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L’amore che osa cantare il suo nome
“Tragédie biblique” in un prologo e cinque atti David et Jonathas, su libretto del padre François Bretonneau, fu rappresentata la prima volta nel 1688 al collegio gesuitico Louis-Le-Grand di Parigi con un cast tutto maschile, ovviamente, alternata al dramma in latino Saul del padre Étienne Chamillard. Vi si tratta della relazione affettiva tra Davide, figlio di Iesse e futuro secondo re di Israele, e Gionata, figlio dell’allora re Saul. «Come Davide ebbe finito di parlare a Saul, l’anima di Gionata rimase così legata alla sua che Gionata l’amò come l’anima sua. Da quel giorno Saul lo tenne con sé e non gli permise più di ritornare a casa di suo padre. Gionata fece quindi alleanza con Davide, perché lo amava come l’anima propria» (1 Samuele 18).
La vicenda omoerotica tra due adolescenti di opposte fazioni in guerra avrebbe potuto offrire lo spunto per un’attualizzazione della vicenda, con i temi dell’amore “che non osa pronunciare il proprio nome”, le guerre in medio oriente e il pacifismo in primo piano. Invece, nell’allestimento di Andreas Homoki ad Aix-en-Provence nel 2012, solo i costumi sono moderni (inizio ‘900) e la narrazione si attiene fedelmente al libretto. Israeliti e filistei si distinguono quasi solo per i copricapi, ma spesso i gruppi si mescolano pacificamente per accentuare la futilità del conflitto.
Davide ha appena ucciso Golia e ritorna al campo dei Filistei dove è stato bandito da Saul e qui incontra il suo migliore amico, Jonathan. Il generale israelita Joabel è geloso di Davide e convince il re Saul che Davide lo vuole far cadere dal trono. Saul consulta una maga e decide di attaccare i filistei. Davide si separa da Gionata. Saul perde la battaglia e Gionata è ferito a morte. Davide è acclamato re di Israele, ma non trova consolazione per la perdita dell’amato.
La trama che abbiamo raccontato segue la scansione scelta dal regista che, in accordo col direttore, sposta il prologo (la scena di Saul dalla maga) tra il terzo e il quarto atto, una scelta che si dimostra più efficace per l’azione.
La scena di Paul Zoller è formata da una stanza le cui pareti e soffitto in abete spostandosi possono ridurne le dimensioni chiudendosi claustrofobicamente sui personaggi o dividerne lo spazio in più locali. Due tavoli e alcune sedie costituiscono il semplice arredo.
Il nome della compagine orchestrale “Les arts florissants” nasce nel 1978 proprio dal titolo dell’omonima opera di Marc-Antoine Charpentier e ciò la dice lunga sulla consuetudine e l’autorità del maestro William Christie con questo repertorio. Il maestro di Buffalo qui non si smentisce certo e sotto la sua direzione, in elegantissima dinner jacket bianca, l’orchestra risponde in maniera splendida. La presenza di Christie garantisce poi come sempre sulla qualità dei cantanti, qui tutti eccellenti, così come il bravissimo coro che è duttile strumento sotto le indicazioni del regista e del direttore d’orchestra.
Davide è interpretato dal giovane canadese Pascal Charbonneau, ragazzo di oggi in maniche di camicia, bretelle e la barba di qualche giorno. Charbonneau si dimostra un promettente haute-contre dalla voce calda ed espressiva e degno erede di Paul Agnew. Per di più non denuncia un momento di stanchezza pur essendo quasi sempre in scena. Gionata è il delizioso soprano portoghese Ana Quintans a cui è riservata la patetica scena «A-t-on jamais souffert une plus rude peine?» (Chi ha mai sopportato una punizione così crudele?). È anche l’unica cantante femminile in questo allestimento e seppure eccellente, l’utilizzo di una donna per questo personaggio toglie forza alla particolarità del rapporto omoerotico. Tenere comunque pronti i fazzoletti per la scena della morte di Gionata tra le braccia di Davide.
La pitonissa è interpretata dal controtenore Dominique Visse, anche questa volta en travesti, con gli stessi abiti della madre morta di Jonathan, come si è visto in uno dei brevi flash-back dell’infanzia dei due giovani. Neil Davies esprime con efficacia la paranoia del re Saul e nel ruolo del perfido Joabel ritroviamo l’indimenticabile Ulisse monteverdiano Krešimir Špicer.
Efficace la regia video di Stéphane Medge. Due ore e dieci minuti, immagine perfetta, buone le due tracce audio, ricordiamo che siamo all’aperto. Non ci sono sottotitoli in italiano né extra.
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