’opera più conosciuta di Pablo Sorozábal, quella che lui ha legato in modo speciale a questo luogo. Con questo titolo il regista teatrale Emilio Sagi ha prodotto una delle migliori produzioni della sua lunga e fruttuosa carriera, a iniziare dalla bella scenografia di Gerardo Trotti e ai costumi di Pepa Ojanguren (che è mancata pochi mesi fa) che connotano felicemente l’epoca. La direzione attoriale, i movimenti delle masse e le gustose coreografie di Goyo Montero (anche lui scomparso nel frattempo) fanno di questo uno spettacolo delizioso che nella sua prima edizione si è potuto vedere anche in Italia in tre recite al Teatro dell’Opera di Roma durante la tournée del teatro madrileño nel novembre 1991 .

Ospite molto apprezzato dal pubblico che chiede e ottiene il bis della sua romanza habanera del secondo atto «Madrileña bonita» è quello di Carlos Álvarez che mette a disposizione la sua fin troppo importante voce per il personaggio di Joaquín. Ruth Iniesta dà vita a un’intensa e vocalmente autorevole Ascensión, la fioraia del titolo, mentre Sylvia Parejo e David Pérez Bayona formano l’altra vivace coppia di innamorati, Clarita e Capó. Non memorabile il Ricardo di Vicenç Esteve, gustosissimo invece l’Espasa di Ángel Ruiz, il barista dal surreale e ricercato eloquio – eccone un esempio: «Pues a mí, verás; a mí, el alcaloide que me descuajeringa es la vertebración ancestral de las neuronas en complicidad fragante con el servetinal. Porque, como sin leucocitos no hay ecuaciones, en cuanto pongas dos binomios a hervir ya tiés caldo magi». Nella parte minore di Doña Mariana ritroviamo una gloria della zarzuela, Milagros Martín. Alla testa dell’Orquesta de la Comunidad de Madrid, ridotta ai minimi termini a causa del distanziamento, Guillermo García Calvo, il nuovo direttore musicale del teatro, dipana con passione gli undici numeri musicali che compongono questa zarzuela modernista con cui si conclude la gloriosa stagione del género chico.