Die Zauberflöte

 

Wolfgang Amadeus Mozart, Die Zauberflöte

Torino, Teatro Regio, 30 marzo 2023

Col Flauto magico di Kosky il Regio conquista i giovani

Le uniche due produzioni di Barrie Kosky arrivate finora in Italia sono state quelle del suo Evgenij Onegin al San Carlo di Napoli e a Roma di questo Flauto magico. Non molte per un regista che i maggiori teatri del mondo si contendono per la genialità, l’originalità e lo straordinario senso teatrale.

Nato in Australia nel 1967, Kosky nel 2001 diventa co-direttore della Schauspielhaus di Vienna e poi direttore della Komische Oper di Berlino. Primo regista ebreo – e omosessuale dichiarato – ad allestire un’opera di Wagner al Festival di Bayreuth (dei memorabili Maestri cantori), è tra i più ricercati metteur en scène del momento, con un’agenda che prevede una produzione ogni due mesi. Indimenticabili sono le sue escursioni nel genere dell’operetta, soprattutto berlinese (Oscar Straus, Jaromír Weinberger, Paul Abraham), ma anche francese (Jacques Offenbach), e nel musical.

Scelta dal precedente sovrintendente e poi direttore artistico Sebastian Schwarz, questa produzione nata alla Komische Oper di Berlino nel 2012 è il frutto di un progetto del collettivo londinese di animazione “1927” fondato da Suzanne Andrade e Paul Barrit che hanno deciso di richiamarsi a questa data che indica la nascita del cinema sonoro. Se la parte visuale è del “1927”, l’impianto narrativo e l’idea dell’espediente cinematografico sono merito di Kosky che non ha letto l’ultimo lavoro di Mozart come un’opera carica di implicazioni filosofiche e morali, ma ha concentrato la sua lettura sulla figura di Schikaneder, il librettista del Flauto magico.

Alla fine dell’ouverture il sipario rosso si alza e mostra una parete bianca che si trasforma in una foresta con un giovane che corre per sfuggire a un drago-serpente rosso che lo minaccia con le fauci spalancate. Ma il giovane non sta effettivamente correndo: le gambe che si muovono freneticamente sono soltanto proiettate su un piccolo schermo che copre metà della sua figura. In alto, sulla parete tre aperture ruotano e appaiono tre signore con colli di pelliccia e sigaretta in mano: sono le tre dame che salvano il principe Tamino dal drago-serpente. Così inizia il Flauto magico ideato da Barrie Kosky e Suzanne Andrade.

Sospesi ad alcuni metri d’altezza, i cantanti si affacciano dalle finestrelle ritagliate nella parete bianca che funge da schermo per interagire con le figure in movimento. Il Flauto magico è essenzialmente opera di immagini e fu creato per quel teatro figurativo che Schikaneder proponeva al pubblico del suo Freihaus-Theater an der Wieden, un teatro che traduceva in divertimento popolare la spettacolarità barocca con i suoi arditi congegni, le macchine volanti, le botole, i cambi di scena, gli ingenui ma efficaci effetti teatrali. Quella ostentata spettacolarità è qui tradotta nei disegni animati realizzate da Paul Barrit che ha ripreso attualizzandole le tecniche multimediali della “Laterna magika”, teatro sperimentale presente a Praga fin dai primi anni ’60. Lo spettacolo è perfettamente congegnato e ha un enorme appeal per i pubblici di tutto il mondo che scoprono una nuova estetica espressiva. Quello di Kosky è innanzitutto un omaggio al cinema muto: Pamina sembra la Louise Brooks/Lulu di Pabst, Papageno è uno svampito Buster Keaton, Monostatos ricorda il Nosferatu di Murnau, Tamino un disinvolto Charlot. C’è il cinema espressionista tedesco, ma anche quello di Méliès e tanto altro ancora: il vaudeville, il music-hall, il cabaret berlinese, le prime tecniche di animazione, le illustrazione dei libri di Jules Verne, i collage surrealisti di Max Ernst, la grafica in stile neo-gothic di Edward Gorey, l’estetica dei fumetti e delle graphic novel. Da cinema muto sono le didascalie che condensano i dialoghi parlati. La presenza fisica dei cantanti è ridotta al minimo, talora ne vediamo solo la testa, com’è il caso della Regina della Notte trasformata in un gigantesco aracnide o dei genietti, qui simpatiche lucciole. L’obiettivo è inserire la voce dentro un’entità visiva di un universo in bianco e nero che evidenzia i vivaci tocchi di colore. L’interazione tra immagini e interpreti in carne e ossa è realizzata magistralmente, la sincronia con la musica sfiora la perfezione.

