- Rattle/Carsen 2013
- Conlon/Branagh 2006
- Ericson/Bergman 1975
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★★★★★
1. La seconda volta di Carsen
Nel libretto del Flauto magico le parole morte (Tod) e morire (sterben) vengono nominate innumerevoli volte – solo nel Tristano vi è un maggior numero di ricorrenze. Questa circostanza, assieme al fatto che il suo debutto il 30 settembre 1791 sia avvenuto due mesi prima della morte di Mozart, getta una luce particolare su un’opera che sembra tra le più felici del compositore, ma non si può fare a meno di ricordare la lettera al padre del 4 aprile 1787 in cui Mozart aveva confidato: «Siccome la morte (presa in sé) è il vero scopo della nostra vita, da un paio d’anni ho fatto tale conoscenza con questa vera e ottima amica dell’uomo, che la sua immagine non ha nulla di spaventoso per me, ma qualche cosa di tranquillante e consolante! […] Non mi corico mai la sera senza considerare ch’io forse (per quanto giovane) il giorno dopo non ci sarò più».
Atto I. Il principe Tamino sta fuggendo inseguito da un dragone e al momento di essere raggiunto sviene. Giungono però in suo soccorso le tre Dame della Regina della Notte che abbattono il serpente con le loro lance d’argento. Lasciano poi a malincuore il bel giovane per recarsi dalla Regina a informarla. Entra in scena Papageno, il buffo uccellatore vestito di piume che suona il suo flauto, e quando Tamino riprende i sensi, si vanta di essere stato lui a uccidere il dragone. Tornano però le tre Dame che lo puniscono per questa menzogna, chiudendogli la bocca con un lucchetto. Mostrano poi a Tamino un ritratto della giovane Pamina, figlia della Regina ed egli resta colpito dalla sua bellezza. Preannunciata da un fragore di tuoni, fa l’ingresso in scena la Regina della Notte, che lamenta il dolore per la scomparsa della figlia Pamina rapita dal malvagio Sarastro, tenuta prigioniera da un suo incantesimo e prega Tamino di andare a salvarla. Tamino, innamoratosi della giovane, decide di andare con l’uccellatore Papageno a liberarla. Le Dame slegano quest’ultimo dal lucchetto, e danno a Tamino un flauto magico che lo assista nell’impresa, e un Glockenspiel fatato a Papageno. Tamino e Papageno si incamminano così verso il castello di Sarastro, sotto la guida di tre genietti. Papageno arriva per primo al castello e penetra nella stanza dove il perfido moro Monostato tiene prigioniera Pamina, oggetto delle sue attenzioni morbose. Alla vista reciproca, Papageno e Monostato si mettono paura a vicenda, essendo il primo bizzarramente rivestito di piume e il secondo un uomo di pelle nera. Entrambi scappano via, ma Papageno riprendendo coraggio torna da Pamina, informandola che il principe Tamino è innamorato di lei. Costei a sua volta lo rincuora assicurando che il cielo manderà anche a lui una compagna; poi insieme tentano la fuga. Tamino frattanto, guidato dai ragazzi, giunge di fronte a tre templi, intitolati rispettivamente alla Natura, alla Ragione, e alla Sapienza. Respinto dai primi due, vede uscire dal terzo un sacerdote egizio che gli chiede cosa stia cercando. Tamino risponde amore e virtù, eppure il suo cuore grida vendetta contro Sarastro. Il sacerdote, capovolgendo l’immagine di un Sarastro malvagio, sostiene che questi è un maestro di saggezza, il quale ha rapito Pamina per un motivo che resterà oscuro a Tamino finché non si faccia guidare dall’amicizia. Tamino, sconcertato e disorientato, suona il flauto magico nella speranza di far apparire Pamina, e riceve in lontananza la risposta del flauto di Papageno, che sta fuggendo insieme con lei dagli sgherri di Monostato. Per sottrarsi alle loro grinfie, Papageno fa suonare il carillon fatato, e costoro per magia si rammansiscono e si allontanano. Papageno e Pamina non fanno però in tempo a esultare, perché subentra Sarastro su un carro trionfale condotto da sei leoni, preceduto da un corteo di devoti. Pamina gli confessa di aver tentato la fuga per sottrarsi alle insidie di Monostato, al che Sarastro, con fare paterno, le spiega che per il suo bene non vuole restituirla a sua madre, donna che definisce superba. Catturato da Monostato, Tamino viene successivamente condotto al cospetto di Sarastro. Ora Tamino e Pamina si incontrano per la prima volta e subito si amano. Contro ogni aspettativa, Sarastro fa punire Monostato e libera Tamino, informandolo che, se vorrà entrare nel suo regno con Papageno, dovrà superare tre prove.
