Catone in Utica

Antonio Vivaldi, Catone in Utica

Ferrara, Teatro Comunale, 17 marzo 2023

★★★☆☆

(diretta streaming)

Finalmente a Ferrara il Catone di Vivaldi, ma solo dal secondo atto

Allo stato attuale degli studi vivaldiani sono 49 i titoli operistici del prete rosso: di ventidue abbiamo le partiture autografe, ma solo sedici sono integre, le altre sei sono frammentate o incomplete, come è il caso del Catone in Utica di cui conosciamo solo i due ultimi atti, ossia gli estesi recitativi e le sette arie del secondo atto e le tre arie, il recitativo accompagnato, il duetto e il coro finale del terzo, mentre il libretto al primo atto prevede sette arie, di cui però non abbiamo la musica. (1)

Una delle tante intonazioni del testo metastasiano – da Leonardo Leo (1727) a Giovanni Paisiello (1789) ce ne sono circa due dozzine – quella di Vivaldi fu presentata la prima volta al Filarmonico di Verona il 26 marzo 1737 con grande successo dopo che la prevista presentazione a Ferrara non fu possibile. Il compositore modificò radicalmente il libretto cambiando quasi tutte le arie e il finale con l’eliminazione dello storico suicidio di Catone.

Atto primo. La città nordafricana di Utica è minacciata dalle truppe di Giulio Cesare che, dopo la vittoria su Pompeo, sta per trasformare la Repubblica romana in una dittatura. Solo il senatore romano Catone, che ha stretto un’alleanza con il principe numida Arbace, lo ostacola. Arbace ama la figlia di Catone, Marzia, e vuole sposarla. Anche Catone approva questa unione. Marzia, però, ha una relazione segreta con il suo avversario Cesare. La donna ostacola Arbace e lo convince a rimandare il matrimonio. Quando Cesare arriva in città per le trattative di pace, la vedova di Pompeo, Emilia, gli manifesta il suo odio. L’inviato romano Fulvio, confidente di Cesare, si innamora di lei e cerca di convincerlo ad assassinare Cesare. Fulvio, però, antepone l’onore all’amore e rivela tutto a Cesare. Marzia vuole separarsi da lui a causa delle macchinazioni politiche di Cesare, ma cede quando lui le rivela il suo desiderio di pace.
Atto secondo. Fulvio dice a Catone che Cesare vuole negoziare la pace. Gli consegna anche una lettera del Senato che chiede la riconciliazione. Catone inizialmente rifiuta, ma poi accetta di ricevere l’avversario. Mentre Marzia ne è felice, Emilia continua a desiderare la vendetta, per la quale vuole ancora arruolare Fulvio. Catone è irremovibile nelle trattative. Chiede che Cesare abbandoni le sue ambizioni e si rivolga al popolo. Rifiuta categoricamente l’offerta di Cesare di assicurarsi la pace sposando Marzia. Nonostante le suppliche di Marzia, la guerra non può più essere evitata. Catone esorta lei ed Emilia a recarsi alle navi per sicurezza. La donna deve utilizzare un sentiero nascosto vicino alla fonte di Iside. Marzia rifiuta il rinnovato desiderio di Arbace di sposarsi e rivela a tutti la sua relazione con Cesare. Il padre la ripudia indignato.
Atto terzo. Per compiere la sua vendetta, Emilia prepara una trappola per Cesare alla Fonte Iside. Marzia la prega di risparmiare il padre in caso di vittoria. Mentre Fulvio assalta le mura della città, Cesare si reca alla fonte e viene attaccato dagli uomini di Emilia. Catone interrompe il combattimento, ritenendo esecrabile un simile agguato. Ora sfida Cesare stesso. Emilia riferisce che le truppe di Fulvio stanno entrando in città. Catone e Cesare si precipitano a raggiungere i loro uomini. Dopo la vittoria di Cesare, Catone vuole suicidarsi per la disperazione della libertà perduta da Roma. Marzia e Arbace riescono a impedirlo, ma Catone non è ancora disposto a perdonare la figlia. Cesare esorta i suoi a trattare con clemenza gli sconfitti. Vuole l’amicizia di Catone ed è disposto a cedere la sua corona d’alloro in cambio. Tutti, tranne la vendicativa Emilia, festeggiano la nuova pace.

Nel 2001 per la ripresa in tempi moderni dell’opera, Jean-Claude Malgoire aveva adattato alle arie mancanti pezzi musicali presi da altri lavori vivaldiani, una sorta di auto-imprestito esterno. Sappiamo quanto Federico Maria Sardelli sia contrario a qualunque operazione non filologica e nella produzione ora al Teatro Comunale di Ferrara il direttore-musicologo utilizza solo quello che è rigorosamente autografo e dopo la sinfonia tripartita, anch’essa mancante ma rimpiazzata da Sardelli con altra di Vivaldi con numero di catalogo RV 131 – la sinfonia sì, ma le arie no? mah… – l’opera inizia col secondo atto. Si comincia dunque con l’azione che entra subito nel vivo della vicenda, ossia il contraddittorio tra Catone e Cesare, che si svolge su un terreno di gioco lontano dalle battaglie sanguinose di Farsalo e Tapso, in cui emerge invece sempre più la vita privata e la debolezza di un uomo, l’Uticense, che non riesce a gestire il proprio declino.

