Mirra

Marco Emanuele, Mirra

Torino, Auditorium Vivaldi, 27 marzo 2017

Una piccola SeMirramide

Quasi un dramma rossiniano in miniatura questa Mirra presentata in forma concertistica all’Auditorium Vivaldi. L’autore Marco Emanuele, classe 1969, sembra essersi chiesto quale musica ascoltasse quel Vittorio Alfieri di cui egli propone con amore i versi ai suoi allievi. Sì, quello stesso Alfieri che criticava ferocemente la passione per il melodramma dei suoi connazionali («stucchevole trastullo» lo aveva definito), ma forse, aggiunge Emanuele, è perché non poteva ancora conoscere le opere del belcanto: quando l’Alfieri muore nel 1803 Rossini aveva undici anni, Donizetti sei e Bellini due. Attivi allora nel teatro d’opera italiano erano soprattutto Simone Mayr, Gaspare Spontini e Luigi Cherubini.

Che poi proprio nella sua Mirra il tragediografo avesse inserito parti da cantare o da essere accompagnate dalla musica indica come la passione musicale in Alfieri non fosse così trascurabile, anche perché lo studio di uno o più strumenti musicali allora faceva parte dell’educazione di un giovane patrizio qual era il conte Vittorio.

Nello scrivere la musica per un testo tratto dalla sua tragedia, Marco Emanuele, quasi per divertito contrappasso, sceglie come forme e stilemi musicali proprio quelli del melodramma dell’Ottocento italiano, attingendo stimoli e spunti dalle opere della trinità Rossini-Bellini-Donizetti per le arie, le cabalette, i duetti, i concertati e i recitativi di questo atto unico su libretto proprio.

La tragedia in cinque atti in cui si elabora il sentimento incestuoso della giovane Mirra per il padre Ciniro e la conseguente gelosia per la madre Cecri, viene abilmente concentrata in otto scene con i quattro personaggi principali. L’autore deve abbandonare la versificazione in endecasillabi per adattarla alla espressione musicale: «il testo è ritagliato, riscritto in versi più brevi; è dissezionato in frammenti riproposti in luoghi differenti dal testo originale, intonati in una dimensione psicologica soggettiva, parallela a quella dell’azione. Così, la metrica alfieriana è distrutta e il risultato è un testo molto diverso» dice Marco Emanuele, che però nel libretto cita fedelmente il finale originale con Mirra agonizzante: «Quand’io… tel… chiesi… | darmi… allora… [Euriclea] dovevi il ferro… | io moriva… innocente… empia… ora… muojo». I librettisti della generazione successiva a quella dell’Alfieri prenderanno a modello la sua versificazione e così in un certo qual modo egli rivivrà nei versi dei vari Romani, Piave e Cammarano.

