Orestea

   

Eschilo, Orestea

regia di Davide Livermore

Torino, Teatro Carignano, 1 aprile 2023

Eschilo colossal

Ci è voluto molto coraggio nell’adattare uno spettacolo concepito per gli spazi all’aperto del Teatro Greco di Siracusa all’intimità del Teatro Carignano di Torino, ma Davide Livermore non si è lasciato intimorire dalla sfida e il risultato è nella risposta entusiasta del pubblico che affolla in questi giorni la sala dello Stabile torinese. Lo spettacolo è una coproduzione del Teatro Nazionale di Genova.

Eliminata la gigantesca parete a specchio che rifletteva gli spettatori sulle gradinate del Teatro Greco, così come il video circolare sul pavimento che raddoppiava quello sulla parete di fondo e rinunciando all’automobile nelle Coefore, il palcoscenico della sala di velluto rosso è ora ingombro degli oggetti che si perdevano là nell’immensità della scena di pietra: il divano, le poltrone, i tavolini, la pedana centrale rialzata, i pianoforti. Invece del cielo stellato e delle silhouette degli alberi, qui si vedono la graticciata e i ponti con le luci. Ma nessuno li nota: lo sguardo è calamitato da quello che avviene sul palcoscenico in uno spettacolo colossal non tanto per la lunghezza, ma per i contenuti e i molti strati espressivi utilizzati dal regista.

Di seguito e nella stessa giornata, le tragedie che formano la trilogia Orestea di Eschilo sono rappresentate in due parti: la prima contiene Agamennone, la seconda Coefore ed Eumenidi. Il personaggio di Oreste, che nella prima parte è solo menzionato, diventa il protagonista assoluto nella seconda parte.

Come in un libro di Agatha Christie quando l’assassino viene scoperto e confessa le ragioni del suo crimine, in Agamennone Clitennestra spiega che ha ucciso il marito appena ritornato vittorioso dalla guerra per vendicare il fatto che dieci anni prima Agamennone avesse sacrificato la figlia Ifigenia per placare gli dèi del mare e consentire così alle navi di salpare per Ilio. Da tempo la donna ha preparato l’assassinio con la complicità di Egisto, anche lui assetato di vendetta contro gli Atridi in quanto figlio di quel Tieste costretto dal fratello Atreo, con cui si contendeva il trono di Micene, a cibarsi della carne degli altri suoi tre figli. Si veniva a innescare allora quella faida famigliare – ma Eschilo la definisce “giustizia” –  che forma la vicenda di questa trilogia.

In Coefore ha luogo la vendetta di Oreste e della sorella Elettra, ossia l’assassinio di Clitennestra e di Egisto. Questa catena di sangue andrebbe avanti all’infinito se Atena in Eumenidi non istituisse il primo processo per giudicare Oreste dove si decide se è più grave uccidere la madre, come ha fatto appunto il giovane, o il marito, come ha fatto Clitennestra. Con il voto di Atena Oreste viene assolto e le Erinni, eccitate dal fantasma della regina assetata di vendetta e che hanno perseguitato implacabili il giovane, si adeguano al giudizio e diventano Eumenidi, le benevole.

Ambientato in un dopoguerra, con costumi come sempre elegantissimi di Gianluca Falaschi che alludono agli anni ’30, la trilogia eschilea diventa una saga sul potere nella lettura di Livermore, una lettura quanto mai attuale nel nostro clima bellico: a distanza di migliaia di anni da quel lontano V secolo a.C. la storia è sempre contemporanea. Così come i guasti della democrazia, qui esemplati dalle immagini della Moby Prince, degli assassinii di Falcone e Borsellino, della strage della stazione di Bologna, del crollo del ponte Morandi, mentre la D-Wok trasforma lo schermo circolare in un pianeta a tre dimensioni in rotazione continua. 

La maratona teatrale si avvale di interpreti di eccellenza: dalla lucida e spietata Clitennestra di Laura Marinoni, alla intensa Cassandra, profetessa inascoltata, di Linda Gennari, dal breve ma memorabile intervento dell’Agamennone di Sax Nicosia al tormentato Oreste di Giuseppe Sartori, dalla gelida Elettra di Anna della Rosa alla maestosa dea Atena di Olivia Manescalchi, ma sarebbero tutti da citare i trenta interpreti. Le voci sono amplificate e distorte in tempo reale per trasformarle in una sorta di canto che raggiunge un effetto straniante. Nella prima parte le musiche di Mario Conte, dalla Musikalisches Opfer di Johann Sebastian Bach alla dodecafonia, sono realizzate in scena da Diego Mingolla e Stefania Visalli e si mescolano ai fragorosi cluster realizzati direttamente sulle corde di uno dei pianoforti. Nella seconda parte quelle di Andrea Chenna virano al pop con i vocalizzi di tre cantanti. I due finali sono poi affidati a brani dei Portshead e di David Bowie: «una celebrazione finale, una festa che coinvolge tutti. I concerti rock sono stati una nuova trasformazione del rito attorno all’arte e oggi sono il linguaggio musicale più diretto. E io voglio parlare a tutti» dice il regista. 

Agamennone

Coefore

Eumenidi