Julius Kronberg, David and Saul, 1885
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Marco Emanuele, Davide e Gionata
Torino, Polo del Novecento, 28 giugno 2022
La prima opera gay in italiano
Le forti amicizie virili non sono mai mancate nei melodrammi: pensiamo ad Achille e Patroclo nell’Iphigénie en Aulide, o ancor di più Oreste e Pilade nell’Iphigénie en Tauride di Gluck; Zurga e Nadir ne Les pêcheurs de perles di Bizet; Dalibor e Zdenek nel Dalibor di Smetana; Carlo e Rodrigo nel Don Carlos di Verdi… Sul tema dell’amore omosessuale quale soggetto principale della vicenda ricordiamo invece il recente Lessons in Love and Violence (2019) di George Benjamin tratto dall’Edward II di Christopher Marlowe. E proprio col titolo Edward II ci sono anche il lavoro di Francesco Cilluffo del 2006 e quello di Andrea Lorenzo Scartazzini, Deutsche Oper 2017. Un caso a sé sarebbe poi quello delle opere di Benjamin Britten.
Nel lontano 1688 fu rappresentata a Parigi la “tragédie biblique” David et Jonathas di Marc-Antoine Charpentier. Ora, sullo stesso soggetto Marco Emanuele presenta la sua ultima opera, Davide e Gionata, che può essere considerata la prima opera a soggetto GLBTQ scritta in italiano. L’occasione è la giornata di approfondimento al Polo del Novecento sul movimento omosessuali credenti a cinquant’anni dalla nascita a Torino del F.U.O.R.I.
Su libretto dello stesso compositore, che vi ha inserito versi di altri autori (1), quest’ultimo lavoro di Emanuele ha a modello, così come era successo con la sua precedente Mirra, l’opera belcantistica di primo Ottocento con recitativi, pezzi chiusi, cabalette, strette e concertati, qui con in più qualche incursione nel Settecento di Vivaldi e nel Novecento di Piazzolla.
Due giovani si amano, ma il loro amore è osteggiato dal padre. Quante storie come questa si incontrano nel melodramma, ma qui i due giovani sono dello stesso sesso e per la prima volta i versi sono del tutto espliciti: «Amo te solo | te solo amai; | tu fosti il primo | tu pur sarai | l’ultimo oggetto | che adorerò». La vicenda è liberamente tratta dagli episodi biblici del Primo libro di Samuele.
Atto I. Il pastore Davide è stato mandato in esilio dopo essere stato sorpreso dal re Saul in atteggiamenti teneri col figlio Gionata. Quest’ultimo è stato costretto a sposarsi e ora vive nel palazzo reale, sotto lo stretto controllo del padre. Da parte sua, Saul sta vivendo il momento più difficile come re d’Israele. Dopo essere stato un sovrano molto amato, ora sente di aver perso la fiducia suo popolo. Nella prima scena si consulta con il capo delle guardie, Abner, perché è preoccupato dalla tristezza e dalla malinconia di Gionata: sa che suo figlio pensa ancora a Davide e si chiede dove ha sbagliato come padre. Inoltre teme che Gionata non possa essere un valido successore al trono e che non sia un “vero uomo”. Su indicazione di Abner vuole fargli incontrare l’indovina, la Pitonessa, che farà rinascere la virilità e il coraggio del figlio. Gionata accetta, per amore del padre e per non deluderlo, ma il suo pensiero è ancora rivolto a Davide, che non vede da molto tempo. Davide torna di nascosto dall’esilio: ha scoperto che i Filistei stanno preparando un attacco contro il Regno di Israele. Giunge nei pressi del palazzo in cerca di Gionata. Sente che il momento che attende da tempo è finalmente arrivato e non vuole più nascondersi. Mentre si aggira nei dintorni del palazzo è sorpreso da Abner e coglie l’occasione per informarlo del fatto che i Filistei hanno un piano per attaccare. Nonostante il servizio reso dal ragazzo alla comunità, Abner lo tratta con sarcasmo e violenza. Lo accusa di voler portare via Gionata, che, gli dice, ora si dedica alla moglie e ha avuto un figlio da lei. Davide ha paura che Gionata lo abbia dimenticato e si allontana deluso. In una stanza del palazzo, Gionata sente il padre discutere con Abner: dicono che Davide è tornato a Gabaa. Il giovane interviene per saperne di più e ha uno scontro col padre, che in un accesso di follia minaccia di uccidere Davide, visto come un possibile rivale politico. Di fronte all’impossibilità di capire dove sia Davide, Gionata lascia il palazzo, attirato da una forza a cui non si può resistere e va a cercarlo nel deserto. Il mattino successivo Davide, che nel frattempo ha raggiunto l’accampamento dei soldati d’Israele, si risveglia all’alba e intona un canto con cui saluta la natura. Ha fatto un sogno in cui gli è stato predetto l’imminente ritorno di Gionata. Da lontano Gionata sente la voce di Davide e si avvicina: è arrivato il momento di dichiararsi amore reciproco. Nulla potrà più separarli.
