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Eduardo de Filippo, Dolore sotto chiave / Sik Sik l’artefice magico
Regia di Carlo Cecchi
Torino, Teatro Gobetti, 26 novembre 2021
In una serata condensato il teatro di Eduardo
Due atti unici di Eduardo per la stagione del Teatro Stabile di Torino. Sik Sik l’artefice magico è del 1929 e appartiene alla “Cantata dei giorni pari” (quelli fortunati in cui alla fine tutto fila liscio), la raccolta di atti unici per il teatro di rivista napoletano scritti tra il 1920 e il 1942. Sik Sik l’artefice magico è la vicenda di un illusionista da strapazzo in un teatro di infimo ordine, a cui poco prima di andare in scena viene a mancare la spalla, il complice “scelto” tra il pubblico. Il Rafele che riesce a rimediare all’ultimo momento, «tipo di uomo malandato e misero», scombinerà un po’ i suoi piani ma alla fine l’astuto guitto la sfangherà: nessuna delle sue routine riuscirà, ma l’artefice magico riuscirà a dare un senso ai suoi giochi. «Lo sforzo disperato che compie l’uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato, questo è Teatro» disse una volta Eduardo. La comicità della pièce oltre che nelle situazioni sta nelle invenzioni linguistiche del protagonista quando abbandona il suo verace dialetto napoletano per esprimersi in termini che vorrebbero essere colti: «Faccio il prestigiatore e lavoro in questo tiatro. Il mio aiutante… il mio sigritario non è venuto, ha mancato all’appuntamento… Io avrebbe bisogno di una persona che lo rimpiazzerei…».
Alla “cantata dei giorni dispari” (quelli negativi), i drammi scritti dopo la guerra, appartiene invece Dolore sotto chiave, radiodramma del 1959 in cui Lucia Capasso nasconde al fratello Rocco la morte della moglie Elena, fingendo di occuparsi della donna malata, per non farlo soffrire. Ma la scoperta della verità porta a galla rancori celati da mesi e il fratello accusa la sorella di una cattiveria inspiegabile: l’uomo è arrivato a odiare la moglie che con la sua malattia gli rovinava l’esistenza. Il dramma vira nel grottesco di un irresistibile humour macabro con la visita dei vicini di casa che vengono per “confortare” il vedovo. Nella messa in scena di Carlo Cecchi il finale è modificato e, se possibile, ancora più amaro: Rocco non corre a fermare la donna di cui si era nel frattempo innamorato e che lo lascia con il suo figlio in grembo. Qui si accascia catatonico sulla sedia mentre la sorella gli ripete la domanda dell’inizio: «Ti ho preparato il brodo di pollo. Ci metto dentro un uovo?».
L’allestimento è essenziale nelle efficaci scenografie di Sergio Tramonti (Dolore sotto chiave) e Titina Maselli (Sik Sik l’artefice magico) e punta giustamente sulla recitazione: la bravissima Angelica Ippolito, l’intenso Rocco di Vincenzo Ferrara, l’irresistibile vicina Signora Paola e il maldestro Rafele di Dario Iubatti, Remo Stella e Marco Trotta, fotografo e scultore in Dolore sotto chiave. Per sé Cecchi si riserva la parte dell’invadente Professor Ricciuti di Dolore sotto chiave e dell’Artefice magico, il personaggio con cui Eduardo aveva significativamente concluso la sua carriera di attore nel 1981.
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