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Wolfgang Amadeus Mozart, Die Zauberflöte (Il flauto magico)
★★★★☆
Parigi, Opéra Bastille, 29 maggio 2015
Il Flauto di Carsen a Parigi
Vedere Il flauto magico o l’Aida per la ventesima volta non è come ascoltare la Nona o la Patetica per la ventesima volta. Uno spettacolo lirico veicola una quantità di informazioni molto maggiore di un concerto poiché utilizza messaggi multipli, che mettono in gioco cioè dimensioni diverse della abilità sensoriali, col risultato di diventare così più “saturante” per la nostra percezione. Ecco perché abbiamo bisogno di stimoli differenti se vogliamo rivivere ogni volta l’emozione estetica di un messaggio artistico complesso com’è un’opera – a meno che non ci serva da eupeptico o sedativo, come sembra essere per alcuni “abbonati”…
C’è anche chi ha analizzato scientificamente questo “limite appercettivo” che ha sempre bisogno di originalità e di una certa dose di imprevedibilità (Abraham Moles, Théorie de l’information et perception estéthique, Parigi 1958). Tutto questo per dire che il messaggio artistico ha bisogno dell’hic et nunc della rappresentazione per essere completo. E il teatro è proprio il mezzo giusto per fornire alla nostra attenzione quella dose di originalità e imprevedibilità.
E di “originalità e imprevedibilità” nei teatri d’opera ultimamente ne abbiamo viste parecchie, ma il Flauto magico di Mozart è uscito arricchito da tutte le possibili riletture. Per anni è stato uno spettacolo di grande successo per il teatro delle marionette di Salisburgo e anche, più vicino a noi, della compagnia Colla milanese o dello scomparso teatro Gianduia di Torino. Se ne è impossessato anche il cinema, con le letture dei registi Ingmar Bergman (1975) e Kenneth Branagh (2006) e ha subito ogni sorta di riadattamento, essendo stato recentemente rivitalizzato dalla musica dal vivo dell’Orchestra di Piazza Vittorio che tanto successo ha avuto in giro per l’Italia. C’è poi stata la versione rivisitata di Baricco vista al Regio di Torino nel 2006, ma quella no, non ha proprio funzionato ed è stata un’infelice esperienza.
Lo spettacolo dell’Opéra Bastille è nato al Festival di Pasqua di Baden-Baden del 2013 dove fu registrato su DVD. Come mi aveva preannunciato Carsen stesso a Torino, ci sono state piccole modifiche nella messa in scena dello spettacolo, che però non hanno mutato la lettura che il regista canadese dà dell’opera di Mozart. Qui a Parigi lo spettacolo è un po’ più asciutto, forse ancora più “wagneriano” di quanto lo fosse a Baden-Baden. Ma la grossa differenza la fa la secca acustica del teatro: gli immensi spazi mal si adattano alle voci mozartiane e l’orchestra affossata in quel profondo golfo mistico rimane distante e di scarsa presenza. Anche per questo è sembrata scolorita la direzione di Patrick Lange.
Degli interpreti qui si è apprezzata di più la voce del Papageno di Bjorn Bürger, baritono di grande talento e presenza scenica, mentre i due giovani sono stati entrambi ben sostenuti da Julien Behr (francese nonostante il nome) e soprattutto Camilla Tilling, Tamina di grande lirismo. Come Sarastro si è confermato il valido Dimitrij Ivaščenko e Regina della Notte precisa, ma non sconvolgente, è stata quella di Olga Pudova mentre il trio delle dame qui non ha retto il confronto con il terzetto insuperabile dell’edizione tedesca.
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