Atto II. Per evitare la vergogna che colpirebbe la sua famiglia ed eliminare un rivale politico, Saul vuole uccidere Davide, colpevole di avergli portato via il figlio. Chiede ad Abner di occuparsene. Abner dice a Saul che quella soluzione porterà il popolo a pensare che sia stato lui ad assassinarlo. Meglio affidargli la guida dell’esercito e farlo uccidere da mano amica, durante la battaglia. Sarà senza dubbio più facile addossare la colpa ai Filistei. Rimasto solo, Saul spera in una risoluzione felice della vicenda. Abner raggiunge l’accampamento e comunica a Davide che iI re ha deciso di metterlo a capo dell’esercito, perché in precedenza era stato proprio Davide a sconfiggerei Filistei, abbattendo il gigante Golia. Gionata non si fida di questo improvviso cambio di posizione del padre, ma il suo amore per Davide lo spinge a sperare che qualcosa possa cambiare in meglio. Nella sua tenda, Saul in dormiveglia si rivolge a Davide, accusandolo di rubargli in figlio. Gionata lo raggiunge e lo ascolta, mentre dorme in preda alle sue visioni. Gionata ha un gesto di tenerezza nei confronti di suo padre, che vede invecchiato e fragile. Quando Saul si risveglia, scaccia Gionata con parole violente. Tornato all’accampamento, Gionata mette in guardia Davide perché ha capito che è in pericolo. Siccome Davide non lo ascolta e vuole combattere, Gionata gli chiede di scambiarsi le armature prima di andare in battaglia. Rimasto solo, prima di indossare quella di Davide, Gionata è raggiunto da Saul che gli impedisce di combattere al fianco di Davide, ordinandogli di restare fuori dalla battaglia, perché non può rischiare che il proprio figlio muoia. Il ragazzo, però, decide di disobbedire all’ordine per dimostrare di essere un uomo e difendere Davide: meglio morire che continuare a vivere una vita di falsità. Durante la battaglia Gionata muore, probabilmente colpito dallo stesso Saul, convinto di uccidere Davide. Quando si rende conto di quello che è successo, Saul ha un accesso di follia. Sul campo di battaglia resta solo Davide nella sua muta disperazione, con il corpo di Gionata sulle sue ginocchia.
Particolare la scelta delle voci, come spiega lo stesso Emanuele: «Per i due protagonisti ho pensato a voci dal timbro chiaro, diverse per estensione: due controtenori, dei quali uno canta più in registro sopranile (il più giovane, Davide) e uno in registro da contralto (Gionata). Questo per richiamare l’opera barocca, in cui gli eroi sono interpretati dai castrati, e per richiamare il belcanto italiano e l’opera seria di Rossini, in cui gli innamorati sono spesso una coppia di voci femminili (soprano/contralto). Se Abner è il tradizionale cattivo, il basso vilain, come Assur nella Semiramide di Rossini, per il re Saul […] ho pensato a una cantante donna che canta e recita en travesti». La scelta dei registri ha anche altre più profonde implicazioni: «I miei modelli non sono tanto i giovani eroi del melodramma rossiniano, ma alcune grandi attrici del teatro di prosa, come Sarah Bernhardt, che hanno interpretato parti maschili come Amleto, Werther o Lorenzaccio. Ma soprattutto vorrei rompere con la tradizione di voci maschili che interpretano personaggi di potere e anziani, cioè vorrei decostruire la figura del Padre tipica delle opere di Giuseppe Verdi. Il registro acuto del personaggio maschile del padre di Gionata, il re Saul, permetterebbe di assegnare il personaggio allo stesso cantante – o alla stessa cantante – che interpreta il personaggio di Davide, o comunque di creare una specie di rispecchiamento: tra l’altro i due personaggi non si incontrano mai in scena. L’idea è quella di creare un cortocircuito: sono in un certo senso due rivali, uno ombra dell’altro. La sovrapposizione delle figure dell’amante e del Padre allude al triangolo delle relazioni affettive: Gionata è innamorato del Padre, oltre che di Davide; e “muore”, in senso reale e simbolico, per dimostrare a entrambi e a sé stesso di essere all’altezza della mascolinità normativa».
