★★★☆☆
Scene di ordinaria macelleria
L’eclettica musica dell’opera di Szymanowski è un mix tardoromantico di Richard Strauss e Scriabin ai limiti della tonalità, ricco di esotismi e contrappuntismi. Nel 1926 il compositore aveva compiuto diversi viaggi, soprattutto nell’area mediterranea, che gli avevano fornito ispirazione per il suo lavoro.
In un tempo remoto e indeterminato. Al re (un re astratto che di Ruggero II degli Altavilla, che aveva accorpato le conquiste normanne dell’Italia meridionale nel XII secolo, ha solo il consigliere arabo Al-Idrisi, nel libretto Edrisi) viene annunciato l’arrivo di un pastore la cui seducente presenza è ritenuta pericolosa ed è per ciò stesso denunciato dall’arcivescovo come eretico e minacciato di morte. La moglie del re, Roxana, affascinata dallo straniero, chiede che gli venga data la possibilità di dimostrare le sue buone intenzioni e il pastore incanta la popolazione con la sua professione di fede nel piacere edonista e nella libertà individuale. Dopo una festa orgiastica la moltitudine lo segue, ma il re preferisce rimanere, solo.
Atto primo. In una chiesa si sta celebrando una messa solenne. L’arcivescovo e la badessa si interrogano sulle ragioni dell’allontanamento del popolo dalla chiesa; il saggio Edrisi interviene, fornendo una descrizione del pastore responsabile della diffusione di una nuova religione. L’arcivescovo pronuncia dure parole di condanna, ma la regina Roxana intercede, affinché venga fornita al pastore la possibilità di spiegarsi. L’arrivo di quest’ultimo muta completamente l’atmosfera: egli proclama il suo credo e si abbandona all’elogio dell’amore e della bellezza; Roxana ne è attratta e si unisce a lui nel canto. Il richiamo di Ruggero al silenzio infrange improvvisamente il clima estatico; il re lascia partire il pastore e gli dà appuntamento per la sera stessa a palazzo.
Atto secondo. Nella profonda notte stellata, nel cortile interno del palazzo, Ruggero ed Edrisi attendono. Il pastore giunge con i suoi, annunciato da lontano dal suono di tamburello e cetra, e saluta il re in nome dell’amore eterno: parla della nuova religione, delle sue origini, invita alla musica e alla danza; a questa si abbandonano tutti i discepoli del pastore, e anche Roxana. Ancora una volta è la voce del re a porre fine al clima d’estasi; un tentativo di incatenare il pastore non ha successo, ed egli può lasciare il luogo seguito dai suoi e da Roxana, come in sogno. Il re, rimasto solo, depone corona e mantello e si appresta a seguire gli altri.
Atto terzo. Guidato da Edrisi, il re giunge fra le rovine di un anfiteatro greco; chiama Roxana ed ella gli risponde: gli dà il benvenuto, perché è entrato nel regno dell’amore in umiltà e senz’armi. Sull’altare posto al centro dell’anfiteatro appare il pastore, nelle vesti del dio Dioniso; tutti si trasformano in baccanti, driadi e satiri. Quando la notte giunge al termine, il re saluta Apollo nel sole nascente: sono partiti tutti ed egli è rimasto solo, rinato e arricchito dal credo dionisiaco senza esserne divenuto adepto.
Il messaggio anti-cattolico del libretto, di mano del compositore stesso e di suo cugino Jarosław Iwaszkiewicz, così come il conflitto tra un occidente represso e un oriente esotico e vitale rimangono indeterminati se non ambigui e lasciano molto spazio alle fantasie registiche nella messa in scena di un’opera che è essenzialmente oratoriale.
E di ciò approfitta David Pountney, nel 2009 direttore del Festival di Bregenz, per costruire uno spettacolo che toglie prima di tutto di mezzo l’ambientazione esotica suggerita dal testo: il primo atto dovrebbe infatti svolgersi in una basilica bizantina, il secondo in un palazzo orientale e il terzo tra le rovine dell’antica Grecia, ma la scenografia di Raimund Bauer è invece una cavea semicircolare a gradoni su cui vengono proiettati gli interessanti giochi di luce di Fabrice Kebour.
Diversamente dalla Salome, chi subisce il fascino del profeta è il re qui, un personaggio turbato e che ha un ambiguo rapporto con la moglie. Infatti nella regia di Pountney nella sua seconda apparizione in scena il pastore/profeta (secondo il testo dovrebbe vestire di pelli, come il Battista, e con una corona di pampini, come Bacco, ma qui invece è verniciato d’oro come un idolo pagano) indossa il vestito di seta rossa di Roxana (compresa la rosa in organza) e al finale sarà re Roger a esibirne uno uguale (o quel poco che ne rimane). Ed è lo straniero qui che inizia la danza orgiastica che alla fine trascina con sé Roxana e tutti gli altri.
Progressivamente si passa dalla bigotta e chiusa comunità del primo atto allo scatenamento liberatorio del finale e i costumi infatti, abbottonatissimi e neri all’inizio, virano poi ad un rosso peccaminoso e infine al bianco lordato di sangue. Infatti basta un accenno a un sacrificio nel testo e Pountney si sfoga in una scena di ordinaria macelleria. E di sangue e teste mozzate di animali qui ne abbiamo veramente in quantità, tanto da far diventare vegetariano anche il più convinto mangiatore di carne.
Nella produzione di Bregenz c’è un cast maschile di tutto rispetto in una lingua che non è la loro: Scott Hendricks come Roger, Will Hartmann come pastore e John Graham-Hall come Edrisi, ma è la Roxana di Olga Pasichnyck con la sua tessitura astrale e la sensuale aria del secondo atto tutta melismi orientaleggianti a incantare il pubblico.
Le voci sono però spesso sovrastate dalla musica, probabilmente per una cattiva posizione dei microfoni, ma anche l’orchestra dei Wiener Symphoniker sotto la bacchetta di Sir Mark Elder sembra un po’ troppo ingombrante.
Novanta minuti di musica, nessun extra se non pubblicità, sottotitoli in catalano (nove milioni scarsi di parlanti), ma non in italiano.
⸫
- Król Roger, Pappano/Holten, Londra, 16 maggio 2015
⸪