Il ritorno d’Ulisse in patria

  1. Harnoncourt/Grüber 2002
  2. Christie/Noble 2002

5146VNwraYL.jpg

★★★★☆

1. «Gli uomini qui in terra servon di gioco agli immortali dèi»

Se ne L’Orfeo la musica era protagonista, che si trattasse della musa del prologo o di quella incarnata dal cantore che ammalia le fiere e qui i guardiani degli inferi, ne Il ritorno di Ulisse in patria non è protagonista, non c’è incarnazione del potere musicale: qui la musica è «parola e canto», espressioni vocali e musicali. Il libretto in versi sciolti di Giacomo Badoaro è il linguaggio implicito sottostante alla partitura musicale: il discorso parlato diventa recitativo, che fornisce informazione e azione, o passaggi lirici per il contenuto emozionale. Ecco l’opera in musica nella sua essenza.

Presentata al San Cassiano di Venezia, il primo teatro pubblico del mondo, nel 1640 dopo il successo iniziale l’opera fu rappresentata a Bologna prima di tornare a Venezia l’anno successivo. In seguito, ad eccezione di una possibile rappresentazione alla corte imperiale di Vienna alla fine del XVII secolo, non ci furono altre riprese. La musica è diventata nota in epoca moderna grazie alla scoperta di una partitura manoscritta incompleta talora non coerente con le versioni superstiti del libretto. Dopo la sua pubblicazione nel 1922, l’autenticità della partitura fu ampiamente messa in dubbio e le rappresentazioni dell’opera rimasero rare nei 30 anni successivi, ma in seguito il lavoro è stato generalmente accettato come opera di Monteverdi e, dopo le riprese a Vienna e a Glyndebourne nei primi anni Settanta, è diventato sempre più popolare. È considerata la prima opera moderna con il suo uso di diversi stili musicali: ariosi, duetti, pezzi di assieme oltre ovviamente ai recitativi e delle tre opere rimaste di Monteverdi è quella più toccante e struggente.

Prologo. L’Humana Fragilità, contrapposta al Tempo, alla Fortuna e all’Amore, deplora la sua condizione mortale.
Atto I. Nel Palazzo Reale di Itaca Penelope si lamenta con Ericlea, vecchia nutrice di Ulisse, per la sofferenza causata dalla lunga assenza dello sposo. Nel frattempo l’ancella Melanto e il suo amante Eurimaco cantano l’amore che li unisce,  sperando che la regina scelga presto un nuovo sposo, per potersi abbandonare liberamente alla loro passione. Nettuno, in colleta con Ulisse perché colpevole di aver accecato suo figlio Polifemo, intende punire i Feaci per aver aiutato l’eroe e ottiene da Giove l’autorizzazione a vendicarsi. I Feaci, intanto, sbarcano sulla spiaggia di Itaca dove depongono Ulisse dormiente; riprendono il mare intonando una canzonetta, ma la loro nave viene trasformata in scoglio da Nettuno. Ulisse si sveglia e, ritrovandosi solo su una spiaggia sconosciuta, rimprovera gli dei e i Feaci d’averlo abbandonato. Sotto le spoglie di un pastore gli appare Minerva che gli rivela di essere a Itaca, di essere la dea e gli indica come compiere la sua vendetta: travestito da vecchio mendicante si recherà alla reggia, dove potrà rendersi conto delle mire dei Proci e della fedeltà di Penelope. La dea invita anche Ulisse a recarsi presso la fonte Aretusa per incontrare il suo vecchio servitore Eumete e per attendere il ritorno del figlio Telemaco. Melanto tenta, invano, di convincere Penelope a dimenticare Ulisse e ad accettare le offerte dei pretendenti. Eumete, solo presso la fonte, compiange il destino dei re ed elogia la semplice vita agreste: all’improvviso compare Ulisse, negli abiti di un vecchio mendicante; chiede ospitalità a Eumete e gli annuncia il prossimo ritorno del suo padrone.
Atto II. Telemaco, tornato da Sparta dove si è recato a cercare notizie del padre, viene condotto da Minerva a Itaca ed è accolto da Eumete, emozionato, che lo informa sulla premonizione del misterioso ospite. Telemaco e Ulisse restano soli: il padre riprende le sue vere sembianze e si fa riconoscere dal figlio: i due si abbandonano alla gioia d’essersi ritrovati. Intanto i Proci fanno nuove offerte di matrimonio a Penelope che rifiuta sdegnosamente. Giunge a palazzo Eumete che annuncia a Penelope l’arrivo del figlio e l’imminente ritorno di Ulisse. I Proci, resi inquieti dalla notizia, progettano di uccidere Telemaco, ma un’aquila che vola sopra il loro capo, presagio di sventura, li dissuade. Ulisse, rimasto solo in un bosco, vede comparire Minerva che gli assicura nuovamente la sua protezione e lo informa che ispirerà a Penelope l’idea della gara con l’arco, grazie alla quale Ulisse potrà uccidere i Proci. Scomparsa la dea, Eumete giunge dal Palazzo e racconta a Ulisse che il solo suo nome ha gettato nel terrore i pretendenti. Telemaco racconta a Penelope del suo viaggio a Sparta e del suo incontro con Elena di Troia, ma la donna è irritata dalla descrizione della bellezza di Elena. Giungono a corte Eumete e il finto mendicante il quale provoca il risentimento di Iro: i due si azzuffano, ma vince Ulisse. La regina propone ai pretendenti la prova dell’arco: nessuno riesce a tenderlo tranne il finto mendicante, che con quell’arma inizia la strage dei Proci.
Atto III. Iro, terrorizzato, descrive il massacro appena compiuto e Melanto invita Penelope a vendicare la strage. Eumete rivela a Penelope la vera identità del mendicante, ma si scontra con il suo scetticismo. Minerva persuade Giunone a intercedere presso Giove perché plachi il furore del dio del mare e metta fine alle peripezie di Ulisse: grazie all’intercessione di Giove, Nettuno accorda il suo perdono. Nel frattempo a Palazzo, Eumete e Telemaco tentano ancora invano, di convincere l’incredula regina: infine, appare Ulisse nelle sue vere sembianze. Penelope è ancora riluttante, ma la descrizione del drappo nuziale, noto solamente a lei e a Ulisse, la convince dell’identità del suo sposo. Ulisse e Penelope danno libero sfogo alla gioia di essersi ritrovati.