La musica del Flauto presenta atmosfere già proiettate verso la sensibilità romantica e oltre. Lo ha ben compreso il direttore Sesto Quatrini che della partitura ha offerto una lettura pulita e trasparente, con tempi distesi – un po’ troppo lenti però quelli dell’aria di Sarastro «In diesen heil’gen Hallen» che hanno messo in difficoltà il povero baritono – ma in generale la sua concertazione ha tenuto conto della qualità delle voci a disposizione ottenendo un buon equilibrio tra scena e buca. L’orchestra del teatro ha dato buona prova nei colori e nella precisione dei loro strumenti. Al fortepiano si sono ascoltate le musiche delle Fantasie per pianoforte in re minore K397 e do minore K475, dello stesso Mozart, che hanno collegato i vari numeri musicali dell’opera con insospettata fluidità. Ottimo l’apporto del coro, prima nascosto e poi solo alla fine in carne e ossa al proscenio, quando la pellicola si brucia e la favola cinematografica finisce: un momento di grande commozione in cui il coro intona quell’inno di lode alla saggezza in cui si vuole unire tutta l’umanità.

Due i cast previsti per la dozzina di recite di questo Flauto magico. Nella serata di giovedì si sono distinti i due interpreti dei personaggi principali: Gabriela Legun ha un bel timbro caldo e un fraseggio impeccabile con cui delineare una sensibile Pamina. La tecnica vocale esibita le permetterà addirittura di interpretare la Regina della Notte in due recite. Giovanni Sala è un Tamino dal timbro fresco e luminoso, dalla linea musicale impeccabile, bello stile e ottima dizione. Vocalmente i momenti migliori della serata sono proprio quelli che hanno visto assieme i due giovani cantanti. Il baritono Gurgen Baveyan è un Papageno corretto ma dalla dizione poco chiara e manca di caratterizzazione di un personaggio che vuole essere il beniamino del pubblico in questa favola. Voce non imponente e dal timbro quasi infantile, ma colorature fluide e precise quelle della Regina della Notte di Beate Ritter, più minacciosa comunque per la figura che per la vocalità. Thomas Cilluffo è un Monostatos di efficace presenza scenica ma voce di non grande proiezione, meglio il Sarastro di In-Sung Sim dalla nobile ed autorevole presenza vocale. Al pari della Papagena di Amélie Hois, molti degli altri interpreti sono artisti del Regio Ensemble: le simpatiche tre dame dalla distinta personalità Lucrezia Drei, Ksenia Chubunova, Margherita Sala; le voci bianche dei fanciulli, e qui in mancanza di maschietti si ripiega sulle pur brave Flavia Pedilarco, Costanza Falcinelli, Blanca Zorec; gli armigeri Enzo Peroni e Rocco Lia.

Anche se dopo questa seconda visione, seguita a quella all’Opéra-Comique di Parigi nel 2017, permangono le riserve già allora avanzate – la bidimensionalità non è solo nelle immagini, ma anche nei personaggi, qui caratteri da fumetto e gli interpreti, imbragati nelle loro finestrelle fissate nello spazio scenico non hanno grandi possibilità espressive oltre alla voce – il fascino dell’operazione rimane immutato. La genialità sta però nella sua unicità: non sarà questo il futuro dell’opera, ma l’entusiasmo del pubblico giovanile ci deve far riflettere: chi non aveva mai visto un’opera forse non si è neanche accorto di essere stato “all’opera”, ma si è divertito e probabilmente ci ritornerà. La recita del 30 marzo era infatti l’Anteprima Giovani, una serata per chi ha meno di trent’anni a 10€ , quanto un biglietto al cinema.

 

Prima dell’inizio nel foyer del teatro c’è stata la “presentazione-spettacolo” della bravissima Giorgia Goldini che con la valida spalla del maestro Giulio Laguzzi al pianoforte non solo ha divertito raccontando a modo suo la trama dell’opera ma ha anche ironicamente esposto le procedure associate al rito dell’andare a teatro e le raccomandazioni su come comportarsi. Non ce n’è stato bisogno: il giovane pubblico si è distinto per l’attentissimo silenzio interrotto solo dagli applausi alla fine di certi numeri e dalle ovazioni finali. Nessun colpo di tosse, nessuno che si sia trastullato col cellulare, nessuno che abbia abbandonato la sala prima della fine o si sia alzato appena la musica si è spenta per correre al guardaroba… Il pubblico ideale.

All’intervallo c’era chi tirava fuori dallo zaino il panino col salame e chi invece passeggiava per i corridoi del teatro con una coppa di prosecco o un succo di frutta in mano. Qualche ragazza era in un lungo abito elegante, qualche ragazzo in nero e col papillon. E dopo lo spettacolo nel Foyer del toro c’era ancora Contrasti, il concerto rock con la partecipazione della band Napoleone per concludere in bellezza. Ragazzi, che serata!

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