I lunghissimi recitativi avrebbero bisogno di interpreti anche buoni attori, cosa che qui manca, e sono accompagnati da una gesticolazione di maniera. Al di fuori del tenore, le voci sono tutte femminili e il timbro omogeneo caratterizza a fatica i personaggi e porta a un senso di noia. Cesare, che in origine fu il castrato Lorenzo Girardi, qui è affidato ad Arianna Vendittelli, soprano di sicura tecnica e buone doti vocali dispiegate nelle tre arie rimaste. Per Marzia, scritta per la protetta Anna Girò, le due arie presenti più che sfoggio di difficoltà tecniche danno la possibilità di far risuonare le corde della sensibilità bene espressa dal mezzosoprano Valeria Girardello. Un altro castrato, Giacomo Zaghini, aveva creato la parte di Arbace qui affidata a Valeria La Grotta, soprano dal timbro poco piacevole ma stile appropriato. Emilia è il personaggio vendicativo della vicenda, quella che rimane esclusa dal lieto fine imposto dal compositore. In origine Giovanna Gasparini, qui è il mezzosoprano Miriam Albano che dipana un po’ meccanicamente le agilità della sua aria «Come invano il mare irato» con cui si conclude il secondo atto. Come a Verona nel 1737, anche Fulvio, a cui rimane una sola aria in questa versione, è un contralto en travesti: là fu Elisabetta Moro, qui è una efficace Chiara Brunello. E poi c’è il personaggio eponimo, qui l’unico maschio del cast a cui dà voce il tenore Valentino Buzza che, a parte l’affettato modo di porgere i recitativi, dà il meglio di sé nell’unico numero solistico rimastogli, l’aria di furore «Dovea svenarti allora» rivolta alla figlia che ha confessato di amare il nemico Cesare, eseguita con temperamento.

Alla guida dell’Orchestra Barocca Accademia dello Spirito Santo, dall’intonazione impeccabile anche nei fiati che sono in genere il punto debole delle esecuzioni storicamente informate, Federico Maria Sardelli imprime slancio ritmico e varietà di colori a questa partitura monca con accompagnamenti dei recitativi particolarmente curati, ma sempre con un approccio molto misurato, com’è il suo solito.

Nell’allestimento del regista Marco Bellussi il freddo ambiente tutto bianco inscatolato disegnato da Matteo Paoletti Franzato suggerisce una stanza in stile romano con coppe, busti, statue, un tavolo, un triclinio, dei sedili, il tutto lumeggiato da tocchi d’oro e senza particolari cure filologiche, con anacronistici bicchieri di cristallo molato, fogli di carta e abiti (di Elisa Cobello) che sembrano disegnati per un elegante ballo in costume o un film peplum. Al proscenio delle rocce grigie suggeriscono l’esterno in cui si ambienta il terzo atto. La recitazione, come già detto, rimanda un po’ a quella di un film muto, anche per la mancanza di profondità della scenografia che ricrea l’immagine bidimensionale di uno schermo cinematografico, e non costituisce certo l’elemento più interessante di questo mutilata riproposta della terz’ultima opera del compositore veneziano. 

(1) Ecco la struttura dell’opera:
Ouverture. Atto I. Scena 1. Recitativo – Perché sì mesto, Aria – Con sì bel nome in fronte (Catone). Scena 2. Recitativo – Poveri affetti miei, Aria – È follia se nascondete (Marzia). Scena 3. Recitativo – Dunque Cesare venga. Scena 4. Recitativo – Che veggio. Scena 5. Recitativo – Tu taci, Emilia, Aria – Vaga sei ne’ sdegni tuoi (Cesare). Scena 6. Recitativo – Quanto da te diverso, Aria – L’ira mia, bella sdegnata (Fulvio). Scena 7. Recitativo – Se gli altrui folli amori, Aria – O nel sen di qualche stella (Emilia). Scena 8. Recitativo – Giunse dunque a tentarti. Scena 9. Recitativo – Pur ti riveggo, Aria – Apri le luci e mira (Cesare). Scena 10. Recitativo – Mie perdute speranze. Scena 11. Recitativo – Deh t’arresta signor. Scena 12. Recitativo – Che giurai, che promisi, Aria – Che legge spietata (Arbace)
Atto II. Scena 1. Recitativo – Marzia t’accheta. Scena 2. Recitativo – A tanto eccesso arriva, Aria – S’andrà senza pastore (Arbace). Scena 3. Recitativo – Che gran sorte è la mia. Scena 4. Aria – Se mai senti spirarti sul volto (Cesare). Scene 5, 6 e 7. Recitativo – Lode agli dèi, Aria – Degl’Elisi dal soggiorno (Fulvio). Introduzione di timpani. Scena 8. Recitativo – Si vuole ad onta mia. Scena 9. Recitativo – Cesare e dove, Aria – Se in campo armato (Cesare). Scena 10. Recitativo – Ah Signor, che facesti. Scena 11. Aria – Dovea svenarti allora (Catone). Scena 12. Recitativo – Sarete paghi alfin, Aria – Il povero mio core (Marzia). Scena 13. Recitativo – Udisti, Arbace. Scena 14. Aria – Come invano il mare irato (Emilia)
Atto III. Sinfonia – Andante. Scene 1 e 2. Recitativo – Tutto, amico, ho tentato, Aria – Se parto, se resto (Marzia). Scena 3. Recitativo – Me infelice, Aria – Sarebbe un bel diletto (Cesare). Scene 4/8. Recitativo – È questo amici il luogo. Scena 9. Aria – Nella foresta (Emilia). Scena 10. Recitativo – Vinceste, inique stelle. Scena 11. Duetto – Fuggi dal guardo mio (Catone, Marzia). Scena 12. Recitativo – Il vincer, o compagni. Scena ultima. Coro – D’amor la face (tutti).

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