Quattro le voci e otto gli strumenti: flauto, clarinetto, due violini, violoncello, clavicembalo e fisarmonica, diretti con precisione e senso della musica dal maestro Simone Lattes. Ed è la fisarmonica a farsi sentire per prima nella Sinfonia con un mi grave tenuto per ben ventidue battute sotto gli svolazzi del violoncello, poi dei violini e dei legni in un Presto che introduce alla prima scena dove in un recitativo il personaggio di Abner commenta fra sé il comportamento del re Saul in preghiera nella grotta della Pitonessa. Nel duetto che segue abbiamo le voci estreme del basso Giuseppe Gerardi, voce di grande proiezione che avrebbe però bisogno di un maggior controllo per essere più efficace, e del soprano Marina Degrassi, nell’impegnativo ruolo del re disorientato dalle inclinazioni amorose del figlio inutilmente accasato e con prole. I venti numeri musicali dei due atti in cui è diviso il lavoro, anche se non costruiscono una vera e drammatica tensione narrativa, costituiscono una varietà di momenti musicali ognuno caratterizzato da uno stile musicale suo proprio. È il caso ad esempio della cavatina rossiniana di Davide, il giovane controtenore Luca Parolin («No, non vedrete mai | cambiar gli affetti miei») o della “canzone” con cui Davide «esce dalla tenda e saluta il risveglio della natura cantando e accompagnandosi con il salterio» («Cantate al mio gioir, onde correnti»).
In un’opera da camera come questa, che fa l’occhiolino alla grande opera seria settecentesca, non poteva mancare la classica aria “di tempesta” «Fra l’orror della tempesta | che alle stelle il volto imbruna» (il cui testo ricorda l’aria di Arbace nell’Artaserse di Vinci «Vo solcando un mar crudele | senza vele e senza sarte | freme l’onda, il ciel s’imbruna»), ma qui inopinatamente la musica è quella di un tango con tanto di fisarmonica che rifà il bandoneón di Piazzolla!
La scena quinta del secondo atto è la più toccante: il vecchio re Saul nel dormiveglia e in preda a visioni è osservato con tenerezza dal figlio Gionata, che non riesce a cancellare l’amore per il padre nonostante che egli voglia ostacolare il suo per Davide. E qui ascoltiamo il controtenore Angelo Galeano, già ammirato nella Mirra, intonare con grande sensibilità, ottimo fraseggio e varietà di colori l’aria “del sonno” «Mentre dormi, Amor fomenti | il piacer de’ sonni tuoi» su versi del Metastasio e già intonata da Licida nell’Olimpiade di Vivaldi e poi di Pergolesi. Affidati a Saul sono i due ultimi numeri di Davide e Gionata: l’aria “di follia” «Ah! L’aria d’intorno | lampeggia, sfavilla: | ondeggia, vacilla | l’infido terren» che echeggia gli esametri dell’analoga aria del Saul di Felice Romani («Il fato è compiuto… | ho tutto perduto… | squallor mi circonda | spavento, terror») e il lamento finale «Ah che nel dirti addio | mi sento il cor dividere, | parte del sangue mio, | viscere del mio sen», quando Saul riconosce nel cadavere il figlio ucciso nella convinzione si trattasse di Davide.
Così si conclude l’opera di Marco Emanuele che auspico possa trovare prima o poi una realizzazione scenica dopo quest’esecuzione in forma di concerto. La cura e la passione messe in questa partitura, l’arguta strumentazione e il piacere all’ascolto che ne è derivato lo meriterebbero. E così credo l’abbia pensato anche il folto pubblico che ha applaudito con molto calore gli artefici dell’esecuzione e l’autore.
(1) Metastasio (vari libretti); Felice Romani (Saul); Stefano Landi (La morte di Orfeo) per l’aria di Davide (I, 5); Carlo Goldoni (Il quartiere fortunato, che Marco Emanuele ha messo in musica come opera da camera in un atto) per l’aria di Abner (II, 1); Luis Cernuda (Placeres Prohibidos) per l’aria di Gionata (II, 8); Giovanni Testori (Quanto è giusta la morte) per la scena finale.
⸪