Hector Berlioz, Benvenuto Cellini
Amsterdam, het Muziektheater, 28 maggio 2015
Un altro Berlioz alla Monty Python
La produzione dell’English National Opera di Londra del giugno 2014 approda al Muziektheater di Amsterdam per la stagione della Nederlandse Opera. Per la seconda volta Terry Gilliam, ex membro dei Monty Python e autore delle bizzarre animazioni che introducevano gli sketch del loro Flying Circus, si cimenta con una messa in scena di un’opera di Berlioz dopo la Damnation de Faust e il suo tocco beffardo si nota già subito nell’ouverture durante la quale la platea del teatro olandese si riempie di giganteschi mascheroni, saltimbanchi su trampoli e giocolieri che rivedremo durante la scena del martedì grasso.
Le vicissitudini della prima opera di Berlioz sono già state narrate nella recensione dello spettacolo messo in scena da Philipp Stölz a Salisburgo, e qui la molteplicità di azioni – raramente una scena si dipana linearmente senza essere contrappuntata da un’altra – trova in Terry Gilliam il regista ideale, che abbandona qui i risvolti politici della lettura del suo precedente spettacolo per scatenare la fantasia in questa vicenda surreale e grottesca.
Il regista racconta che: «Da tempo ero affascinato dall’autobiografia di Cellini, l’unica di un artista rinascimentale. Era uno scultore e un orafo geniale, ma era anche un omicida, un disonesto, un bastardo presuntuoso. […] Berlioz era un personaggio di questo tipo, e anche Cellini. Non riesco a capire perché mi ci identificassi così tanto. […] Lo spettro della megalomania del mio Alice nel paese delle meraviglie tornò a tormentarmi: cento artisti sul palco – cantanti, trampolieri, giocolieri, spadaccini, gigantesche marionette da luna park – e poco tempo per provare. Rivivevo la follia che aveva sperimentato Cellini quando provò l’impossibile, la fusione della celebre statua del Perseo. Eravamo diventati la stessa persona!»
Le drammatiche Carceri del Piranesi sono il modello iconografico per le scenografie ideate da Gilliam assieme ad Aaron Marsden: il bianco e nero delle incisioni sono contrastate dai bagliori rossi delle fornaci e delle colate di metallo fuso del finale, ma anche dai colorati costumi dei romani in festa. Qui nella scena della farsa di carnevale il regista allestisce con ingegnosità uno spettacolo nello spettacolo in perfetta sintonia con la musica di Berlioz ed è sostenuto dalla capacità attoriale degli interpreti, primo fra tutti lo spassoso Laurent Naouri che ritorna qui nei panni di Fieramosca, l’imbranato antagonista di Cellini sia in arte sia in amore e unico francofono della compagnia (beh no, la Michèle Losier nel ruolo en travesti di Ascanio è canadese). John Osborn non si risparmia nel suo sanguigno Cellini, però sa trovare i giusti accenti lirici nei momenti di trasporto per la sua Teresa, qui la nostra splendida Mariangela Sicilia, giovane soprano al suo debutto qui e in un ruolo fuori del repertorio del belcanto italiano in cui finora si è cimentata. Ma è il papa di Orlin Anastassov, a metà tra Boris Godunov e la principessa Turandot, il culmine dello humour sulfureo del regista.
Lo spettacolo termina con i fuochi d’artificio della fusione della statua ma, ultimo tocco irriverente, la statua quando appare è così grande che ne vediamo solo la parte bassa, quella con le pudende in bella vista, mentre dal soffitto del teatro scende una pioggia di coriandoli dorati a riprodurre le scintille del processo di fusione. Standing ovation da parte di un pubblico del tutto soggiogato dallo spettacolo e dalla direzione partecipe ed entusiasmante di Sir Mark Elder alla guida della Filarmonica di Rotterdam.
Coprodotto con l’Opera di Roma, naturale destinazione per le macchinazioni di questi sanguigni artisti rinascimentali, chissà però se nella città eterna passerà indenne l’irriverente ritratto del Papa Clemente VII che Gilliam disegna per questa sua produzione.
La locandina dello spettacolo di Londra
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