Scena 1 – Mirra è l’unica, amatissima figlia di Cecri e Ciniro, che, iperprotettivi e rispettosi, si preoccupano per il suo evidente malessere. Lei ha chiesto di sposare Pereo, ma se questo significa accrescere il suo disagio, meglio rompere il fidanzamento.
Scena 2 – Anche il promesso sposo, sensibile e pieno di attenzioni, è d’accordo: meglio non sposarsi, pur di vederla più serena.
Scena 3 – Sola con Pereo, Mirra dissimula ostinatamente il suo stato. Si tratta, dice, di una condizione esistenziale, una malinconia dovuta al temperamento, non occorre darle peso: anzi, domandarne sempre il motivo non fa che peggiorare le cose. Ma Pereo capisce che il matrimonio è una forzatura e di non essere uno sposo gradito.
Scena 4 – Con la madre, Mirra può sfogarsi e arriva a chiedere di darle la morte. Cecri è spaventata, ma Mirra si riprende e dice di aver ritrovato coraggio e voglia di vivere.
Scena 5 – Sopraggiunge Ciniro. Mirra parla di una oscura forza che la consuma intimamente. Ciononostante è convinta di sposarsi e annuncia di voler vivere lontana dai genitori. A tale rivelazione Cecri e Ciniro sono colti dal panico: non se lo aspettavano, ma se è quello che davvero vuole, lo accetteranno.
Scena 6 – Il giorno delle nozze, durante la preghiera rituale, Cecri si accorge che Mirra è sofferente. Il canto nuziale è violentemente interrotto dalle sue parole aggressive. Tornata in sé, la ragazza non capisce se la cerimonia è stata compiuta, poi implora la morte. Pereo scioglie la promessa e medita di uccidersi. Cecri promette alla figlia di starle sempre vicino, ma questo esaspera ancora di più Mirra, che la accusa di essere la causa di tutti i suoi mali.
Scene 7 e 8 – Ciniro affronta la figlia e cerca in tutti i modi di farle confessare la ragione del malessere: è l’amore, sicuramente. Il padre è pronto ad approvare qualsiasi scelta, ma vuole sapere il nome della persona di cui è innamorata. Mirra resiste, ma quando il padre la minaccia di non amarla più, cede: gli fa capire che è innamorata di lui e si ferisce. Cecri, che forse ha capito da tempo, abbraccia la figlia morente.

Per quartetto di voci (due soprani, un controtenore e un basso) Mirra si avvale di una compagine di sette strumenti musicali, uno per ogni famiglia dell’orchestra: flauto, clarinetto, corno, chitarra, violino, violoncello e contrabbasso, diretti dal maestro Edoardo Narbona. Due strumenti in più di quelli del Pierrot Lunaire (Schönberg) e uno in più del Marteau sans maître (Boulez) o de L’histoire du soldat (Stravinskij). Ma di quei lavori del secolo scorso questo condivide solo la dimensione cameristica perché l’autore non intende sovvertire né forme né linguaggi musicali: il suo è un arguto divertissement in cui ci si sorprende a riconoscere, pur nella modernità della scrittura, rimandi e stili riprodotti con gusto e intelligenza. Ancora l’autore: «La parte vocale prevede intonazioni non canoniche (sussurri, bocca chiusa), ma raramente si allontana dal belcanto di primo Ottocento. Mirra, in particolare, passa dall’impostazione lirica, in maschera, con agilità spinte al parossismo, a una specie di canto popolare, appena accennato, nel finale e nei brevi episodi del quartetto vocale. Il controtenore è un tenore acuto d’agilità di repertorio rossiniano, così come il basso è un basso rossiniano».

I personaggi sono tutti e quattro ben caratterizzati musicalmente con le agilità più impervie destinate alla sofferta protagonista, ma anche con dissonanze quando non riesce a esprimere e liberare il desiderio represso. L’ambiguo ruolo del padre trova in un intenso recitativo la possibilità di definirne il carattere mentre il personaggio della madre ingloba anche quello della nutrice Euriclea. Molto riusciti sono gli assiemi, equamente distribuiti in duetti, terzetti, quartetti e coro di quattro voci.

Efficaci tutti gli esecutori che a turno emergono con il particolare timbro del loro strumento, come il corno che si presta a patetici incisi dal profumo donizettiano, o il clarinetto e il flauto che fanno il verso a certe pagine rossiniane, come pure la chitarra. Le parti vocali sono egregiamente rese da Marina Degrassi (Mirra), Tatjana Korra (la madre Cecri), Giuseppe Gerardi (il padre Ciniro). Il fidanzato Pereo è qui il controtenore Angelo Galeano di cui si sono apprezzati il bel timbro, la potenza vocale e lo stile espressivo. Se non fossimo in Italia gli si potrebbe predire una fortunata carriera in patria, ma per i controtenori qui non è aria: mi sa che dovrà emigrare anche lui come tutti gli altri.

17635553_1841320406132265_2204164600522985532_o.jpg

Pubblicità