foto © Alciro Theodoro da Silva
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Georg Friedrich Händel, Siroe
★★★★☆
Göttingen, Deutsches Theater, 10 maggio 2013
(registrazione video)
Tragedia in interno borghese
Siroe, re di Persia (HWV 24) di Händel è una delle intonazioni più famose del libretto di Metastasio. La sera del 17 febbraio 1728 fu la prima di 18 rappresentazioni nella stagione. Nel cast svettavano stelle di prima grandezza dell’epoca: il Senesino (Siroe), il basso Giuseppe Maria Boschi (Cosroe), il castrato contralto Antonio Baldi (Medarse), le primedonne Faustina Bordoni e Francesca Cuzzoni (Emira e Laodice) e il basso Giovanni Battista Palmerini (Arasse). Siroe è il primo dei tre drammi metastasiani intonati dal compositore di Halle, gli altri due essendo Poro ed Ezio, oltre a quattro pasticci. Händel non era particolarmente attratto dai testi del poeta cesareo troppo letterari e rigidi per un compositore che si voleva riservare la possibilità di piegare i versi alle sue esigenze musicali, ma Metastasio era molto rinomato anche a Londra ed era opportuno non perdersi l’occasione di presentare alla Royal Academy un suo lavoro. Che poi il libretto fosse già stato messo in musica da Vinci, Porta, Porpora, Sarro e Vivaldi non costituiva un problema per le consuetudini del tempo, anzi era una garanzia di successo.
Atto I. In combattimento il Re di Persia Cosroe ha ucciso Asbite, Re di Cambaya. La figlia di quest’ultimo, Emira, volendo vendicare il padre, si insinua nella corte di Cosroe in vesti maschili col nome di Idaspe. Solo Siroe, primogenito di Cosroe ed innamorato di Emira/Idaspe, sa dell’inganno. Il re di Persia intanto deve scegliere, tra Siroe ed il secondogenito Medarse, chi salirà al trono: tra i due sembra prevalere il furbo Medarse a discapito del buon Siroe, che si ritiene offeso dalla decisione paterna. Emira/Idaspe vuol coinvolgere Siroe nei suoi piani di vendetta, lui però rifiuta. Emira allora respinge l’amore del giovane persiano e fa credere a Laodice, amata da Cosroe, e figlia del suo generale Arasse, ma a sua volta innamorata di Siroe, che anche quest’ultimo sia innamorato di lei. Quando poi Siroe smentisce, Laodice si rivolge a Cosroe capovolgendo i fatti: racconta infatti al Re che Siroe gli è rivale ed ha cercato di sedurla. Casualmente Siroe, mentre è nascosto nelle stanze di Cosroe perché nel frattempo vi si era introdotto per lasciare un messaggio anonimo che mettesse in guardia il Re del pericolo di morte che stava correndo, sente le parole di Laodice e quelle di Medarse che lo accusano di tradimento: esce quindi allo scoperto, facendo cadere le accuse contro di lui.
Atto II. Siroe è indeciso: da un lato perdona Laodice, ma vorrebbe che lei dimenticasse il suo amore per lui, dall’altro è dilaniato fra il ruolo di amante di Emira/Idaspe e di figlio del Re. In un momento di sconforto estrae la spada per uccidersi: in quel mentre entra Cosroe che interpreta il gesto come un attentato alla vita di Idaspe. Siroe, che ricerca la morte, approfitta della situazione per dichiararsi colpevole e viene condotto in carcere, dove invano Re Cosroe gli offre il perdono in cambio del nome del vero traditore che tenta di eliminarlo.
Atto III. Cosroe ordina di giustiziare Siroe, che viene però difeso dalla folla. Laodice, venuta a conoscenza della condanna di Siroe, per salvargli la vita, ne dichiara l’innocenza e si proclama lei stessa colpevole; Emira/Idaspe, confusa dagli accadimenti, persuade il Re a revocare la condanna. Ma quando Arasse, generale dell’esercito persiano, sottolinea che la revoca è giunta troppo tardi, Emira/Idaspe, scagliandosi contro il Re, svela la sua vera identità. Solo dopo Emira viene a conoscenza che, in realtà, Siroe è ancora vivo; così con una scorta penetra all’interno delle carceri per impedire a Medarse di uccidere il fratello Siroe. Uscito dal carcere, Siroe con Emira, Arasse ed altri seguaci salvano Cosroe dalla turma di ribelli. Siroe, proclamato quindi Re, perdona il fratello Medarse e Laodice, mentre Emira risolve di fermare i suoi propositi di vendetta per sempre.