Atto II. La scena riprende in un boschetto di acacie, dove al centro si erge una piramide. Diciotto sacerdoti marciano con passi solenni, guidati da Sarastro, per preparare il Rito di iniziazione per l’ingresso dei nuovi adepti nella loro confraternita. Sarastro rivela di aver rapito Pamina perché destinata dagli Dei al nobile Tamino. Pronuncia quindi un’invocazione a Iside e Osiride, affinché assistano spiritualmente Papageno e Tamino nelle dure prove che li attendono. Terminata l’orazione, i due sono fatti entrare nel vestibolo del Tempio della Saggezza, dove vengono privati di ogni possesso e interrogati da due sacerdoti circa le loro intenzioni. Tamino risponde di voler cercare in amicizia la conoscenza e la saggezza, Papageno invece preferirebbe una donna da amare. Entrambi incominciano quindi la prima prova: dovranno stare in silenzio, qualunque cosa accada. Presto si fa buio e riappaiono le tre Dame, che cercano di dissuaderli dall’entrare nella confraternita, mettendoli in guardia dai falsi sentimenti dei sacerdoti. Tamino tuttavia non cede. Nella scena seguente, Monostato si avvicina furtivamente a Pamina addormentata in un giardino notturno: vorrebbe baciarla, ma, spaventato dall’arrivo di Astrifiammante, si nasconde per origliare. La Regina della Notte chiede a Pamina notizie del giovane che aveva inviato a liberarla, e va in collera quando apprende che si è unito agli iniziati. Poiché lei non può nulla contro Sarastro, da quando il suo sposo in punto di morte lasciò a lui il Cerchio del Sole dai Sette Raggi, consegna a Pamina un pugnale perché sia lei a uccidere Sarastro, minacciando di maledirla se non farà ciò che le ha ordinato. La Regina della Notte se ne va e Monostato, avvicinatosi a Pamina, le minaccia di rivelare l’intrigo a Sarastro se lei non lo amerà. Sopraggiunge Sarastro, che dopo aver scacciato Monostato si rivolge paternamente a Pamina e le spiega che non si vendicherà, perché solo l’amore, non la vendetta, conduce alla felicità. Prosegue intanto il percorso iniziatico di Tamino e di Papageno, al quale si rivolge una vecchina innamorata di lui che afferma di avere 18 anni. Si avvicinano anche i tre ragazzi su una macchina volante, che restituiscono loro rispettivamente il flauto e il carillon di campanelli, e portano da mangiare. Pamina cerca di parlare a Tamino, ma il giovane – essendo ancora sottoposto alla prova del silenzio – non può. Lei crede che non l’ami più, e, colta dal dolore, medita il suicidio col pugnale della madre, ma viene fermata dai tre fanciulli che le confidano che Tamino è ancora innamorato di lei. Papageno, che ha infranto la regola del silenzio, non può più continuare la prova; non potendo ora più godere delle gioie celesti, gli viene concesso il piacere terreno di una coppa di vino rosso, e dell’amore di quella vecchia che improvvisamente si tramuta in un’avvenente ragazza di nome Papagena, la quale però subito gli viene sottratta. Pamina decide invece di accompagnare Tamino nel tentativo di superare le due successive prove dei quattro elementi: l’attraversamento dei sotterranei del Tempio e la purificazione con l’Acqua, la Terra, l’Aria e il Fuoco. Pamina gli svela l’origine del flauto magico, che fu intagliato durante una tempesta da suo padre, Gran Maestro di una Confraternita Solare, grazie al suono del quale ora essi, protetti da una piramide di energia, possono restare indenni contro le forze astrali che si scatenano su di loro. Superando infine la prova, vengono fatti entrare nel Tempio nel coro di giubilo dei sacerdoti. Papageno, intanto, sconsolato per la scomparsa di Papagena, vorrebbe impiccarsi a un albero, ma viene fermato in tempo dai tre genietti che lo esortano a suonare il carillon: subito riappare la sua innamorata, che finalmente si concede a lui completamente. Ma subito dopo arrivano Astrifiammante, le tre Dame, e Monostato che si è unito a loro, per uccidere Sarastro e impossessarsi del suo regno. Un terremoto però li fa inabissare e così si celebra la vittoria del Bene sul Male. Pamina e Tamino vengono accolti nel Regno Solare di Sarastro, e l’opera si conclude col coro finale dei sacerdoti.
