Adam’s Passion

foto © Kristian Kruuser & Kaupo Kikkas

Arvo Pärt, Adam’s Passion

Roma, La Nuvola, 31 marzo 2023

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La tragedia del genere umano nella “cerimonia” di Pärt e Wilson

Due maestri del ralenti si incontrano, due economie simili, una sonora e l’altra visiva. Le musiche del compositore estone Arvo Pärt, che unisce tre suoi lavori Il lamento di Adamo, Tabula rasa e Miserere e ve ne aggiunge un quarto,  Sequentia, scritto appositamente per l’occasione, diventano una performance in cui gli ottantacinque minuti di musica si armonizzano perfettamente al teatro ipnotico di Robert Wilson.

Nelle parole del compositore la base di Sequentia «è la sottile linea discendente del violino, composta come una catena di tre note. Gli altri gruppi orchestrali la seguono in successione come un canone. È come un filo particolare in un tappeto. Il disegno emerge se tutti gli strati lavorano insieme». Il brano deve essere eseguito in modo dolce, portando gli ascoltatori in un mondo sonoro particolarmente fragile, in cui si incontrano movimento e quiete, tempo e atemporalità e l’esecuzione richiede archi senza vibrato. La pagina è stata creata nel 2014 appositamente per la produzione Adam’s Passion, dedicata a Robert Wilson è una specie di ouverture agli altri tre pezzi.

Il lamento di Adamo (2009) è una composizione per coro e orchestra sul testo russo del monaco ortodosso Silvano del Monte Athos (1866-1938) le cui parole recitano: «Adamo, padre di tutta l’umanità, nel paradiso conobbe la dolcezza dell’amore di Dio; così, quando per il suo peccato fu cacciato dal giardino dell’Eden e rimase vedovo dell’amore di Dio, soffrì molto ed emise un forte gemito. E tutto il deserto risuonò dei suoi lamenti». Il monologo è cantato dalle voci maschili del coro e la struttura del testo detta l’andamento della composizione dove non solo il numero di sillabe e gli accenti delle parole ma anche i segni di interpunzione vengono tradotti in suoni e pause.

Tabula rasa è formata da due movimenti “Ludus” e “Silentium”. Qui Pärt sviluppa il suo stile tintinnabuli per due voci: la prima suona le note di una scala diatonica (voce della melodia), la seconda arpeggia sulla triade tonica (voce dei tintinnabuli). Praticamente un doppio concerto per due violini, orchestra d’archi e pianoforte preparato, è stato composto su richiesta del violinista Gidon Kremer nel 1977. I due movimenti sono in contrasto tra loro sia in termini di atmosfera che di velocità. Mentre “Ludus” consiste in otto variazioni e in una vigorosa cadenza, in “Silentium” Pärt utilizza di nuovo il canone della imitazione, con le diverse voci che si muovono a velocità ritmiche diverse. Pärt ha riservato la velocità ritmica più rapida alla voce del basso e quella più lenta al primo violino solo.

I due movimenti liturgici Miserere e Dies Irae, composti negli anni 1989-1992 per coro e orchestra, formano la terza parte. La differenza dei testi si riflette anche nel trattamento musicale: la preghiera di Davide è eseguita da solisti vocali accompagnati da strumenti selezionati in varie combinazioni, mentre nelle scene che formano il giorno del giudizio dell’umanità, il coro canta insieme al tutti strumentale. Nell’attesa della redenzione, queste due prospettive sembrano fondersi in un’unica preghiera silenziosa. Oltre all’organo, agli strumenti a fiato (oboe, clarinetto, clarinetto basso, fagotto, tromba e trombone) e alle percussioni, l’orchestrazione comprende anche una chitarra elettrica e un basso.

Adam’s Passion è nato dopo un incontro in Vaticano del compositore e del regista ed è stato presentato la prima volta a Tallinn, la capitale dell’Estonia, nel 2015 in una vecchia fabbrica di sottomarini. Libero da ogni vincolo narrativo, Wilson qui crea il suo spettacolo più essenziale, più depurato. La rarefatta musica di Pärt ha un corrispettivo visivo nel palcoscenico vuoto e nel raffinatissimo disegno luci di A.J. Weissbard dove una pedana che si protende verso il pubblico è incorniciata da luci al neon mentre il fondo della scena è occupato da una batteria fari che nel finale si uniranno con la loro luce al crescendo della musica.

