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Ambroise Thomas, Hamlet
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Bruxelles, Théâtre Royal de la Monnaie, 17 dicembre 2013
(video streaming)
Amleto ritorna a Shakespeare
Una volta assodato che l’Hamlet di Thomas ha poco a che vedere con quello di Shakespeare, nessuno vieta di leggere il grand opéra del compositore francese come se fosse la tragedia del Bardo ripristinando il finale con la morte del protagonista (versione londinese del 1869) e rimuovendo i ballabili. Ed è quello che fanno Marc Minkowski e Olivier Py in questo intrigante spettacolo nato al Theater an der Wien e ora alla Monnaie.
«Il risvolto noir che Thomas riesce a dare al testo shakespeariano viene percepito splendidamente dal regista Olivier Py che avvolge il dramma di nero. Nere sono le magnifiche scene di Pierre-André Weitz che riproducono questo ambiente claustrofobico di una cripta, ma che potrebbe essere anche un castello o un manicomio, con enormi scalinate e volte che si muovono, dando una continua idea di movimento e di scorrere inesorabile del tempo e di labirinti in cui la psiche di Amleto è immersa, oppure una tomba in cui i protagonisti sono sepolti nel loro inesorabile destino. Neri sono i costumi e in questo non colore solo una bandiera rossa portata da Laerte, simbolo di una libertà oppressa, comparirà in scena a rompere il nero dell’oppressore. Py non nasconde la sua intenzione di voler aderire più al dramma di Shakespeare che non all’idea di Thomas e la follia del protagonista viene messa in luce in modo chiaro ed evidente, come l’ossessione per il padre morto, racchiuso in un’urna cineraria che diventa quasi un feticcio per Amleto, oppure nello Spettro onnipresente e che sembra voler guidare e muovere le azioni del figlio succube di una pazzia che pare voluta». (Francesco Rapaccioni)
«Uno spettacolo duro, che non ha più nulla di romanticamente attraente, dove i dubbi e i tormenti interiori dei protagonisti sono portati alle estreme violente conseguenze, con Hamlet che si presenta in scena all’apertura del primo atto come un autolesionista che si sta sfregiando il petto e le braccia con un coltello. […] Hamlet canta nudo nel drammatico confronto con la stessa Gertrude, il momento di verità tra madre e figlio, perché non a caso si dice che la verità è nuda, e il principe di Danimarca nella trasposizione del regista francese sta facendo un bagno in una bella vasca con i piedini, con la regina che lo aiuta a lavarsi, quando la verità tra i due viene a galla». (GB Opera)

Nella parte del titolo il baritono Stéphane Degout esibisce una performance da attore come raramente vediamo sui palcoscenici dell’opera, con un timbro glorioso su tutta la gamma e una dizione superba. Lo stesso si può dire per Sylvie Brunet-Grupposo: una regale Gertrude, con la declamazione di una grande vestale e una voce torrenziale. Vincent Le Texier è un Claudio di gelida autorità. Lenneke Ruiten non può eclissare il ricordo lasciato dalla Ophélie di Natalie Dessay, ma la sua performance è eccezionale, costellata com’è di acuti stratosferici, un fraseggio elegante e sensibile, intenzioni piene di sfumature. Il Laërte di Rémy Mathieu è giovane fresco pur con alcuni limiti nei momenti più drammatici, efficace il Polonius di Till Fechner e con i giusti accenti dall’oltretomba lo Spettro di Jérôme Varnier.

«Marc Minkowski eleva fin dalle prime battute a un livello fenomenale di coesione l’orchestra del teatro, passando dal dramma alla gioia con sempre la stessa energia disinibita, imponendo tensioni che nemmeno per un momento si allenteranno. Come in scena, un vento di follia passa sulla fossa, ma questa follia ha un nome: grande arte». (Emmanuel Dupuy)
⸪