Nato al Festival di Pasqua di Baden-Baden del 2013 questo spettacolo di Carsen non ha nulla a che fare con la messa in scena che il regista canadese aveva apprestato per il festival di Aix-en-Provence vent’anni prima.
Qui egli adotta un’ottica completamente diversa: Il suo Flauto magico non è affetto da quella visione manichea di buoni contro cattivi cui siamo abituati. Nella sua visione sono tutti buoni, anche la Regina della Notte, donna sensuale e tenera madre, non l’isterica megera che abbiamo visto in molte messe in scena.
Anzi, sono Sarastro e i suoi seguaci che ci fanno pensare al lato oscuro, negativo della vicenda: abitano sotterranee necropoli, vestono grigi mantelli e sono resi ciechi da una benda che copre gli occhi. E sono loro che gettano Tamino nella fossa del serpente o spingono con violenza Pamina alle prove di iniziazione, tra cui quella della madre che le impone di uccidere Sarastro. Ma è solo un test, Astrifiammante è un personaggio positivo, anche lei è introdotta da Sarastro agli iniziati e parteciperà con apprensione alle prove cui è sottoposta la figlia.
Come nel testo di Schikaneder la morte è onnipresente anche nella messa in scena di Carsen: con l’esperienza del pericolo e della morte c’è la conseguente presa di coscienza della finitezza dell’esistenza umana da cui il carattere prezioso della vita e dell’amore per il prossimo. Il finale struggentemente umano è una riconciliazione generale cui tutti partecipano: Sarastro e i suoi iniziati, che si sbarazzano dei loro orpelli, la Regina della Notte e le sue dame, perfino Monostatos incoraggiato da Pamina. Come per molti altri registi di questi ultimi tempi (a partire dal film di Ingmar Bergman fino al recentissimo McBurney) a Carsen non interessano simboli e riti massonici. La sua è una regia che come le migliori messe in scene “moderne” parte da una prospettiva inedita per svelarci altri aspetti della vicenda. C’è chi ha rilevato qui una lettura wagneriana (l’immagine della foresta, Tamino come Siegfried, il cattivo Monostatos come il nano nibelungico), quasi un preludio alla Tetralogia e alle opere romantiche tedesche, come in effetti è.
La visione del regista è splendidamente sostenuta dalle scene semplici e ingegnose di Michael Levine. Nel primo atto (quello della vita) siamo su un prato verde che copre anche la passerella che separa la buca dell’orchestra dal pubblico della platea. Sul fondo viene proiettata l’immagine di un bosco nell’avvicendarsi delle stagioni e prima una, poi due e infine tre fosse si aprono nel terreno: sono le porte da cui entrano i nostri giovani eroi. E infatti nel secondo atto (quello della morte) siamo nei sotterranei, il pavimento è di terra e sono le tre fosse, che vediamo dal basso verso l’alto, ora a illuminare l’ambiente ipogeo. La buca dell’orchestra è anch’essa una fossa da cui scaturisce la musica che riconcilia l’umanità la quale tutta vestita di bianco alla fine dell’opera vi si affaccia per celebrare «la bellezza e la saggezza».
Anche i costumi di Petra Reinhardt sono coerenti con l’impostazione registica: al bianco dei giovani si contrappone la rigidezza e il grigiore degli adepti di Sarastro; Papageno è un simpatico autostoppista con zaino e frigo portatile; Papagena uscirà da una tomba vestita come la sposa cadavere di Tim Burton; la Regina della Notte e le dame sono in eleganti e sexy abiti da sera.
I dettagli della messa in scena sono altrettanto preziosi della visione d’insieme. Ecco allora i costumi dei tre piccoli geni di volta in volta identici a quelli dei personaggi che vengono a salvare, o il telecomando con cui viene chiusa la bocca di Papageno, la giacca di Monostatos gettata nella fossa che riappare cadendo dall’alto nel sotterraneo…
I personaggi giovani sono interpretati qui da cantanti altrettanto giovani e attraenti: dal Tamino burroso e dal timbro affascinante di Pavol Breslik alla Pamina di Kate Royal, da Michael Nagy (Papageno) a Regula Mühlemann (la Papagena di Aix-en-Provence), anche Monostatos è un giovane, James Elliott. Tutti eccellenti.