Con copiosi tagli Nikolaus Harnoncourt e Klaus-Michael Grüber la mettono in scena all’Opera di Zurigo nel 2002 con un cast d’eccezione e viene prontamente registrata e commercializzata dalla ArtHaus. Dietrich Henschel è qui il protagonista titolare, oltre che la Humana Fragilità, ed è molto più convincente dell’Orfeo di sette anni dopo con Christie, Vesselina Kasarova è un’intensa Penelope seppure come sempre manierata, ma qui meno fastidiosa del solito. Telemaco di grazia è un giovane e perfetto Jonas Kaufmann: bastano pochi minuti in scena per delineare il personaggio e dimostrare come anche uno straniero possa articolare la parola monteverdiana in maniera eccelsa. A parte qualche difetto di dizione in alcuni cantanti, grande è stata infatti la cura per fornire una parola scenica eccellente. Ancora meno basta a Cornelia Kallisch per dipingere con grande emozione ed economia di mezzi la bella parte di Ericlea, la vecchia nutrice che per prima riconosce Ulisse ed è combattuta tra il tacere e il rivelare la scoperta: «Se parli tu consoli, obbedisci se taci. | Sei tenuta a servir, obbligata ad amar». Malin Hartelius è una deliziosa Melanto e Isabel Rey è Minerva e Amore mentre del terzetto un po’ sconclusionato dei Proci pretendenti si nota soprattutto il controtenore Martín Oro. Harnoncourt trae dall’orchestra La Scintilla il meglio e mai si sono sentiti suoni così vividi e sensuali allo stesso tempo.

L’allestimento è stato fatto oggetto di una lunga analisi da Elvio Giudici nel suo recente Il Seicento. Il musicologo ha messo in evidenza tutte le particolarità della regia e della scenografia che attingono a piene mani dalle opere di artisti del Novecento per fornire un apparato visuale elegante e significante alla vicenda.

t40644wiump

★★★★☆

2. La meravigliosa umanità dell’opera di Monteverdi

Il disco contiene la registrazione fatta nel 2002 della produzione del Festival di Aix-en-Provence di due anni prima. Questa “modernissima” opera ha avuto molte rappresentazioni negli ultimi decenni e alcune si posso­no trovare su DVD, ma questa è una delle migliori.

I due giovani interpreti principali sono semplicemente per­fetti, sia la pro­fonda umanità di Krešimir Špicer nel ruolo del protagonista, sia la regale e in­tensa figura di Marijana Mijanovič come Penelope (l’uno croato e l’altra serba), entrambi con bellis­sime voci. La loro intesa è palpabile – tanto che poco dopo nel­la vita reale si sarebbero sposati! Non sono da meno i cantanti negli altri ruoli: spe­cialmente convincente il Telemaco di Cyril Auvity, la Minerva di Olga Pitar­ch e l’Eumete di Joseph Cornwell, ma una menzione a parte me­rita la teatralità dell’I­ro di Robert Burt. Certo, il fatto che non ci sia neanche un italiano tra i suddetti non favorisce la dizione, essenziale in questo caso, come scrive Elvio Giudici quando nota che il cast «mostra articolazione oltremodo fallosa dei singoli fonemi all’interno delle parole, sul cui diverso peso delle diverse consonanti in rapporto alle vocali che precedono o seguono. Monteverdi ha costruito quella “pittura delle parole” a tutt’oggi esempio tra i più alti dell’intrinseca musicalità posseduta dalla lingua italiana, espressi non a caso da versi tra i più belli dell’intera nostra letteratura».

Il buon Christie aggiunge una nuova perla alla sua collana di letture delle opere antiche e particolarmente interessante è la sua intervista come extra nel DVD.

L’intimo teatro del Jeu de Paume di Aix-en-Provence pre­sta la sua acustica perfetta alla piccola compagine orchestrale e alla semplice ma suggestiva sceno­grafia di Anthony Ward e la regia di Adrian Noble. Sobria ed efficace la regia televisiva di Humphrey Burton.