Nel buio più totale le note dei due violini solisti fluttuano nella sala. Un improvviso battito di xilofono fa trasalire e un fascio di luce scorre attraverso lo schermo blu del fondale: lo spazio e il tempo sono creati dal caos primordiale. Una figura maschile emerge dal blu (il colore preferito di Wilson): è Adamo, irrigidito, solo le dita della mano hanno qualche movimento. Poi avanza molto lentamente – per dare una misura dei tempi impiega quasi venti minuti per fare i 12 metri della pedana – sul tappeto vibrante di un mare di nuvole. Lo sguardo è perso all’orizzonte, le labbra sono socchiuse come nell’espressione di una scultura antica. E della statuaria greca ha la nudità. I gesti sono lenti, misurati, solo a tratti il corpo è percorso da un improvviso tremito, come una scarica elettrica. Giunto alla fine della pedana raccoglie un ramo – l’ultimo rimasto dell’albero della conoscenza del bene e del male? – e se lo pone sul capo mentre in scena è apparsa una figura femminile in un lungo abito grigio (i costumi sono disegnati da Carlos Soto). È Eva, la Donna, una ieratica Lucinda Childs, coprotagonista da lungo tempo degli spettacoli di Wilson. Intanto sono comparse altre due figure (Caino e Abele), heavy men saltellanti nei lori costumi imbottiti – il lato brutale dell’umanità? – seguiti da un bambino vestito come quello di Einstein on the Beach che in equilibrio sulla testa si pone invece un parallelepipedo bianco, un manufatto, un mattone: l’uomo ha imparato a costruire, e infatti dall’alto scende la silhouette di una casa. Adamo, questa volta vestito, entra con una scala che rimane magicamente in piedi da sola su una gamba. Purtroppo l’uomo ha imparato anche a uccidere: altri due figli di Eva entrano in scena con delle mitragliatrici di legno. Il finale è più ottimistico: il palcoscenico si riempie di figure, prima un vecchio dall’andatura stanca (e si completa così la presentazione delle diverse età dell’uomo), poi il “coro degli alberi” (gli allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma), ognuno con un ramo sulla testa – l’equilibrio raggiunto tra l’umanità e la natura? – formando una specie di foresta in movimento.

Molti sono gli interrogativi posti dallo spettacolo di Wilson, di alcuni non c’è una risposta logica che si possa trarre dalla drammaturgia di Konrad Kuhn. Ma forse non è questo l’importante: come sempre negli spettacoli dell’artista americano l’elemento essenziale è la seduzione ipnotica delle immagini e dei suoni che incantano lo spettatore. E allora è perdonabile che invece di pensare alle complesse implicazioni filosofiche che hanno ispirato il compositore, lo spettatore si distragga a contemplare le michelangiolesche nudità di Michalis Theophanous, il performer già avvistato in alcuni recenti spettacoli di Dimitris Papaioannou.

L’orchestra dell’Opera è alle spalle degli spettatori – nulla deve distrarre dalla visione – ed è diretta dal direttore estone Tõnu Kaljuste, profondo conoscitore del suo conterraneo, che dipana con sapienza i rarefatti suoni della partitura mentre il coro del teatro, più avvezzo a pagine verdiane, affronta con impegno le elusive armonie della scrittura vocale di Pärt. Più a loro agio si rivelano i solisti dell’Estonian Philharmonic Chamber Choir, cinque voci che coprono tutti i registri, soprano, contralto, tenore, baritono e basso: Yena Choi, Marianne Pärna, Raul Mikson, Rainer Vilu e Henry Tiisma.

Un pubblico attento che ha riempito tutti i posti disponibili dell’auditorium de La Nuvola del Centro Congressi ha risposto con copiosi applausi, con particolare calore per la gloriosa Lucinda Childs, l’enigmatico Michalis Theophanous e la bella figura ancora diritta, non piegata dagli anni, di Robert Wilson.

Una registrazione dello spettacolo di Tallinn è disponibile su youtube.