I grandi nomi sono riservati alle parti degli “adulti”: le tre irresistibili dame (Annick Massis, Magdalena Kožená e Nathalie Stutzmann), tutte individualmente delineate; il Sarastro autorevole di Dimitrij Ivaščenko e lo Sprecher di lusso di José van Dam. Meraviglia di intonazione e precisione nelle agilità contraddistinguono la vocalità della Regina della Notte di Ana Durlovski.
I Berliner Philharmoniker avevano già suonato tre volte l’opera in studio di registrazione per le edizioni discografiche di Beecham, Böhm e Karajan, ma è la prima volta che lo fanno dal vivo e sotto la bacchetta di Simon Rattle il quale, come racconta in uno degli extra contenuti nel blu-ray, si è avvicinato con molte cautele al capolavoro mozartiano. La sua direzione è classicamente apollinea, più convincente nei momenti solenni e misticheggianti, meno in quelli umoristici della commedia.
La registrazione dello spettacolo è disponibile su doppio DVD o blu-ray che si possono ottenere solo dal sito online dei Berliner Philharmoniker. Niente sottotitoli in italiano.
⸪
⸪
★★★★☆
2. Il film di Branagh
Trent’anni dopo la versione cinematografica di Ingmar Bergman del 1975 e in occasione dei duecentocinquant’anni della nascita di Mozart, Kenneth Branagh, dopo tante fortunate esperienze shakespeariane, si cimenta con l’ultimo capolavoro mozartiano. Diversamente dall’edizione del maestro svedese, che ambienta il suo Flauto in un vero teatro, anche se un po’ particolare come quello del castello di Drottningholm a Stoccolma, quella di Branagh è una versione del tutto cinematografica, girata in un set e piena di effetti speciali che avrebbero fatto felici Mozart e Schikaneder. Gli interpreti cantano in playback la loro parte, qui in inglese mentre nel film di Bergman era in svedese. Ma entrambi i registi concordano in importanti varianti della vicenda originale: Sarastro è il padre di Pamina, quindi ex-marito della Regina e Monostatos alla fine si uccide.
Come in Bergman neanche qui ci sono riferimenti massonici, ma mentre là si esaltavano gli aspetti da favola infantile della vicenda, qui il messaggio è più terreno e decisamente contro la guerra. Infatti, il libretto, riscritto da Stephen Fry, ambienta la vicenda in un campo di battaglia della Prima Guerra Mondiale. Il palazzo di Sarastro è adibito a ospedale da campo e Papageno utilizza piccioni per i messaggi e canarini per rilevare i gas velenosi che minacciano Tamino – non c’è spazio per draghi qui. La prova dell’acqua per Tamino e Pamina è l’allagamento della loro trincea e quella del fuoco l’attraversamento di un campo fra le bombe. E la Regina della Notte fa il suo minaccioso ingresso su un carro armato. Alla fine l’amore dei due giovani determina anche il destino di una nazione che esce dalle tenebre della guerra, dalla morte e dalla distruzione per conquistare la luce e la pace.
La versione in inglese di Fry è pregevole anche perché preserva l’accentazione e sillabazione della lingua tedesca originale.
La Chamber Orchestra of Europe è diretta da James Conlon e il cast è stato scelto sia per le qualità vocali sia per le capacità interpretative e cinegeniche. Ecco perché a parte René Pape, autorevole nel ruolo di Sarastro portato molte volte in scena, gli altri interpreti erano debuttanti o poco conosciuti allora nel 2005. Il suo Tamino ha aperto a Joseph Kaiser una discreta carriera nell’opera lirica. Il soprano russo Lyubov’ Petrova, qui acrobatica Regina della Notte, è quella con più esperienza avendo già debuttato precedentemente come Zerbinetta. Ben Davis, Papageno, ha invece scelto la strada del musical di Broadway. L’esordiente Amy Carson è una Pamina convincente come attrice, ma dalla vocina acerba.
L’attore/regista irlandese non solo è la prima volta che affronta un’opera lirica, ma è un neofita assoluto del genere e porta una freschezza e una sincerità pregevoli nella sua visione, tanto da riuscire a commuovere anche un vecchio smaliziato spettatore come me. Questa di Branagh è un’edizione non tanto destinata al pubblico consueto dell’opera, ma per chi all’opera non ci va o non la conosce, un pubblico diverso, giovane cui l’immortale capolavoro di Mozart sembra comunque essere destinato fin da quel lontano 1791.