«Händel con l’aiuto del librettista Nicola Haym sfronda alla brava il libretto di partenza (i versi sono ridotti da 1500 a 900, con un drastico ridimensionamento del logocentrismo metastasiano e una corrispondente enfatizzazione del ruolo svolto dalle arie nell’economia generale del dramma) (1). Il Siroe londinese soggiace anche alla ferrea logica che governa i drammi dati alla Royal Academy of Music a partire dal 1726, ossia da quando era stata scritturata una seconda primadonna, Faustina Bordoni, da contrapporre alla primadonna “storica” Francesca Cuzzoni. Fintanto che dura l’aspra diarchia – non mancarono tra le due dive i contrasti anche violenti, anche a scena aperta – le opere londinesi devono tutte, obbligatoriamente, avere due ruoli di protagoniste femminili perfettamente equilibrati; guai al mondo se la Cuzzoni avesse avuto mezz’aria in più o in meno della Faustina. Simili per agilità e tessitura (Mib3-La4 nel Siroe), le due attrici differiscono nell’indole canora e nella prestanza scenica (più imperiosa e pimpante la Cuzzoni, più insinuante e spiritosa la Faustina), non però nell’eccellenza. Il virtuosismo della Cuzzoni è smagliante, acrobatico, mentre nella Faustina si piega al ghirigoro vezzoso, alla bizzarria volage; il patetismo della Cuzzoni dilaga nel languore sconfinato del Siciliano händeliano – in Siroe le spetta, deliziosa nelle parole come nel melos, l’aria che fu poi il tormentone del vecchio Rossini, “Mi lagnerò tacendo” – mentre quello della Faustina si diffonde in traboccante tenerezza: si senta come nell’attimo della più desolata commozione – periclitano i complotti, e l’intrigante Emira è per la prima ed unica volta sola in scena – ronfano le zampogne, belano le agnelle, sibilano gli zefiri dell’aria “Non vi piacque, ingiusti dèi”. Ora, il Siroe händeliano è, molto marcatamente, il dramma d’una rivalità amorosa – Laodice ed Emira si contendono lo stesso uomo – intrecciata e incastonata in un conflitto dinastico. Il musicista ha diminuito i ruoli di Cosroe (tre arie anziché cinque per il basso Boschi), Medarse (tre anziché quattro per il contralto Baldi), Arasse (zero anziché tre per il basso Palmerini), ed ha invece aumentato da cinque a sei le arie di Emira e di Laodice: addirittura, il protagonista – il castrato Senesino, un cappone all’aspetto ma un cannone nei ruoli dell’eroe sofferente strappalacrime – si vide incrementata la parte con l’aggiunta di ben due arie patetiche in scene assolo, la seconda collocata proprio nella sequenza del carcere che, prima della fausta peripezia, immancabilmente segna l’azimut della sua vicenda sentimentale. La vera partita musicalmente combattuta sulle scene di Haymarket è insomma quella che i due soprani, le due primedonne innamorate, ingaggiano per il possesso del primouomo. Prova ne sia che, in tutto il dramma, una sola scena non subì neanche il taglio d’una virgola rispetto al dramma del Metastasio, ed è proprio la scena a due tra Emira e Laodice, il simulato tentativo di seduzione tra le due donne [del secondo atto]. Non sono cose che capitano a caso, in mano ad un drammaturgo navigato come Händel, còlto qui nel suo primo incontro col teatro del Metastasio: una ‘scoperta’ che anche a lui – e ai suoi spettatori, e a tutti noi, allora ed ora e sempre – non avrà mancato di procurare un attimo dì beato trasalimento, un tuffo d’impagabile ebbrezza estetica». (Lorenzo Bianconi)
La vicenda dinastica è ancora più borghesizzata nell’intrigante lettura di Immo Karaman qui alle Händel Festspiele di Göttingen. Uno spaccato (letteralmente!) di un’abitazione borghese inglese anni ’40 costituisce la scenografia predisposta la sua messa in scena. Una piattaforma girevole mostra i vari tristi ambienti, una casa di bambole, una gabbia in cui si consuma la geometria delle relazioni tra i sei personaggi. Sei ruoli: due soprani, due controtenori, due bassi, e una domestica muta che cela chissà quali segreti. All’inizio i personaggi sono in abito da sera e aspettano nervosamente la decisione funesta del re Cosroe, che come Lear, priva del regno il fedele figlio Siroe a favore del subdolo Medarse. Poi vestono abiti sempre più dimessi mentre la scenografia diventa sempre più spoglia, con la casa che perde anche quelle poche suppellettili. Solo nel finale vestono di nuovo abiti eleganti. La sua regia è piena di momenti arguti, come quando Idaspe/Emira si imbratta col rossetto trovato nella borsetta di Laodice perché sente la nostalgia di essere donna dopo tanti travestimenti da uomo, o con il re Cosroe che invecchia sempre più o quando il figlio Medarse gli butta via la medicina salva vita. E anche il lieto fine non è proprio tale.
Nel cast si distinguono il soprano Anna Dennis (Emira) e il basso Lisandro Abadie (Cosroe). Aleksandra Zamojska (Laodice) assomiglia a Patrizia Ciofi, nel bene e nel male mentre dei due controtenori meglio il Siroe di Yosemeh Adjei, mentre Antonio Giovannini (Medarse) rivela problemi di tecnica e una scarsa proiezione della voce. La concertazione, completa e brillante, si deve a Laurence Cummings. Viene tagliata soltanto l’ultima aria di Siroe.
(1) Il programma di sala del Teatro La Fenice, che presentò il Siroe di Händel nel dicembre 2000, contiene entrambi i libretti per un valido confronto. Il programma è reperibile in rete.
⸪