★★☆☆☆
«Una porcheria tedesca in lingua italiana». Questo lo stupido giudizio sull’ultima opera di Mozart espresso da Maria Luisa di Borbone moglie di Leopoldo II d’Asburgo e futura imperatrice del Sacro Romano Impero. Non brillava certo per intelligenza la nobile dama (e neppure per bellezza se neanche il Mengs riesce a migliorarla nei suoi due ritratti, uno a Vienna e l’altro ad Amsterdam).
Mozart morirà tre mesi dopo la prima rappresentazione nel settembre 1791. In questo breve lasso di tempo il compositore riuscirà a scrivere ancora il sublime concerto per clarinetto in La, la Piccola cantata massonica e il Requiem. Il testo è del Metastasio, ma è ampiamente riadattato da Caterino Mazzolà e da Mozart stesso con l’introduzione di concertati del tutto assenti nel libretto d’origine.
Atto I. L’azione ha luogo a Roma nell’anno 80 a.C. Il nuovo imperatore Tito Vespasiano ha intenzione di sposare la principessa giudea Berenice. Vitellia, figlia di Vitellio, il precedente imperatore deposto da Tito, è furiosa: «Prima che il sol tramonti, | estinto io vo’ l’indegno. | Sai ch’egli usurpa un regno | che in sorte il ciel mi diè» chiede a Sesto che è ciecamente innamorato di Vitellia. Tito cede sotto la pressione dei sudditi a sposare invece una donna romana e ciò infonde nuove speranze in Vitellia («Sesto, sospendi | d’eseguire i miei cenni»). Ma Tito pensa a Servilia, sorella di Sesto, il suo migliore amico, e Vitellia ridiventa furiosa: «Ah trema ingrato! | Trema d’avermi offesa. Oggi il tuo sangue…». Sesto fallisce nel piano ordito dalla donna che nel frattempo scopre che Tito ha rinunciato a sposare Servilia che è innamorata di Annio, l’amico di Sesto e ora Tito annuncia di voler sposare Vitellia che nuovamente si pente: «Vengo… aspettate… | Sesto!… Ahimè!… Sesto!… è partito?… | Oh sdegno mio funesto! | Oh insano mio furor!».
Atto II. Sesto è sopraffatto dal rimorso e confessa ad Annio il suo misfatto, ma Vitellia ha paura di essere coinvolta e lo persuade a non rivelarsi. Il ruolo di Sesto nel tentativo di assassinio di Tito è stato però scoperto, anche se Tito inizialmente non ci vuol credere. Colpita dal fatto che Sesto sia pronto a morir per lei, Vitellia è sempre più combattuta, «Annio, Servilia, andiam. (Ma dove corro | così senza pensar?) Partite, amici, | vi seguirò», ma poi si risolve per una confessione pubblica, dicendo così addio alle sue speranze di sposare l’imperatore e regnare al suo fianco: «Non più di fiori | vaghe catene | discenda Imene | ad intrecciar. | Stretta fra barbare | aspre ritorte | veggo la morte | ver me avanzar». In uno straordinario atto di clemenza Tito perdona tutti.
La freddezza dimostrata dal pubblico della prima segnò il destino dell’opera, assieme al giudizio ingeneroso espresso in seguito da Wagner. Ancora nel secolo scorso la valutazione era negativa se anche Mila la considerava «un’opera mancata», soprattutto se confrontata con l’altra opera seria, l’Idomeneo. Solo recentemente la fortuna del lavoro si sta riprendendo con una serie di produzioni che sono riuscite a metterne in luce la marmorea bellezza: Muti, Gardiner, Hogwood, Harnoncourt, Tate con Ronconi al San Carlo, Bicket con Ponnelle al Met sono solo alcuni dei nomi che vengono in mente.
Qui abbiamo l’edizione di Zurigo del 2005 con la messa in scena di quel monellaccio di Jonathan Miller che ambienta la vicenda in un’imprecisata epoca tra le due guerre, in uno stile vagamente fascista. Ma Tito come Mussolini che ci azzecca? Qui l’attualizzazione non aggiunge nulla alla comprensione della vicenda. La regia poi è estremamente statica così come la scenografia centrata su una specie di torre-osservatorio girevole con annessa scalinata che ha sul fondo una parete di vetrocemento.
Sul podio c’è Franz Welser-Möst a cui si deve l’idea di sostituire i recitativi con dialoghi parlati, poiché Mozart non riuscì a scriverli e fu l’allievo Süssmayer a completarli. Idea molto discutibile e per di più rischiosa se i cantanti non sono anche ottimi attori con una perfetta padronanza della lingua italiana. E qui le due condizioni non si verificano. Che sofferenza passare dalle eccelse arie ai dialoghi stentati o falsamente impostati. Non sfugge allo strazio neppure Eva Mei, l’unica italiana del cast. Figuriamoci con gli altri interpreti stranieri.
Poi finalmente cantano: il Sesto di Vesselina Kasarova è giustamente sofferto, anche se un po’ manierato. Eva Mei è vocalmente corretta, ma la sua Vitellia non è del tutto convincente. Neanche Jonas Kaufmann con il suo viso giovanile e le orecchie a sventola non è molto credibile come imperatore romano, ma è comunque ottimo. Ma come si è scurita nel tempo la voce!
Due ore di musica in tre tracce audio, nessun extra, ma una valanga di pubblicità.
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- La clemenza di Tito, Morlot/van Hove, Bruxelles, 16 gennaio 2016
- La clemenza di Tito, Ticciati/Guth, Glyndebourne, 3 agosto 2017
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