Il film è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia del 2006 in un teatro La Fenice che per la prima volta ospitava una proiezione cinematografica. Il disco non ha sottotitoli e come extra ha interviste agli interpreti e il making of del film. Immagine perfetta in formato panoramico e due tracce audio.
⸪
★★★★☆
3. Quarant’anni più tardi…
… e dopo aver assistito a molti degli innumerevoli adattamenti dell’ultimo capolavoro di Mozart (compreso quello infelicissimo di Baricco al Regio di Torino nel 2006) rieccoci a immergerci nella lettura di uno dei maestri del cinema del Novecento.
Diciamo subito che l’impressione di freschezza e gioioso stupore della prima volta è rimasta intatta. Pur non rinunciando alla sua cifra stilistica (dialoghi sussurrati, primissimi piani ecc.), Ingmar Bergman fa del suo Flauto magico non solo un lavoro di grande originalità, ma anche una delle migliori trasposizioni filmiche di un’opera in musica. E alcune delle sue invenzioni le ritroviamo riadattate negli allestimenti oggi più à la page come i tre fanciulli in mongolfiera o le moralità presentate sotto forma di didascalie.
Pur partendo da una recita allestita nel settecentesco teatrino di corte di Drottningholm con il suo attento pubblico multirazziale, il successivo montaggio trasforma la recita in un film a tutti gli effetti con scene che possono essere registrate solo in un attrezzato studio cinematografico, quello del Filmhuset di Stoccolma.
Seppure scorciata nei recitativi e con vistosi spostamenti di scene e tagli alla parte musicale, la versione è sostanzialmente fedele allo spirito del testo di Schikaneder. Non ci sono però simboli massonici e le invocazioni a Iside e Osiride sono dirette a un’entità più cristiana con Sarastro visto come una figura simile al Cristo e i suoi sacerdoti i discepoli dell’ultima cena.
Bergman filma anche l’intervallo con molta ironia. Non ci sono però le interviste dietro le quinte delle dirette dal MET. Qui durante la pausa vediamo Sarastro studiare la partitura del Parsifal, uno schiavo leggere Paperino, la regina della notte farsi una sigaretta sotto il cartello “Vietato fumare”, il ‘drago’ sgranchirsi le gambe e i due giovani innamorati giocare a scacchi come nella pièce di Giacosa.
Come farà trent’anni dopo Kenneth Branagh, anche Ingmar Bergman sceglie la sua lingua madre, lo svedese (Branagh l’inglese) e interpreti soprattutto cinegenici. I cantanti svedesi del film non erano noti allora al di fuori del loro paese e non sembra lo siano diventati neppure in seguito. Non tutti sono spigliati attori, a parte Papageno e il secondo sacerdote che si ritagliano argute scenette a due. Il playback quasi non si nota e la recitazione è comunque funzionale, un po’ meno la loro vocalità, soprattutto quella della Regina della Notte, voce potente ma stridula. Non memorabile quella degli altri interpreti.
Di ottimo livello la direzione di Eric Ericson dell’orchestra della radio Svedese.
⸫
- Die Zauberflöte, Boër/Kentridge, Milano, 20 marzo 2011
- Die Zauberflöte, Montanari/Sorin, Lione, 6 luglio 2013
- Die Zauberflöte, Heras-Casado/McBurney, Aix-en-Provence, 9 luglio 2014
- Die Zauberflöte, Lange/Carsen, Parigi, 29 maggio 2015
- Die Zauberflöte, Manacorda/Michieletto, Venezia, 30 ottobre 2015
- Die Zauberflöte, Jones/McVicar, Londra, 20 settembre 2017
- Die Zauberflöte, Edusey/Kosky, Parigi, 8 novembre 2017
- Il flauto magico, Cohen/Vick, Macerata, 20 luglio 2018
- Die Zauberflöte, de Ridder/Talevi, Denver, 15 luglio 2018
- Die Zauberflöte, Manacorda/Castellucci, Bruxelles, 28 settembre 2018
- Die Zauberflöte, Wigglesworth/Doucet, Glyndebourne, 4 agosto 2019
- La flûte enchantée, Niquet/Roussat & Lubek, Versailles, 14 gennaio 2020
- Die Zauberflöte, Quatrini/Kosky, Torino, 30 marzo 2023
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